Il Libro Nero del Capitalismo
Dalla fine del socialismo di Stato, nel 1989, alla crisi del capitale mondiale nel 2009
- Prologo -
di Robert Kurz
La memoria storica delle persone è corta. Perfino la stessa propria biografia svanisce dalla memoria. Che cosa sappiamo veramente delle nostre vite, dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti e stati d'animo risalenti a 20, 30 o 40 anni prima? In genere le persone rimangono sorprese quando accidentalmente si trovano di fronte ad una prova documentale oggettiva del loro passato, e devono constatare subito dopo come la realtà di quel tempo sia assai spesso differente dall'immagine che ne conservavano nelle loro teste. Siamo sempre differenti ed estranei a noi stessi. Tuttavia, a causare simili fallimenti di memoria, sembra non sia però la limitata capacità del cervello umano. Al contrario, in genere siamo degli artisti della rimozione, i quali dipingono la loro propria storia, e la legittimano secondo il modo migliore che possa convenire alla loro autostima. Ciascuna persona afferma il proprio ego, per quanto fragile, al fine di poter vivere in maniera confortevole e senza che debba disfarsi della propria pelle, senza che debba mettersi in discussione.
Lo stesso vale, su scala più grande, per la memoria collettiva dell'umanità. Tutto quello che precede l'orizzonte iniziale della storia di vita di ciascuno, è per noi un'oscurità ancora più buia di quello che è il proprio passato personale. Sembra strano ricordare che i genitori e i nonni, che ci sembravano così familiari, abbiano avuto una vita precedente alla nostra la quale deve rimanere per noi sempre sconosciuta. Ed è qui che ha inizio la storia della società, perché, al di là della semplice organizzazione tribale basata sulla parentela di sangue - che nel mondo moderno si è ridotta completamente fino ad essere solo la famiglia nucleare con un cucciolo, e nella versione postmoderna si è ridotta all'individuo in quanto atomo della società -, nella storia personale delle generazioni si mescola alla storia culturale, politica e socio-economica. Astraendo rispetto a quello che è il comportamento, le maniere ed i costumi del passato sono sempre estremamente comiche, come se quasi non conoscessimo le circostanze reali. Le storie sono frammentarie, ed essere stesse colorate per mezzo delle rimozioni, cosicché la storia possa essere denominata come «i bei vecchi tempi» oppure, al contrario, «i tempi brutti»; o anche le due cose insieme, poiché il buon senso comune non si imbarazza a causa delle contraddizioni irrisolte. Di fatto, le storie del «io c'ero» sono le meno affidabili.
Ma, allo stesso modo in cui il singolo si legittima in termini di storia di vita, a maggior ragione lo fa la struttura dominante della società. In quelle che sono le memorie personali, penetrano, come agenti corrosivi, l'autogiustificazione ideologica e la narrativa storica trasmessa, attraverso i libri di scuola, dalle relazioni di potere esistenti, mettendo così il pensiero sotto pressione, e a rischio di dissoluzione. L'autocensura personale si unisce alla censura sociale. In tal senso, in questo, il campione del mondo è il capitalismo moderno. Nessuna società nella storia dell'umanità si è presentata in maniera così sfacciatamente assoluta. Il sistema totale di mercato, non solo dipinge come bella la sua propria storia, ma ne cancella anche la maggior parte. L'«homo oeconomicus» vive quello che è quasi l'orizzonte temporale di un bambino; vale a dire, vive nell'eterno presente delle azioni di mercato, che sembrano avvenire tutte nello stesso piano a-temporale. Se la mente conservatrice invoca la storia, per distorcerla in nome dell'autorità, lo spirito del liberalismo economico vende sottocosto la storia, allo stesso modo in cui vende sul mercato mutande, caccia-bombardieri da combattimento, zuppe istantanee ed altri oggetti, nei quali il mondo dell'esperienza viene trasformato in maniera indiscriminata. E se la tradizione orale è già stata mitologicamente, i media capitalisti de-storicizzano la storia stessa, dissolvendola nell'economia di mercato.
Questo metodo è ideologicamente molto più vantaggioso di tutte quelle che sono le semplici falsificazioni della storia. Poiché il carattere aleatorio del colorato mondo delle merci inghiotte qualsiasi verità oggettiva e, conseguentemente, la cosiddetta postmodernità non sono è arrivata sul mercato totale, ma anche al relativismo totale, vale a dire, ad un paradosso. «Tutto quanto è solo un film». Perciò viene omessa qualsiasi riflessione critica sul divenire storico «di ciò che esiste». Esso «è» semplicemente il punto finale. Per questo pensiero (o meglio per questa assenza di pensiero), tuttavia, l'apparenza mediatica o ideologica ha altrettanto contenuto fattuale di quanto ce l'ha quello che è reale; più precisamente, sembra non esserci alcuna differenza tra la realtà e la messinscena. La menzogna è altrettanto vera della verità, e, quindi, viviamo da molto tempo, con tutta la nostra libertà democratica, in un mondo orwelliano. Il «1984» è già alle nostre spalle, solo che nessuno se n'è accorto.
All'essere umano del mercato, che è caduto in un realismo cinico, dal momento che immagina di essere il più illuminato di tutti, viene fatto fare quasi tutto, egli accetta le imposizioni più incredibili come se fossero una fatalità, quasi come un mistico orientale, e si lascia irretire in assurdità più grandi di quelle che potevano imprigionare un contadino medievale. Nella misura in cui ha perso qualsivoglia criterio, non riesce a distinguere il bianco dal nero; e se qualcosa lo colpisce fino a fargli del male, allora deve accettare le diagnosi degli specialisti o degli esperti. Solo questo completo idiota, privo di ragione critica e reso inabile, può essere maturo per un'economia di mercato che è onnipresente, e Alle cui «leggi» deve credere, allo stesso modo in cui il servo della gleba feudale aveva fede nell'esistenza reale dell'inferno e del purgatorio.
L'ultimo piccolo residuo di un criterio, nella storia del dopoguerra, sembra sia stato il conflitto sistemico fra Est ed Ovest. Era, ovviamente, un criterio troppo a basso costo, con cui l'occidente capitalista ha potuto misurarsi. Perciò sappiamo che il socialismo burocratico di Stato non è emerso dalla maturità della crisi del sistema capitalistico, provenendo, al contrario, da una crisi di «sottosviluppo» della periferia del mercato mondiale, nella prima metà del XX secolo. Si può facilmente vedere come i regimi di «modernizzazione ritardata». all'est e al sud, hanno solo ripetuto le prime forme occidentali del capitalismo, da tempo dimenticate e rimosse, in un camuffamento semplicemente diverso, al fine di mettere in moto un'economia mercantile industriale moderna, che partiva da zero con un ritmo accelerato; e soprattutto, imitando anche, fino al ridicolo, le passioni e la mitologia delle rivoluzioni borghesi, i modi di vita capitalisti e perfino il design occidentale. È per questo che, fin dall'inizio, l'est non ha mai costituito alcuna alternativa storica, ma solamente una grossolana e miserabile versione a basso costo dello stesso Occidente; una versione rimasta a metà strada. La superiorità economica e tecnologica del capitalismo occidentale fu solo quella di un fratello maggiore che solitamente annienta il più giovane, ed è anche fiero di fare questo.
Solo la più assoluta cecità storica ha reso possibile il fatto che il collasso dell'antidiluviano socialismo di Stato venisse proclamato come la vittoria finale del capitalismo, e come la soluzione finale della questione sociale. Adesso, più che mai, sembra inconcepibile che le basi comuni al moderno sistema produttore di merci, con le quali i ritardatari storici avevano dovuto misurarsi fin dall'inizio, siano proprio esse stesse oramai obsolete. Il fatto è che dal 1989 tutte le promesse capitaliste si sono rivelate delle vere e proprie bolle d'aria. I mercati aperti ad Est non hanno portato alla società occidentale alcun nuovo miracolo economico, ma solamente una concorrenza disperata, fatta a colpi di salari sempre più bassi. . E le popolazioni dell'Est, incredule, si stanno sfregando gli occhi nel constatare che perfino i più sinistri ideologhi del comunismo di caserma, la cui menzognera propaganda sul proprio dominio era tanto trasparente quanto miserabile, avevano descritto esattamente e con maliziosa precisione quelli che erano i deficit sociali dell'economia di mercato occidentale.
Ma l'idea rimane come paralizzata, e le energie utopiche appaiono come consumate. Dopo la fine della storia, quello che rimane è confusione, e sclerotizzazione interna. La speranza è persa, dal momento che non si riesce più a pensare un'alternativa. Perfino il riformismo moderato collassa. Il capitalismo è libero di circolare e mostra un ghigno talmente maligno che ben pochi se lo sarebbero aspettato. Ha avuto inizio una vuota fabbricazione di concetti, in cui venivano presentate , una dopo l'altra, delle assurde proposte a basso costo, sul terreno di un'economia di mercato «senza alternativa», al fine di evitare una crisi sociale ed economica apparentemente inarrestabile. L'auto-censura dell'uomo capitalista, che è più efficace di qualsiasi organizzazione di polizia, ha portato alla fine del pensiero critico. Neppure la sottocultura è più un'opposizione.
Per poter riuscire a pensare una nuova alternativa, per prima cosa è la storia a dover essere riabilitata. È necessario storicizzare quello che è un capitalismo apparentemente a-storico. Questa non è più una questione che possa essere confinata al dominio facoltativo del pensiero. In realtà, abbiamo raggiunto la soglia storica del dolore dovuto alla sofferenza dell'economia di mercato, dove il totalitarismo economico comincia a diventare insopportabile. Mentre gli ultimi guerrieri della guerra fredda vanno ancora in giro a balbettare a proposito del «mondo libero», il sistema planetario del capitalismo si rivela come una società «che sta diventando letteralmente impazzita» (Oskar Negt). Com'è noto, è questo il destino di ogni Hybris. Un'auto-rigenerazione della società, un ritorno a quella che è la base sociale ed ambientale dei fatti, un calmante per il progresso che non ha più alcuna inibizione o limite, una vita sociale tollerabile e un senso basilare di sicurezza inteso come presupposto della compassione, della responsabilità creativa e della riflessione sulle idee, sarà possibile solo se il sistema di concorrenza totale - reso assurdo oltre ad essere un pericolo pubblico per gli individui atomizzati - verrà messo di fronte allo specchio della sua propria storia, in modo che l'auto-conoscenza delle persone capitaliste possa rendere facilmente possibile una fine senza terrore del capitalismo.
Questa storia è soprattutto una storia economica e sociale, e non lo è solo superficialmente. In quanto se «il medium è il messaggio» (Marshall McLuhan), allora la storia del moderno «homo oeconomicus» , di fatto, può essere solo la storia della sua economia, la storia dello «sviluppo delle forze produttive», la storia dei cicli economici, delle crisi e dell'astratta ricchezza monetaria. La violenza ed il tremendo potenziale di questa storia contrasta con la sua non meno tremenda banalità. Dal momento che le questioni esistenziali, metafisiche ed epistemologiche dell'umanità sono state soffocate dalle cosiddette leggi del mercato, rimane solo la metafisica futile del denaro. Le avventure sono finire, perché, nella totale banalità del mercato, non c'è niente da scoprire, non c'è niente da sperimentare. Non esiste più nessun sport rischioso, o turismo di avventura sull'Himalaya, che ci possa aiutare. Per esempio, l'eroe della settimana è Hartwig Piepenbrock, «padrone di un'enorme impresa di pulizie», con 300 mila dipendenti con un salario basso (Wirtschaftswoche 37/1996), il cui scopo nella vita è quello di essere il più grande nel settore delle imprese di pulizia a basso salario. La soglia storica del dolore dell'economia di mercato, è anche quella della sua visione del mondo, della sua «estetica della merce» (W. F. Haug) e dell'imbarazzante ristrettezza dell'ambizione umana.
Una soglia del dolore non può essere oltrepassata senza che ci siano conseguenze. Oltre una tale soglia, il paziente è morto, oppure è diventato un'altra persona. Tuttavia, la storicizzazione del capitalismo - che è già in ritardo - non può più essere realizzata a partire dai conflitti interni della storia della modernizzazione così com'è avvenuta fino ad oggi. Deve guardare alla cosa nella sua totalità, vale a dire, deve partire dall'analisi di quello che è diventata, ne deve rivelare la fine. L'ironia della storia potrebbe essere che, per il capitalismo, il trionfo assoluto e la crisi finale coincideranno storicamente. Il fatto che questa crisi inaspettata appare essere molto differente da quello che si pensava fosse il risultato del collasso dello stesso sistema di riferimento esistente. L'attuale dibattito globale sulla «localizzazione degli investimenti» è così grottesco perché non vuole rendersi conto che, oggi, l'onnipresente sistema del «posto di lavoro» dell'economia di mercato è stato distrutto ed è stato reso impossibile. È ovvio che anche la questione dei posti di lavoro attira l'attenzione sulla storia. L'industrializzazione capitalista, iniziata alla fine del XVIII secolo, entra in un vicolo cieco. Solo un'altra avventura è possibile: il superamento dell'economia di mercato, al di là delle vecchie idee del socialismo di Stato. Dopo, potrà cominciare un'altra storia.
- Robert Kurz - da "Il Libro Nero del Capitalismo" - Introduzione alla nuova edizione del 2009 -
Fonte: EXIT!
Nessun commento:
Posta un commento