giovedì 14 febbraio 2013

rivoluzioni verbali

lavoro

Il termine "collettivizzazione" - utilizzato per la prima volta nel 1936, da Juan Fàbregas - non faceva parte, prima della guerra civile, del lessico della CNT, che preferiva utilizzare termini come "socializzazione della proprietà" o "socializzazione delle ricchezze". La socializzazione di settori interi della produzione, sotto il controllo del sindacato e senza l'intervento dello Stato, avrebbe dovuto permettere di pianificare l'industria e di correggere i difetti delle collettivizzazioni spontanee (egoismo, spreco, concorrenza, differenze salariali).
Fra il 1936 ed il 1938, in Spagna, queste collettivizzazioni interessano la maggior parte delle imprese private (tessili, metallurgiche, alimentari, agricole). La maggior parte dei padroni, e dei loro finanziatori, sono all'estero e quelli che hanno deciso di rimanere nelle loro imprese hanno accettato di farlo da salariati.
Si possono distinguere tre tipi di collettivizzazioni:
1) Le imprese, soprattutto straniere, dove il proprietario rimane teoricamente al suo posto ed i lavoratori eleggono un Comitato di Controllo Operaio.
2) Quelle dove il padrone viene sostituito dal Comitato.
3) Le imprese socializzate che raggruppano tutti quelli che operano nello stesso settore di attività; ad esempio, l'industria del legno.

Le collettivizzazioni furono una risposta spontanea ad una situazione di crisi e rappresentarono l'instaurazione di una "nuova forma di proprietà privata dove i lavoratori di un'impresa si sostituivano, in quanto proprietari, ai padroni e agli azionisti che erano scappati". Così, la collettivizzazione avrebbe dovuto essere il primo atto, fondante dell'approccio autogestionario; la socializzazione avrebbe dovuto seguire come atto superiore, che raggiungeva il culmine rivoluzionario, organizzato, coordinato e pianificato.
Così, avvenne che, mentre i lavoratori eleggevano, nelle assemblee generali, i loro rappresentati presso i diversi comitati, il potere d'azione di tali comitati veniva sempre più limitato e circoscritto, a partire dal fatto che lo stato rimaneva al proprio posto e la proprietà privata non veniva abolita. Nel corso dei primi mesi - secondo gli osservatori ed i protagonisti - operai ed impiegati si diedero molto da fare, visibilmente felici di poter prendere nelle loro mani la propria esistenza e "moralizzare" così l'economia. Iniziarono a migliorare le condizioni di lavoro e a produrre il più e meglio possibile, per soddisfare i bisogni essenziali della collettività e quelli dei miliziani al fronte; l'autogestione permetteva loro di produrre più razionalmente ed in migliori condizioni. La giornata lavorativa era di otto otr, il salario fisso e leggermente aumentato. Si percepiva tutti lo stesso salario, senza più distinzioni fra i sessi, ed i salariati con familiari a carico (bambini o vecchi) ricevevano di più. Ma in certe fabbriche, i profitti venivano ripartiti fra gli operai e, di conseguenza, le paghe variavano fra una fabbrica e l'altra, anche nello stesso settore industriale.
Se, da un lato, si prevede di sbarazzarsi di tutto quello che incarna un'economia di tipo capitalista (gli intermediari superflui, gli speculatori e gli affaristi) e si tenta di stabilire una priorità dei bisogni, di armonizzare la produzione e la distribuzione, di controllare e coordinare le imprese, in una parola, di socializzare l'economia; dall'altro lato, sempre più le difficoltà emergono, non tanto correlate alla guerra ed al cattivo funzionamento dei Comitati Operai, quanto alla mancanza di materie prime, di risorse e denaro: tutte controllate dallo stato, ed a suo piacimento.

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Ben presto, l'inflazione annulla l'effetto degli aumenti salariali, mentre la mancanza di attività di alcune imprese non permette agli operai che di lavorare tre giorni la settimana (pagati quattro); rispunta lo spettro della disoccupazione e della penuria. Nel settore siderurgico, la svalutazione della peseta fa aumentare il costo dell'importazione di materie prime. Juan Peirò, riformista della CNT e futuro ministro dell'industria nel novembre 1936, riesce a dare un solo consiglio su Solidarid Obrera del 25 agosto 1936:
"I lavoratori devono lavorare con maggiore intensità, e per più ore, se ce ne sarà bisogno, poiché questo è il solo modo razionale di ridurre i costi di produzione. La misura sarà identica in tutte le industrie e soprattutto in quelle dove la materia prima viene importata." E aggiunge: "So bene che questo sarà uno shock per molti lavoratori, soprattutto quelli che lavorano per conto del capitalismo. (...) Ma l'economia generale coinvolge nella stessa maniera i capitalisti ed i proletari."
In un discorso tenuto nel mese di ottobre, anticipa l'instaurazione di un "regime di transizione, dopo la guerra". " (...) Che importa fare compromessi, se i compromessi oggi sono il modo migliore per trionfare?"
Ma la maggioranza degli operai barcellonesi non si comporta affatto come vorrebbe la CNT. Non solo non si sentono investiti della responsabilità della produzione, ma continuano a chiedere aumenti salariali e riduzioni dell'orario di lavoro.
Anche perché la borghesia, ripresasi dalla paura del mese di luglio, sta riprendendo il controllo di un'economia divenuta più attenta al bene comune. Assecondata dai socialisti e dai comunisti, manovra per restaurare la proprietà privata e spezzare il movimento di collettivizzazione che, nelle campagne, cerca di passare allo stadio della socializzazione. Quanto ai dirigenti della CNT, essi partecipano volenterosamente vantando i meriti del "Decreto di Collettivizzazione" del 24 ottobre 1936, limitato alle imprese con più di 100 salariati. Con tutto quello che viene detto o scritto all'interno della CNT e dei suoi organi, è difficile, per un osservatore, riuscire a distinguere un anarcosindacalista realmente partigiano della socializzazione integrale dell'economia, da un burocrate che accetta di servire da cinghia di trasmissione  dello Stato, e che usa un doppio linguaggio.
Ovviamente, il suo peso lo ha anche la guerra, a frenare l'entusiasmo rivoluzionario e a rompere la solidarietà proletaria. La militarizzazione delle milizie andrà a colpire la vita e la speranza dei miliziani in Aragona, come colpirà quella degli operai nelle fabbriche di Barcellona, a titolo diverso. Per i primi, sarà il soldo di 10 pesetas al giorno, come essere pagati per fare la rivoluzione ... allora non è una rivoluzione!

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Secondo le parole di Bataille, pronunciate nella sua conferenza dell'aprile 1938, a proposito della rivoluzione russa, ed in perfetta corrispondenza con quello che accadeva in quel momento in Spagna: "Il fondamento rivoluzionario, in poco tempo, venne relegato al rango di realtà pressoché esclusivamente verbale. Il campo a quel punto si è dunque aperto, senza restrizioni, alle istituzioni militari, sviluppate a partire dalla necessità di vincere, all'esterno, e di costringere, all'interno. Nessuna consistenza potevano avere quegli elementi tragici che, fin da subito, avevano abdicato dinanzi alla pretesa realtà del lavoro, il lavoro non può creare un mondo, così il potere ha assunto in poco tempo una struttura esclusivamente militare."

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