Rimasta sulla scrivania di Oliver Sacks fino a due settimane prima della morte, questa raccolta di scritti ci offre la sintesi di tutte le sue tensioni conoscitive nell'ampio ventaglio di discipline che si intersecano con la neurologia: botanica e anatomia animale, chimica e storia della scienza, filosofia e psicologia – senza dimenticare la passione letteraria. Ed è proprio questo ventaglio a permettere a Sacks di scomporre il fiume della coscienza umana, e di farne emergere i caratteri più sconcertanti e controintuitivi. Esplorando le forme di vita «senziente» lungo l'intera scala degli «esseri organizzati» – a partire da piante come la Mimosa pudica, le cui foglie si contraggono alla minima sollecitazione tattile, e da certi vermi capaci di auscultare le vibrazioni del terreno e di sfuggire così agli uccelli predatori –, Sacks ci mostra come molte «menti» elementari condividano con noi proprietà fondamentali. E ci rivela anche come la fluidità e continuità di quel «fiume» sia in realtà composta da una successione di microsequenze discrete e possa essere minata da «bachi» sensoriali quali gli scotomi o l'ampia gamma di amnesie e inganni della memoria che va dai traumi sessuali immaginari a vere e proprie affabulazioni (come quella di Binjamin Wilkomirski, che descrive una sconvolgente esperienza concentrazionaria senza averla mai vissuta). La somma di queste indagini finisce così per assumere un valore testamentario, facendo confluire le scoperte e gli interrogativi di un grande esploratore della mente e della natura.
(dal risvolto di copertina di: Oliver Sacks, Il fiume della coscienza. Adelphi.)
Addio alla vita con i fiori di Darwin
- di Piero Bianucci -
Due settimane prima di morire Oliver Sacks pubblicò sul New York Times un lungo articolo intitolato Shabbat. A 82 anni, non credente, andava alla riscoperta delle radici ebraiche, incluse quelle religiose e rituali. È alla fine della vita che ci si volta indietro, ed è come posare lo sguardo su un panorama vasto, familiare e nello stesso tempo velato dalle foschie della lontananza. Sacks aveva appena contemplato il suo lungo passato scrivendo
In movimento: 400 pagine autobiografiche, storia di un medico con la passione delle motociclette, amante della musica, sperimentatore dell’LSD e altre droghe, omosessuale a lungo clandestino, autore di successo. In questo clima di congedo imminente, pochi giorni prima di cedere alle metastasi di un melanoma, Sacks convocò tre amici e consegnò loro una decina di saggi brevi perché ne curassero la pubblicazione sotto il titolo Il fiume della coscienza.
Quegli scritti di argomento vario, lievi ma non leggeri, che un indice dell’autore cercava di mettere in una successione coerente, nascevano da un incontro televisivo del 1991, quando Sacks si era trovato a conversare con il fisico Freeman Dyson, il biologo Rupert Sheldrake, il paleontologo Stephen Jay Gould, il filosofo Daniel Dennett e lo storico della scienza Stephen Toulmin. Un Parnaso di intellettuali dalla notorietà planetaria. I testi ispirati dal dibattito davanti alle telecamere e rimaneggiati alla vigilia del passo di addio, possiamo leggerli ora come una seconda piccola autobiografia, questa volta di taglio scientifico, impressionistica, concisa e sfumata come le pennellate di Claude Monet.
Ritroviamo qui molte ricerche che, con il pretesto di bizzarri casi clinici, hanno fatto di Sacks uno straordinario narratore: il «mal di testa» – tecnicamente emicrania –, l’arto fantasma, la cecità ai colori, le allucinazioni sensoriali, la sindrome di Tourette, l’encefalite letargica, le intermittenze della memoria. Più la curiosità per la botanica e la chimica di quando era ragazzo e frequentava il laboratorio di «Zio Tungsteno». Se per coscienza intendiamo la consapevolezza di sé che emerge dalla mente, a sua volta radicata nella fisicità del cervello, non la riconosceremo come il collante che tiene insieme debolmente la diversità enciclopedica di queste pagine. Ma Sacks adotta una idea di coscienza più ampia, tanto da intravvedere qualche traccia di «vita mentale» persino nelle piante. E per non sembrare troppo eretico si fa guidare dall’autorità di Darwin, che al mondo vegetale dedicò gran parte dei suoi studi dopo aver pubblicato nel 1859 L’Origine delle specie, paradigma dell’evoluzione biologica.
L’icona classica è un Darwin che alle isole Galàpagos intuisce la legge dell’evoluzione – mutazioni casuali e successo riproduttivo del più adatto – osservando la diversa forma del becco in una dozzina di specie di fringuelli. Ma Darwin fu botanico ancora più che ornitologo: 200 piante raccolte in quell’arcipelago formano una collezione oggi considerata «l’esempio meglio documentato prodotto da Darwin sull’evoluzione delle specie insulari». L’interesse per le piante – fa osservare Sacks – in Darwin non era classificatorio ma tutto teorico e orientato alla verifica della concezione evoluzionistica. Lo affascinavano i viticci delle piante rampicanti e gli apici delle foglioline di avena ancora chiuse nelle gemme: in essi vedeva la manifestazione di una «intelligenza» guidata dalla luce, e lo dimostrò con esperimenti in cui schermava le zone fotosensibili.
La comparsa dei fiori, databile intorno a 100 milioni di anni fa, è uno snodo cruciale dell’evoluzione. Darwin notò nelle primule due tipi di fiori e ciò lo indusse a studiare la sessualità delle piante e a mettere in discussione l’idea dell’autofecondazione. Se l’autofecondazione avesse vinto, scrive Sacks, «il mondo sarebbe rimasto fermo a un’unica pianta autofecondata invece di possedere la straordinaria gamma di specie che di fatto ha». Ed ecco Darwin alla ricerca delle soluzioni evolutesi per evitare l’autoimpollinazione: strutture anatomiche, ma anche complesse nicchie ecologiche. Il mondo fiorisce, diventa colorato e profumato per attirare gli insetti impollinatori, e gli insetti sviluppano organi e abilità per estrarre il polline. Il cerchio si chiude quando alcune piante, per esempio la Drosera, «imparano» a catturare gli insetti e diventano carnivore. È la scoperta della coevoluzione. Restava tuttavia l’enigma di una orchidea del Madagascar dotata di un nettario lungo trenta centimetri, inaccessibile a tutti gli insetti impollinatori noti. Darwin predisse che sarebbe stata scoperta una falena «munita di una proboscide abbastanza lunga da sondarne le profondità». Non sbagliava. Decenni dopo la sua morte quella specie di falena venne finalmente scoperta e fu il suo capolavoro teorico.
Come si vede, il «fiume della coscienza» che Sacks cerca di tracciare è in realtà il torrente carsico della ricerca. Dalle astuzie vegetali alla chimica della mente, dalla fallibilità della memoria al mistero delle illuminazioni creative, Sacks dà al lettore la vertigine di una cultura elegante e sconfinata. Esperienze e letture accumulate nei decenni lo supportano. Da bambino cercava di rallentare o accelerare i fenomeni della natura scattando lunghe sequenze di fotografie. Da neurologo osservava rallentamento e accelerazione nei malati di Parkinson, nei letargici trattati con dopamina, nei tic di chi ha la sindrome di Tourette. In uno dei saggi-racconto torna al suo esordio di neurologo, quando si occupava di emicrania, analizza l’aura che talvolta accompagna questo malessere con allucinazioni – forme luminose a zig-zag che attraversano il campo visivo – e scopre che se n’era già occupato un astronomo, John Herschel, ottocentesco esploratore del cielo australe, ma nessuno l’aveva notato. Il cammino del sapere non è lineare, oscilla a caso tra scoperte e oblio: l’ultima passione di Sacks è stata la filosofia della scienza.
- Piero Bianucci - Pubblicato su Tuttolibri del 14/4/2018 -
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