Jacques Derrida insiste. Nessun carattere fantasmatico, né tantomeno spettrale, nelle due scarpe dipinte da Van Gogh. Eppure - continua - esse oscillano fra due spettralità, una giocata sull'assenza e un'altra giocata sulla presenza; addirittura, la scarpa come il suo proprio spettro, lo spettro di sé stessa: nel suo abbandono, nella sua materialità che, letteralmente, si svuota. La scarpa, come indizio, se non come prova, di uno spettro assente, esterno alla scarpa. Quasi una soglia, la scarpa, che chiude il visibile.
Questo discorso di Deridda (scritto in opposizione allo sproloquio di Heidegger a base di "chiamate della terra") si può ampliare, dirigendolo verso un'altra immagine, successiva di settant'anni al quadro di Van Gogh. Natale 1956, l'ultima passeggiata di Robert Walser, le impronte della scarpe sulla neve, il percorso tracciato a segnare la progressione del corpo fino al punto in cui è crollato, la mappa di una messa in scena di un'ambivalenza insolubile giocata fra la presenza e l'assenza. L'immagine di Walser mette in scena tanto gli aspetti contraddittori della spettralità, quanto la vocazione a camminare di Walser. Gli stessi elementi che si trovano dentro le scarpe di Van Gogh. Sebald racconta questa tensione temporale che percorre l'immagine dei passi di Walser nella neve, senza però indicare come essa possa essere l'immagine più emblematica dell'opera e dell'uomo Walser. La vede come una presenza minore, subalterna, la definisce "a bassa frequenza" nella sua relazione con il mondo, con l'esterno. E così utilizza termini simili a quelli che utilizza Meyer Schapiro nella sua querelle con Heidegger, nel suo testo, sempre a proposito delle scarpe di Van Gogh.
E Derrida parla di Meyer Schapiro (l'altro critico delle stronzate di Heidegger) come se si trattasse di un detective. Marshall Berman, nel suo saggio del 1994 su Schapiro, incluso in "Adventures in Marxism", va ancora oltre, fino a chiamarlo "detective ontologico": un detective che fa domande sui quadri di Van Gogh alla ricerca di prove; prove che attestino il crimine di Heidegger, il crimine di aver preso il quadro come un esempio a sé stante, sganciato dal contesto dell'artista. Da un'altra parte, invece, in Walser non c'è delitto, ma una scena di morte, di abbandono. Le tracce nella neve non portano verso il futuro. Ma verso il passato, ad una lettura retrospettiva della vita e dell'opera di Walser, a partire da una scena ambivalente e desolante, ma anche emblematica e poetica.
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