lunedì 22 aprile 2013

parlamenti 2

basta tauride

6 Gennaio 1918, Palazzo Tauride, Petrograd.

Quando Chernov cominciò ad affrontare il secondo punto all'ordine del giorno della sua Agenda - la discussione di un disegno di legge di riforma agraria - sul viso dei compagni vicini si disegnò un'espressione di sincera sorpresa. "Perché continuare questa farsa?" Queste parole caddero come un triste acquazzone autunnale. Le tribune si stavano svuotando lentamente. Era scesa la notte. Solo i soldati ed i marinai rimanevano in galleria. Non contavano di poter tornare a casa: "Dormiremo qui." Nell'auditorium era caduto il silenzio. Ogni passo rimbombava sordamente nei corridoi, ogni fruscio riecheggiava nei palchi, mentre saliva, palpabile, nella sala, un terrore, non sacro, ma empio.
Anche Chernov, per un po' non venne ascoltato da nessuno; perfino lui era in preda allo stesso terrore. Faceva uno sforzo visibile per riuscire a mantenere una calma di facciata, come sempre, spostando e mescolando fogli sulla sua scrivania di presidente e facendo finta di studiarli.
Questa Assemblea Costituente stava morendo lentamente, senz'agonia. Quello che hanno raccontato a proposito del fatto che sarebbe stata sciolta con la forza, è una volgare sciocchezza. Chi avrebbe mai voluto sollevare un tale clamore su quella che era una reliquia vivente che si trasformava velocemente, sotto gli occhi di tutti, in un cadavere? Guardatela, adesso ... il battito cardiaco si sente a malapena, appeso a un filo sottile ... un altro battito ... sempre più debole ... si affievolisce fino a sparire del tutto ...
Un silenzio sepolcrale pervade la sala. Le luci elettriche insopportabilmente brillanti che sovrastano l’auditorium, rendono questo silenzio, questo mortorio, ancora più evidente. E senza nemmeno accorgersene, il delegato che relaziona su una legge di riforma agraria senza fine, abbassa la sua voce fino a trasformarla in un sussurro.
"BASTA!"
Calmo e fiducioso, come un colpo sparato a bruciapelo, il grido del marinaio squarcia il sussurrio della relazione. I deputati, istintivamente si abbassano dietro i loro scranni, alzando gli occhi impauriti a guardare in alto, verso la galleria. E c'è talmente tanto terrore animale, in questo riflesso, che un marinaio appoggiato alla balconata, sputa disgustato verso le panche vuote dietro di lui.
"Ehi, voi ..."
"BASTA!"
Chernov solleva la sua testa brizzolata e avvicina a sé il campanello, ma non lo suona. Capisce che non è il momento di suonarlo. Fa un gesto verso il relatore, che si era interrotto, come di continuare. Lui stesso, ostentando un'aria di nonchalance, china gli occhi su quello stesso pezzo di carta che si trova steso davanti a lui da diverse ore. Ma deve rialzarli quasi subito, perché dietro di lui, qualcuno, in piedi, gli sta bussando leggermente sulla spalla: il capitano delle guardie, il marinaio Zheleznyak, leggermente piegato, sta dicendo qualcosa che non si riesce a sentire nella sala ...
Chernov, indignato e perplesso, ricade sulla sua sedia.
"Ma ... Anche tutti i membri dell'Assemblea Costituente sono molto stanchi, ma nessuna stanchezza ci impedirà di portare a termine il nostro compito: di lavorare alla riforma agraria che la Russia si aspetta da noi."
Ed ecco che la voce del marinaio, con calma sprezzante, senza nessuna minaccia, risuona per tutta la sala: "Le guardie sono stanche. Suggerisco che lasciate la sala."
Chernov si appoggia al tavolo e si volge a guardare direttamente negli occhi dei componenti del suo partito che, immobili e incupiti, sembrano incatenati ai loro scranni - non un segno, non una parola ... E, guardando con la coda dell'occhio la schiena del capitano che si allontana, Chernov borbotta: "E' stata presentata una mozione, al termine di questa sessione, circa l'accettazione della legge di riforma agraria, senza dibattito; il resto della discussione può essere trasferito ad una commissione ..."
"Ma che cosa sta dicendo?"
Intorno a me, i marinai si stanno strozzando per le risate. "Cos'ha detto quel pagliaccio? Una mozione? Una barzelletta ..."
Intanto stanno votando. La mozione è stata accettata. Chernov si guarda attorno: il capitano delle guardie non si vede.
"Propongo anche che venga rivolto un appello al mondo civile ..." Ingoiando le parole, qualcuno legge, impaurito, l'appello.
La galleria attende con pazienza: l'allegria provocata dalla furbata di Chernov non si è ancora dileguata.
La mozione viene accolta. Zheleznyak non c'è.
Con la stessa velocità, la dichiarazione a proposito della 'politica di pace', è approvata.
Stringendo i tempi, Chernov sta provando a continuare a seguire la sua Agenda. Facendo frusciare i suoi fogli, un altro delegato si dirige verso la tribuna. Di nuovo, i volti dei soldati e dei marinai si fanno scuri e cupi. Sono le 4 e 30 del mattino ...
"BASTA!"

basta marinai

Un brivido attraversa la sala. Poi, una tempesta di grida. Non si riesce a sentire una parola della relazione, si può solo cercare di leggere il movimento delle labbra esangui che si contraggono spasmodicamente intorno a parole inaudibili.
"Fuori! Basta! BA-A-STA!"
In sala non c'è più solo terrore. Ora c'è anche pura follia. Non si riesce a riconoscere nei marinai quelli che fino a pochi secondi fa stavano ridendo. Le loro grida si fanno sempre più alte, mentre le sopracciglia si incontrano minacciosamente sopra i loro occhi. Le pupille dilatate, i nervi tesi come una molla pronta a scattare, il respiro trattenuto dolorosamente, il marinaio accanto a me, lentamente, in silenzio, solleva il fucile che finora teneva stretto fra le ginocchia.
Da qualche parte si sente il rumore secco dello scatto di una sicura ...
"BASTA!"
Giù in basso, dalla galleria, si possono vedere, umoristicamente vulnerabili, le teste accuratamente pettinate dei delegati.
Ancora un minuto, un secondo ...
Chernov bruscamente spinge indietro la sua sedia, si alza e si allontana dalla tribuna come compiendo un frettoloso passo di danza. Le canne dei fucili baluginano. "Qual è il problema?"
"Questa sessione dell'Assemblea Costituente viene dichiarata chiusa."
"E' venuto il momento ..."
Rumorosamente e felicemente, quasi fosse stato tolto un peso da ciascun cuore, i soldati si chiamano fra loro, stirandosi e sbadigliando, qualcuno a bocca spalancata, "Attento, ti entrano le mosche."
"Bene, siamo stati quasi per fare un bel mucchio di cadaveri ... " dice un giovane marinaio, strizzando gli occhi mentre ride, come per scacciar via i recenti pensieri di sangue. "Ancora un po' e avrebbero fatto di noi dei peccatori."
"E non ci saremmo certo congratulati per questo, credimi."
"Stai scherzando? Per questa spazzatura? noi, marinai di Kronstadt?"

Intanto, in un solo gruppo, stringendosi gli uni agli altri come un gregge di pecore, i deputati si affollano intorno alla porta. Ognuno cerca di passarci. Ognuno prova a passare da una porta, quella destra, sebbene quella a sinistra sia perfettamente sgombra. Non vogliono separarsi, apparentemente ...
Dopo, all'uscita, nel vestibolo. Camminano insieme sempre come un gregge di pecore, cercando di non guardarsi intorno, come bambini nel buio.
A braccetto, inciampando nella neve, in mezzo alla strada, il più lontano possibile dai portoni bui e dai cancelli, camminano. Tutto il partito insieme. Fino alla Prospettiva Tauride. In silenzio. Spaventati. Indifesi.
Oltrepassandoli, si sente Zenzinov (se ne riconosce la voce) dire a quello accanto a lui, mentre struscia mestamente le sue galosce contro i cumuli di neve, "Beh, onestamente, bisogna ammetterlo, ci siamo comportati con dignità."

Così escono di scena, le ultime ombre vacillanti della Rivoluzione di Febbraio.

bastaJeleznakoff

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