«Tutta la nostra arte consiste nel riuscire a (avere il tempo di) contrapporre, a ciascuna risposta, la nostra domanda, in modo che non svanisca. E l'ispirazione consiste proprio nel saltare le risposte, tornando a noi. E quante volte si tratta di un foglio bianco! Qualcuno legge Werther e si spara. Qualcun altro legge, e dal momento che Werther si uccide con una revolverata risolve di vivere. Uno ha agito come il personaggio, l'altro come Goethe. Lezione di suicidio? Lezione di autodifesa? Entrambe le cose. A causa di una data legge della sua vita, Goethe ha dovuto sparare a Werther, il daimon suicida di tutta una generazione doveva incarnarsi per mano dello stesso Goethe. (...) Nell'appello alla soppressione dell'arte fatto da Tolstoj, ad essere importanti sono le labbra che le pronunciano: se non provenisse da una così tanto vertiginosa altezza artistica, se a chiamarci fosse stato qualcuno di noi, avremmo voltato la testa. Nella lotta di Tolstoj contro l'arte, quel che conta è Tolstoj, l'artista. All'artista perdoniamo il calzolaio (sappiamo che Tolstoj fabbricava le proprie scarpe). Guerra e Pace non può essere cancellata da quello che siamo. È indelebile. È irrimediabile. Insieme all'artista consacriamo il calzolaio. Nella lotta di Tolstoj contro l'arte, ancora una volta, ciò che ci seduce è l'arte.» (Marina Cvetaeva, Il poeta e il tempo.)
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