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venerdì 28 novembre 2008
Il Viaggio della Letteratura
"Niente è più incerto del destino dei racconti di viaggio. Non c’è un’altra forma di produzione letteraria che dia un maggiore spunto alle critiche. Scrivere un libro di viaggi significa mettersi in balìa dei propri detrattori. L’autore di un’opera di divulgazione scientifica è in una posizione migliore, poiché il soggetto di cui tratta è in realtà straordinario in sé, ed è per questa ragione che un certo numero di intellettuali finisce per assimilarlo in modo febbrile, o per lo meno per accettarlo pedissequamente, per tirare infine delle conclusioni che appagano il proprio senso di meraviglia.
L’autore di un’opera d’immaginazione non cessa d’inventare a suo piacimento, e la verità che porta in sé, mascherata com’è sotto infiniti accorgimenti, che vanno dalla cappa d’oro fino agli abiti di stracci, rimane fuori della portata della critica. Dal momento che rispetta grammatica e punteggiatura, per lo scrittore di letteratura fantastica il lavoro è già a buon punto.
Resta la metafisica, che ha il compito primario di propinare una dose di sostanza tossica a coloro che seduce, in modo da abbreviare la durata dell’esistenza che ci è dato di vivere in questa valle di lacrime. Per quanto li riguarda, l’immaginazione li spinge ad esplorare più o meno a fondo questa valle di lacrime.
Pertanto, il viaggiatore è un personaggio che invidiamo per svariate ragioni. E’ infatti una sorta di emulazione per l’inclinazione naturale che lo spinge ad agire, per il coraggio che lo sostiene. Lo ammiriamo per quello che è: ossia lo spettatore immutabile d’una commedia il cui splendore e la cui varietà sono quasi insostenibili, ma le cui scene di movimento non gli sono suggerite se non in via allusiva, in assenza di primi ruoli, ossia in mancanza di una partecipazione diretta agli avvenimenti. Dicevamo che si prova una sorta d’invidia, perché egli sa che, durante mesi e mesi, non calerà mai il sipario, e che dovrà giocare da cima a fondo il ruolo d’un instancabile testimone visivo, osservare quindi i tratti e le attività dell’umano in scene di volta in volta colorite, laide, selvagge, e questo oltre ogni prospettiva, se così si può dire, rientrando poi in sé per ritrovare subito il proprio letto. Immaginiamo un appassionato di teatro e di rappresentazioni sceniche che sia imbarazzato di sdraiarsi nel proprio palco, giorno dopo giorno, e di aprire gli occhi a ciascun risveglio su un’eterna rappresentazione.
Il gusto nel realizzare tutto questo può sembrare degno d’invidia e rivela un’attitudine alla resistenza mentale e fisica, poiché la posta non consiste solo nel sostenere la prova dell’apparenza delle cose, ma nel vincere la propria debolezza fisica. Ed è senz’altro per questo motivo che gli Arabi, per natura appassionati di meraviglie e quindi grandi viaggiatori, hanno inventato il proverbio che potrebbe servire da epigrafe nel nostro caso: “Viaggiare è come vincere”.
Ai nostri giorni, molti sono i viaggiatori che percorrono il globo. Un genere come un altro di vittoria, appunto, che è divenuto in certo qual modo di moda, e di cui potersi vantare negli anni successivi alla costruzione dello stretto di Suez. Una folla, quindi, si è sparsa lungo questa stretta imboccatura, con lo spirito vergine e con le pagine del carnet di note vergini da mettere giù, e purtroppo concepite per raccogliere sotto forma di “Impressioni” di viaggio questa sorta di megalomania di cui soffriamo tutti per diversi gradi. La grande varietà di questi innumerevoli racconti di viaggio, di cui il canale di Suez è responsabile, ha assunto le proporzioni di un’enorme e persistente buffonata (…).
Tra quelli che hanno dedicato i loro taccuini di viaggio a un papa o ad un imperatore, un personaggio si erge in tutta la sua grandezza; è Marco Polo. Il suo talento nella narrazione meticolosa, la sua credulità che si tinge di circospezione, lo sguardo che indugia sui fatti denotano in lui soprattutto delle inclinazioni di storico più che un temperamento di viaggiatore. Marco Polo non ha portato ai lettori della sua epoca meno di quanto essi si attendessero: dei fatti storici appunto in un’atmosfera d’esotismo e di sontuosità. Ma la stagione dei suoi libri di viaggio è oramai trascorsa su questa terra bardata di fili elettrici, e la cui atmosfera oramai è percorsa dalle onde che si propagano nell’etere, e rischiarata dal sole del ventesimo secolo, sotto il quale non esiste più niente di nuovo, ed in cui oramai ben poco può essere definito come oscuro. (…)
L’universo degli uomini che avevano esplorato, scoperto, appunto il cosmo di questi eroi della mia infanzia s’è ridotto pressoché a niente nel corso del secolo XIX. Alcuni sono gli autori dei nostri grandi classici di viaggio, e gli anni che passano mai attenueranno l’ammirazione che porto allo spirito disinteressato, allo zelo col quale questi uomini hanno assolto il loro compito, da solitari o accompagnati da alcuni disperati come loro, e perseverando durante giorni e giorni, con la morte alle calcagna, conservando lo spirito sereno e l’atteggiamento risoluto.
E gli avventurieri? Quelli che ritroviamo in diversi luoghi ben conosciuti, ma che pure non finiscono di sorprenderci – spesso sbracati, prostrati, perfino sofferenti, ma esaltati dall’avventura – talvolta negli angoli più inattesi, la bocca piena di racconti, che sono talvolta d’una totale piattezza, altre volte di una vena comica sotto la quale si scoprono le lacrime, intercalati qua e là da una storia che vi gelerebbe il sangue se non foste di quelli che sanno sorridere al momento opportuno. Di quei tipi ne farei volentieri dei membri onorari di una tribù d’intoccabili, se questo termine non sfiorasse l’ingiuria. Niente di calunnioso tuttavia quando si tratta di persone capaci di lanciarsi nell’avventura con nessun’arma nelle mani e ben poco denaro nelle tasche. (…)
A mano a mano che i misteri del nostro pianeta si sono dissipati, la nostra curiosità ha cambiato di tono, s’è fatta più sottile. Questo viaggiatore moderno che vediamo sdraiato sulla veranda durante una gita turistica, questo viaggiatore che viene ad assistere ad una manifestazione celebrata in gran pompa, sotto lo squillo delle fanfare, in mezzo a una folla adornata di mille colori, fa trapelare dal proprio interno qualcosa che rassomiglia vagamente alla buona volontà, ma alquanto distaccata e annoiata al pensiero di occuparsi dei vaniloqui sull’avvenire delle nazioni. E tutto questo, non certo con lo spirito di un uomo di Stato alla ricerca della verità in politica, ma con la coscienza dubitativa di un viaggiatore dei nostri tempi che, alla sola vista dei confini dell’Asia, s’interroga sull’ultima verità dei viaggi sulla nostra terra."
Joseph Conrad
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