Quando si «faceva» una banca si portavano sempre armi di precisione, una misura precauzionale nel caso gli sbirri fossero intervenuti prima del previsto. Per fortuna, nelle azioni del «2 giugno» questo non successe mai. Se i rapinatori facevano di tutto, e con la massima velocità, per non trovarsi davanti gli sbirri, questi ultimi spesso e volentieri davano una mano per evitare tali incontri indesiderati. Una volta, la polizia partì dopo una segnalazione radio di rapina in corso per catturare un povero disoccupato armato di scacciacani. Subito furono allertate le unità mobili, che si diressero verso la banca segnalata. Ma dopo questo primo allarme «muto» (lanciato senza che il rapinatore se ne accorga), un impiegato telefonò alla centrale da una stanza sul retro della banca e fece una descrizione della rapina in corso. Una nuova segnalazione fermò allora le macchine della polizia: «Qui centrale! Attenzione, rapina in corso alla banca… in via… Prendere misure di sicurezza, si tratta di due donne e un uomo (l’impiegato non aveva visto il terzo uomo, appostato in macchina davanti all’entrata) armati di pistole automatiche!». Era chiaro ormai che si trattava di «terroristi». 500 metri prima di arrivare alla banca segnalata la volante si fermò e chiese allora alla centrale «nuove istruzioni». Nessuno in centrale riusciva a capacitarsi di come le volanti non riuscissero a trovare una banca con l’insegna cosi ben visibile dalla strada. Anche se gli attivisti erano molto parsimoniosi, la guerriglia urbana costava parecchio. A metà degli anni Settanta, un gruppo di dieci persone aveva bisogno di circa l'equivalente di 10.000 euro al mese, solo per le spese di servizio. Servivano poi altri soldi per preparare le azioni, procurarsi le attrezzature, affittare appartamenti e macchine. La sinistra povera non se lo poteva permettere. Chi doveva lasciare un appartamento non più sicuro non si metteva a richiedere indietro i soldi della caparra e, se aveva bisogno di un posto tranquillo per sparire per un po’, non poteva fare troppo il difficile ed era disposto a pagare qualsiasi cifra. Non parliamo poi dei biglietti di treni, aerei e delle macchine noleggiate, che erano sicure e non destavano alcun sospetto, ma erano care. Poi ciclostili, fotocopiatrici, attrezzature varie, armi e munizioni. Le banche tedesche finanziavano anche, senza saperlo, progetti sociali (centri giovanili, gruppi di solidarietà con i detenuti), giornali, libri, attività di quartiere e programmi di cooperazione con paesi esteri, come il Cile. Non tutti sapevano chi riempiva i loro salvadanai con banconote da cento marchi, ed era meglio così, per la loro e la nostra sicurezza. Alcuni se lo immaginavano, altri lo sapevano con certezza e, anche chi in seguito dichiarò di essere sempre stato contrario ai metodi illegali, i soldi li ha sempre presi e usati volentieri. L’autofinanziamento per mezzo delle rapine in banca è una pratica che appartiene al passato. Oggi la sinistra usa altri strumenti, molto meno rischiosi per tutti: il lavoro, le eredità, le sottoscrizioni, i fondi statali. Certo, è un’altra sinistra quella che ha scelto di abbandonare gli espropri e si è messa a riempire moduli per ricevere sovvenzioni dallo Stato, sono diverse non solo le forme, ma anche la sostanza, il rapporto con lo Stato, con la ricchezza, con le organizzazioni istituzionali.
Le rapine non hanno mai ridistribuito la ricchezza nella società ma quando si «faceva» una banca si dava un segnale di rottura, si rifiutava il legame con il lavoro e lo sfruttamento su cui si basa il sistema economico capitalista che, come è noto, non è meno ladro di un commando di compagni che irrompe in una banca.
Sono molti i militanti che hanno trascorso anni in carcere per aver «fatto» delle banche. Solo per rapina, gli attivisti del «2 giugno» hanno ricevuto in tutto più di Ioo anni di carcere. Di poca consolazione è il fatto che tutti sono stati condannati per altri reati, e che le rapine non abbiano, di fatto, inasprito la loro pena. Chiedersi oggi se sia valsa la pena di «farsi» le banche equivale a chiedersi se abbia avuto un senso tutta l’attività della sinistra radicale negli anni Settanta, per la quale non era importante guadagnarci qualcosa, ma vincere. Senza «farsi» le banche, le attività e i progetti della sinistra militante non avrebbero avuto alcuna efficacia. Ma la vittoria dipendeva dal momento storico, dai rapporti di forza nella politica. Avere abbastanza spiccioli era solo un aspetto. E una preoccupazione in meno.
- Klaus Viehmann - "Movimento 2 giugno" -
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