martedì 12 febbraio 2013

rifiuto del lavoro

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Nel bel libro di Michael Seidman, "Ouvries contre le travail" (qui liberamente scaricabile, in francese), lo scrittore e storico americano argomenta che «Il rifiuto del lavoro non fa parte dei comportamenti di una classe operaia "arretrata o "arcaica, ma rimane una parte intrinseca della cultura operaia, e continua a comparire in periodi differenti e in diversi tipi di divisione del lavoro.». Si esprimerà anche nella Spagna del 1936-38, il rifiuto del lavoro, sotto forma di azioni collettive, o individuali, che permetteranno agli operai di evitare il lavoro salariato.
« L'assenteismo, le false malattie, i ritardi e gli scioperi costituiscono la resistenza diretta. (...) La resistenza indiretta consiste nel furto, nel sabotaggio, nella perdita dei ritmi, nell'indisciplina e nell'indifferenza. (...) A Barcellona, la disobbedienza implicava l'implicita sconfessione della direzione economica esercitata dai sindacati. (...) Tutto questo limitava il rendimento e provocava la reazione coercitiva degli apparati sindacali. »
A questo quadro, bisogna aggiungere quella che era l'alta pressione morale, veicolata dagli ambienti anarchici, che di fatto impediva di rivendicare, "alto e forte", il rifiuto del lavoro, ed il suo significato; pur sapendo che nel periodo dal 1936 al 1938, i dirigenti si lamentavano, costantemente ed effettivamente, della bassa produttività e della "letargia" degli operai.
A questo punto c'è da fare una breve premessa: quando la CNT uscì dalla clandestinità, nell'aprile del 1931, migliaia e migliaia di operai si affiliarono ad essa, ma i dirigenti sindacali si lamentavano del fatto che non pagassero le quote e non partecipassero alle riunioni. Fu allora che si ritenne di non autorizzare a lavorare un iscritto che non pagava i contributi. Questo a fronte di un propletariato assai combattivo, in una situazione in cui si verificavano continuamente manifestazioni violente dei disoccupati che coincidevano con continui scioperi, al punto che la CNT dovette riconoscere di non essere in grado di controllare la serie di agitazioni che scoppiò nell'estate del 1931. La rivendicazione principale era "la soppressione totale del cottimo e dei premi di produzione". Diminuire i ritmi e ridurre il tempo di lavoro, era la seconda rivendicazione. QUando lo sciopero si rivelava inefficace, o difficile da continuare, si ricorreva al rallentamento del lavoro. Era un clima in cui anche i capisquadra contestavano l'autorità dei padroni e ricorrevano alla violenza per dare più forza alle loro rivendicazioni. Così, dal 1931 al 1936, vennero ottenuti salari più elevati e settimana di lavoro più corta, oltre che la soppressione del cottimo.
Così arriviamo al luglio 1936, e alla rivoluzione, quando la CNT, insieme alla UGT, si va ad occupare della gestione del lavoro nelle imprese e "va a combattere tutte quelle aspirazioni che prima aveva incoraggiato"!
Dopo la rivoluzione, i due aspetti della CNT - organismo rivoluzionari e sindacato dei lavoratori - entrano in conflitto fra di loro, dal momento che la classe operaia barcellonese continuerà a battersi, in circostanze ancora più sfavorevoli, per lavorare di meno e guadagnare di più. E la CNT deve affrontare, oltre ai nemici di classe, anche coloro che pretende di rappresentare.

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Il decreto che istituisce le 40 ore settimanali, ad esempio, verrà considerato dalla CNT come "rovinoso, suicida e contro-rivoluzionario", mentre sarà giudicato un "grave errore", l'aumento del 15% dei salari, stabilito nello stesso decreto. Nonostante la riduzione dell'orario e l'aumento del salario, ci saranno ancora operai che diserteranno le fabbriche, e allora : "In esecuzione con gli accordi presi durante l'ultima assemblea, sono stati rimossi dalle liste degli operai, quegli individui che hanno abbandonato il lavoro allo scoppiare della rivoluzione, così come quelli che hanno smesso di lavorare senza un motivo valido". O ancora: "Il 15 agosto 1936, il Comitato di Controllo dei trasporti pubblici chiede che tutti i lavoratori giustifichino la loro assenza per mezzo di un certificato medico. Cinque giorni dopo, vennero nominati un membro del Comitato ed un medico per controllare i malati, a domicilio."
Molti di quelli che, dopo il luglio 1936, sono "dispersi alla fabbrica", sono fra i partecipanti alle espropriazioni dei beni dei ricchi e, se non appartengono ai comitati della CNT, vengono qualificati come "saccheggiatori" e fermamente repressi dai sindacati. Il 26 luglio, la stampa già avverte che "ronde volanti di vigilanza" pattugliano la città per arrestare "sciacalli e saccheggiatori" ed altri cani sciolti che verranno portati al carcere Modello.
Sappiamo che nei primi mesi della rivoluzione, militanti e milizie erano molto mobili, andavano avanti e indietro dalla città al fronte e viceversa, passando per le comuni agricole e partecipando a diversi centri sociali e culturali. Alcuni non si sentivano affatto in sintonia con il collaborazionismo della CNT-FAI e ritenevano di non dover rendere conto di niente al sindacato. E se, da una parte, i sindacalisti anarchici e comunisti trovavano dei partigiani realmente devoti in una sparuta minoranza di lavoratori, dall'altra parte, molti di quelli che aderivano, lo facevano perché la vita era dura, senza tessera sindacale; spesso l'unico modo per avere accesso alle cantine, agli aiuti sociali, inoltre permetteva di trovare lavoro e mantenerlo, oltre ad essere ammesso in ospedale, viaggiare, ecc..
Una gran parte dei nuovi affiliati, non troppo politicizzati, erano riluttanti a partecipare alle riunioni e pagare le quote; e venivano avvertiti che
"I compagni dei Comitati di controllo devono considerarsi degli operai, allo stesso titolo degli altri, e sono quindi tenuti a lavorare.(...) Se un compagno sabota il nostro lavoro verrà immediatamente espulso."

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Gli storici pro-anarchici hanno affermato che la crescita del potere statale è stata responsabile della demotivazione degli operai delle collettività barcellonesi e che, nei primi tempi, lavoravano con entusiasmo. Sembra invece che sia accaduto l'esatto contrario e che lo Stato e la Burocrazia si siano rafforzati proprio come risposta alla resistenza operaia al lavoro: « L'ideologia anarcosindacalista dello sviluppo economico include una filosofia politica democratica che viene estesa alla fabbrica. I mezzi di produzione devono essere sviluppati con l'accordo, e sotto il controllo, degli operai stessi. (...) Gli anarcosindacalisti volevano quella che si conosce come autogestione, ovvero controllo operaio sulle fabbriche. (...) Ma i teorici anarcosindacalisti non hanno mai riflettuto in profondità sull'eventuale conflitto tra la forma democratica dei consigli ed il contenuto dei programmi di razionalizzazione economica e di industrializzazione. (...) Di fronte alla scelta fra la partecipazione operai alla produzione e la sua efficacia, alcuni libertari hanno stabilito che bisognava punire quelli che "a causa della loro cattiva volontà o di qualsiasi altro motivo, non vogliono cedere alla disciplina consensuale.» La nuova élite di militanti sindacali va a mettere in atto, per garantire che gli operai lavorino e producano sempre di più, sia le vecchie che le nuove tecniche di coercizione!
Ma già alcuni, prima del 1936, avevano avvertito che "un parassita non otterrà nulla durante la rivoluzione". Così Ángel Pestaña aveva preconizzato che si creassero delle "carte d'identità di lavoro" per controllare i pigri. Un altro militante sosteneva che una società comunista libertaria non dovesse fare uso della forza contro coloro che non vogliono lavorare ma, piuttosto, bisognava trattarli come dei deficienti mentali e lasciarli andare, di modo che non turbassero la pace sociale. Il congresso della CNT, del 1936 a Saragozza, propose di fare assemblee popolari incaricate di disciplinare "quelli che non compiono il proprio dovere, sia sotto l'aspetto morale, sia come produttori".
Dal luglio 1936 al gennaio 1939, i sindacati CNT e UGT procedettero insieme, nonostante le difficoltà dovute alla guerra ed ai loro dissensi, a razionalizzare e a modernizzare l'arcaico apparato industriale barcellonese. Si batterono per creare un mercato nazionale competitivo; cosa di cui la maggior parte dei militanti rimase molto fiera.
La necessità urgente di formare dei tecnici, in grado di trovare dei sostituti per il materiale mancante e che mettessero in piede delle nuove industrie, fece sì che la CNT cercasse, ed ottenesse, il sostegno parziale di questa categoria di lavoratori, generalmente detestata dalle tute blu. Nel gennaio 1938, la CNT dà l'avallo ad una proposta volta a dare ai tecnici potere coercitivo. Il livellamento dei salari, praticato a partire dal luglio 1936, subisce un grave colpo e si aggrava l'indisciplina della base; mentre si accentua il centralismo democratico rampante dei sindacati. Nel gennaio del 1937, il ministro anarchico dell'industria, Juan Peiró, sostiene che il livellamento dei salari va contro il principio libertario e sindacalista "a ciascuno secondo il suo lavoro": « Il tecnico ha più bisogni dell'operaio ordinario. E' necessario che sia doppiamente ricompensato. »
Nelle fabbriche, gestite tanto dalla CNT quanto dall'UGT, una buona parte dei metodi che caratterizzano la produzione capitalista, fra cui il taylorismo, vennero pertanto mantenuti, e perfino rivendicati dalla "società proletaria" durante la fase di transizione!

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