giovedì 24 gennaio 2019

Negro

Critica della Critica della Ragione Negra
di Ines Maria

La sottigliezza, direi quasi la grandezza, con la quale Achille Mbembe affronta il problema dell'invenzione delle razze e la creazione del sostantivo "Negro", ci spinge a pensare che forse, finalmente, Fanon ha trovato un successore alla sua altezza. Senza dubbio fra i pensatori e le pensatrici più vitali, ancora assetati di vita teorica - unico modo efficace di trasformazione radicale della vita pratica -, il suo nome risuona come quello di chi ha dato concretezza al paradosso della costruzione di quello che è il significante "razza". Nel prendere posizione contro il riduzionismo proto-identitario, e nel pronunciare con orgoglio la parola "critica", consentendo così al proprio fine teorico la possibilità di un'analisi che possa andare alla ricerca delle forme determinanti dello sfruttamento coloniale (osservandole in quanto genesi e motore del capitalismo), Mbembe ha sottolineato in maniera radicale quali sono i problemi centrali nella creazione della razza, ed il suo intrecciarsi e sovrapporsi con il termine "negro" e, con questo, la maniera di superare questa condizione. Come modello di sfruttamento, come paradigma di sottomissione e in quanto struttura psico-onirica; il significante "razza" è diventato una finzione utile per il governo dei corpi e per le pratiche biopolitiche - ai fini della divisione fra coloro che condividono lo status di cittadino, e quelli che non lo anno - ed ha portato al necro-potere - definendo chi può essere ucciso, e chi non può, per mezzo di un attributo, generalmente socio-razziale creato esclusivamente per mezzo, e al fine, dell'esclusione.
La rapida diffusione del suo pensiero, e l'insegnamento che potrà renderla possibile, è qualcosa che in Brasile dev'essere ancora misurata - soprattutto se visto in un contesto nel quale l'egemonia delle teorie liberali  ha fatto sì che queste ultime venissero adottate acriticamente da gran parte del Movimento Negro. Ma le risposte a tutto ciò si trovano nel dramma della vita concreta, ed è tempo, finalmente, di raccogliere i risultati politici catastrofici, concessi e fecondati dal totale allontanamento della sinistra dalla vita comune, cosa che, ci aspettiamo possa ricondurre alla ragione i più sensibili. Ricominceremo da questo. A prescindere dal punto di vista filosofico in cui oggi ci troviamo: il carattere dissoluto, precario, degradato del mondo in cui viviamo, e della vita che ci è rimasta, sono le cose più ferme e sicure su cui possiamo contare. Stiamo affondando tutti quanti a bordo della medesima barca del ritorno al fascismo, della costruzione di muri tutt'intorno al vecchio incubo dell'identità nazionale, del mantenimento della radicale segregazione fra popolazioni differenti. A questo giro, il nemico è il rifugiato.
In tal senso, il libro di Mbembe è un contributo fondamentale per poter comprendere non solo le aree marginali e subalterne del mondo contemporaneo, in quelle che sono le loro contraddittorie relazioni, le quali dipendono dalla struttura totalizzante del capitale - e che, a ben vedere, sono diventate centrali per conformarsi ai percorsi della struttura dell'attuale dominio politico, grazie alla crisi permanente considerata come forma di governo - ma anche perché, nel momento in cui le nazioni, un tempo indispensabili per il capitalismo, si autodistruggono per poter mantenere costante il saggio di profitto, e la condizione degradata di vita si diffonde in tutto il mondo.
In altre parole: il mondo intero sta diventando negro! È la condizione nera che diventa, poco a poco, universale. E comprendere il Negro come un prodotto dello sfruttamento radicale che genera il modo di socialità del capitale - comprenderlo come condizione di sussistenza precaria, di esistenza degradata, di vita cosificata e di presenza resa nulla - è determinante al fine di comprendere la possibilità di superamento del razzismo che passa per il superamente del sistema stesso che lo ha generato. A tal riguardo, scrive Mbembe:
«Ormai non ci sono più veri e propri lavoratori, ormai esistono solo dei nomadi del lavoro. Se, ieri, il dramma del soggetto era quello di venire sfruttato dal capitale, oggi, la tragedia della moltitudine è che non possono più essere sfruttati tutti, è quella di essere oggetto di umiliazione in quanto fa parte di un'umanità superflua, arresa, nemmeno più utile al funzionamento del capitale. Quella che è emersa è una forma inedita della vita psichica che si basa sulla memoria artificiale e digitale e sui dei modelli cognitivi provenienti dalle neuroscienze e dalla neuro-economia. Dal momento che gli automatismi psichici e gli automatismi tecnologici non sono altro che le due facce della stessa moneta, quella che viene installata è la finzione di un nuovo essere umano, "imprenditore di sé stesso" plastificato e chiamata a riconfigurarsi continuamente in funzione degli artefatti che offre l'epoca». (Achille Mbembe, "Critica della ragione negra", edizioni Ibis collana Sud-nord: altri mondi ).
Ma come possiamo cominciare a parlare di un libro talmente denso da riuscire a mettere a nudo le relazioni che hanno permesso che i termini "razza" e "negro" venissero naturalizzati come se fossero stati «sempre esistenti»?  Naturalmente, lungo questa strada, si perderanno molte cose. Se supponiamo che non ci sia niente di «dato» come naturale, eccetto i nostri dubbi, e che non possiamo scendere o salire da nessun'altra verità che non sia quella provvisoria della nostra società: non è forse lecito tentare di dare centralità alla questione dell'identità come se fosse uno dei molteplici sentieri in cui veniamo guidati dall'arguzia del pensatore camerunense? Dopo tutto, forse, non solo è lecito fare questo viaggio: ma è anche qualcosa che ci viene imposto dalla coscienza di ciò che tormenta il nostro movimento attuale.
Razza e Negro sono le due parti reciproche di una moneta coloniale coniata da quel dominio e sfruttamento radicale che fonderà la modernità. Se prima della modernità, la finzione dell'identità era qualcosa a cui si poteva rinunciare per poter vivere sotto l'egida della Chiesa; con la fondazione degli Stati nazionali, con la creazione del concetto di Soggetto fondato su un mondo in cui Dio è morto, con il vuoto costituito dalle ansie di Don Chisciotte e di Amleto - veri e propri prototipi del soggetto moderno - le identità sarebbero diventate un dato centrale contrassegnato, soprattutto, dallo scambio di merci che andrà a costituire la base del mondo socializzato dal capitale.
Fin dall'inizio, l'ultimo dubbio giustifica il fatto per cui - fra le interpretazioni centrali, sia della modernità, che della razionalità moderna, quanto della dinamica che promuove il capitalismo, così come l'universalismo che ha inteso produrre - i termini "negro" e "razza" emergono come un gioco di ombre, come delle oscure fantasmagorie, senza le quali non si riesce a capire la totalità di questi termini, né quello che è il suo motore determinante: la modernità capitalistica. L'Altro che sorge a partire dall'identità europea o, per citare G. Spivak, come Soggetto dall'Occidente, è un Altro che emerge come un oggetto minaccioso. In tal modo, l'approccio da parte dell'identità europea è quello della somiglianza, e dell'essere uguale, a sé stesso, e non quello della relazione e della co-appartenenza al prossimo. L'auto-finzione identitaria dell'Europa - un'auto-contemplazione di sé stesso che intrappola il potenziale della divergenza - rende iper-identitario il significato di Negro, che per Mbembe non ha alcuna differenza con quello di razza.
La comparsa nel dizionario moderno del termine Negro, è stato quindi parallela ad un progetto di conoscenza e di governance che si instaura con lo sviluppo della modernità stessa. Razza e Negro fanno parte di un delirio manipolatorio prodotto da questa stessa modernità. Ovunque sia apparso questo delirio, lo troviamo legato a tre prescrizioni politiche: sfruttamento, sottomissione, ed un insieme di fobie forgiato da una finzione patologica di identità. Mbembe cerca perciò di rispondere a come questo delirio sia stato reso possibile, e a quali sono le sue manifestazioni di base: «In primo luogo, è dovuto al fatto che il Negro sia quello (o anche Quella) che vediamo quando non si vede, quando non vogliamo comprendere niente». Qui, più che altrove, si deve fare chiarezza sul processo di nullificazione (generato dal processo di cosificazione) del negro, che è stato incorporato dalla modernità. Intorno a nessun altro significante dato all'Altro (non-europeo), si è finora sviluppata quell'invisibilità e quella superstizione sostanziale; non c'è mai stata nessun'altra individualità, ridotta in quella che è la sua umanità, che sia stata collocata a metà strada fra l'uomo e l'animale.
Il delirio sarebbe quindi un esercizio di spurgo delle azioni passionali, e servirebbe a trovare una scusa per riempire un vuoto costitutivo proprio di quelle differenze che formano il tutto. Pertanto, il Negro viene collocato in questo non-luogo del delirio, ora zavorrato con la liberazione libidica, ora con la regressione violenta. Negro e razza costituiscono quindi i poli convergenti di un medesimo delirio europeo: la riduzione del corpo e dell'essere vivente ad una questione di apparenza.
Prodotto da una macchina sociale e tecnica indissociabile dal capitalismo, dal suo emergere e dalla sua globalizzazione, questo nome è stato inventato per significare esclusione, abbrutimento e degradazione, vale a dire, come un limite sempre evocato e odiato. E quindi è stato una conseguenza genuinamente modernizzante, il fatto che i suoi più convinti sostenitori completassero l'opera di rimozione dell'umanità nei confronti dell'Altro - sempre minaccioso - adesso incarnato in una riduzione epidermica inventata ai fini del dominio e dello sfruttamento. E la cui scala ampliata, oggi indica il motivo centrale delle enclavi fortificate, dei muri costruiti intorno alle nazioni, e l'insensibilità nei confronti dell'immigrante che bussa alla porta. La fobia dell'altro, l'Alterocidio - come lo chiama Mbembe - è parte costitutiva di questa modernizzazione sfruttatrice e violenta.
Il negro divenne il grande esempio di Essere-Altro attraverso il vuoto, attraverso la notte del mondo, per mezzo di un negativo che riempie tutti i pori dell'esistenza. Se Fanon annunciava già una sorta di ontologia degradata, imposta dall'identità colonizzatrice, Mbembe approfondisce l'investigazione e rivela che, tanto Africa quanto Negro, indicano per il colonizzatore un progetto incompiuto: indicano un'assenza di progetto.
Di fronte ad un mondo di nozioni moderne, che vorrebbe confinare ciascuna individualità in un'identità a tenuta stagna, Mbembe si vede costretto a situare le fonti battesimali della nostra modernità, elencandone i due processi reciproci, vale a dire: 1) il commercio di schiavi; 2) le piantagioni; il luogo dove hanno stabilito il principio di razza sotto il segno del capitale. Creata all'interno della merce, e come risultato del processo di mercificazione del mondo, la coscienza negra, nella fase iniziale del capitalismo, emerge a partire dalla dinamica del movimento e della circolazione. Per questo motivo: «la trans-nazionalizzazione della condizione negra è, pertanto, un momento costitutivo della modernità, ed è l'Atlantico il suo luogo di incubazione».
Se, già tali fonti determinano in maniera centrale la costruzione della razza, a loro volta datano anche la formazione del razzismo orientato dai sentimenti identitari di un'Europa che va formandosi alimentano un delirio che possa rendere redditizio il suo sfruttamento. Il Negro come un Altro reso invisibile, o meglio - lo preferisco - nullificato, è la forma centrale di dinamizzazione del processo di mercificazione del mondo e della vita. Quest'Altro che non è nulla, un nulla che è  ancora capace di trasformare la materia inanimata in ricchezza, ed essere esso stesso merce, deve uscire dal suo processo bloccato, deve diventare un Essere. Non c'è da meravigliarsi, sostiene Mbembe: «quello che chiamiamo "stato razziale" corrisponde, crediamo, ad uno stato di degrado di natura ontologica».
Ne risulta che la maggior parte di quello che ha formato ed ha codificato l'individuo come Negro si trova ad essere relazionato con il processo dell'avvento del mondo della merce, ed a partire da allora «il negro non esiste in quanto tale. Viene costantemente prodotto. Produrre il negro significa produrre un vincolo sociale di sottomissione e un corpo di sfruttamento». Non essendo un essere, un soggetto, il negro vede negata la sua umanità, e nei processi sociali il suo corpo è un corpo di esclusione che viene marchiato come bersaglio preferito dello Stato.
Tuttavia, è in questo luogo di esclusione che può essere lanciato un grido, che un'operazione di demarcazione di umanità può germogliare e può universalizzarsi, e se la «razza è un al di sotto e un al di là dell'essere», come del resto dice Mbembe, può voler dire che il significante "negro" reca in sé ed è gravido di una rifondazione della nozione stessa di essere. Il nulla che viene. Grazie alla sua fantasmagoria, alla sua presenza notturna, alla sua negazione in quanto fondamento, alla sua posizione di essere differenza delle differenze, Negro porta con sé il Nuovo - una fantasmagoria minacciosa che può innescare una profonda trasformazione.
Perciò, questa fobia del negro, questo delirio manipolatore che pone il negro come una minaccia, e come minaccia costante, riceve l'incarico di guidare il moderno funzionamento dello Stato; l'incarico di garantire il mantenimento di una violenza controllata nei confronti di un corpo eccedente rispetto alla modernizzazione - il corpo negro. La forma statale di riproduzione del capitale che, in determinati limiti e condizioni, passa per razzismo al fine di organizzare e strutturare le forme del suo controllo attraverso il monopolio della violenza, viene perciò normativizzata e normalizzata. In queste limitazioni necro-politiche, purtroppo, diventa comune vedere un negro che viene assassinato dallo Stato.
A partire dalle contraddizioni costituite dalla violenza della strutturazione della razza, attraverso il controllo biopolitico permeato di razzismo, Mbembe solleva la questione stessa della scoperta del negro in quanto negro. Dalla quale, a questo punto, ne deriva una questione importantissima che dev'essere trattata: «l'atto dell'identificazione è allo stesso tempo un'affermazione di esistenza». Se questo negro viene nullificato, se la sua presenza viene invisibilizzata, se la sua voce viene silenziata, allora l'atto di scoprire sé stesso diviene quello di parlare: Io sono un negro!, è un atto di affermazione di esistenza e della sua resistenza. Non si tratta di un luogo del discorso, ma di un non-luogo nel quale il discorso dà corpo ad una politica incarnata nel non-essere - con il suo potenziale di diventare-essere che si traduce nel Nuovo -, cioè, in un uno qualsiasi che viva la condizione del negro, e che con tale condizione solidarizzi.
Con un pensiero dialettico sensibile, il pensatore camerunense scommette sui processi di sofferenza e di superamento della condizione di nullificato nella quale il negro, nella sua riduzione epidermica, viene a trovarsi. «Il colore negro non ha senso. Esiste solo in riferimento ad un potere che lo inventa, un'infrastruttura che lo supporta e lo contrappone ad altri colori e, infine, esiste solo in un mondo che lo definisce e lo assiomatizza».
Riprendendo alcune ipotesi di Fanon - di cui non posso parlare qui - Mbembe dimostra come l'implosione del mondo simbolico, nel quale queste differenze sono state architettate al fine di manipolare e sfruttare i corpi, è proprio ciò che renderebbe possibile aprire la strada ad un'altra immaginazione della comunità universale. Avviene che la riduzione al significante negro produca un altro significante che mira a distruggere il motore in cui questo significante viene generato. L'affermazione dell'esistenza è un presupposto della lotta che avrà luogo. Quindi, nell'affermarsi negro, quella che viene aperta è una strada per poter affermare che il mondo è plurale, «militare per la sua apertura, vuol dire che l'Europa non è tutto il mondo, ma solamente una parte di esso», significa superare il riduzionismo europeo e ricondurre il concetto di universale alle sue proprie dimensioni, ristabilendo la singolarità e la differenza! Ma, per fare tutto questo, c'è bisogno di distruggere il mondo nel quale il mantenimento della finzione «colore» equivale al mantenimento dell’esclusione e del razzismo; detto in altre parole, c'è bisogno di distruggere il mondo del capitale.
Vediamo che Mbembe, sulla linea di Fanon e Cesaire, non abbandona, in nessun momento, il concetto di universalità che viene radicalizzato in un senso in cui l'universale non sia annullamento delle differenze, ma luogo delle molteplicità: «un mondo in cui ciò che condividiamo siano le differenze». Un mondo in cui sappiamo che i temi in comune sono le differenze che ci costituiscono. Solo così potremo realmente avvicinarci a quel concetto di identità che sia un'incessante auto-invenzione del nostro Io, per lanciarci nella costruzione di ciò che sia comune.
«La proclamazione della differenza è solo un momento di un progetto più vasto - di un mondo a venire, di un mondo che abbiamo davanti, in cui il destino è universale, un mondo libero dal peso della razza e del risentimento, e dal desiderio di vendetta che viene evocato da qualsiasi situazione di razzismo».
Anche se ho superato quelli che sono i limiti di una recensione, concludo emozionata dicendo  che il libro di Mbembe è un tuffo nella costruzione di un mondo che ha urgentemente bisogno di essere superato, è un volo verso l'Atlantico dove «il mare è condito dalle lacrime dei negri», ma è soprattutto la costruzione teorica di una lotta antirazzista che produce vita. È vita comune. Tutto ciò che ho detto finora non è niente a confronto di ciò che esprime il libro, non è niente di fronte al potere di sintesi realizzato in quella che è una delle opere più importanti di questo secolo. Leggerlo, discuterlo e criticarlo è per noi un compito urgente!

- Ines Maria - Pubblicato il 18/12/2018 su LavraPalavra -

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