sabato 10 agosto 2024

30 anni dopo il collasso !!

A trent'anni dalla pubblicazione de Il crollo della modernizzazione in Brasile di Robert Kurz, i saggi qui raccolti rivisitano alcuni dei temi principali di questo audace libro e sviluppano una serie di riflessioni a partire da esso: dal significato storico della crisi del socialismo e dell'esaurimento della teoria marxista, all'instabilità del capitalismo globale e all'impennata della crescita cinese negli ultimi decenni. Sono presenti anche il soggetto brasiliano e la ricezione locale dell'opera di Kurz, così come la crisi delle moderne relazioni di genere e il loro rapporto con le contraddizioni sistemiche del capitalismo. "Il compito del profeta è quello di profetizzare. Se le profezie si avverano o meno non è un problema del profeta", ha detto Roberto Schwarz a proposito di Robert Kurz. Questo libro è quindi anche un'occasione per mettere alla prova la teoria della crisi di Kurz. Il XXI secolo diventerà una nuova Età Oscura? Più di tre decenni dopo l'annuncio di questa tendenza al caos e alla decadenza delle strutture sociali, uno scenario di terra bruciata delle democrazie di mercato occidentali può ancora essere semplicemente liquidato come irrealistico?  Le basi economiche e politiche della globalizzazione capitalista sono minacciate solo dall'esterno o sono erose dalle loro stesse contraddizioni, da cui scaturiscono il fondamentalismo neo-religioso e il nuovo estremismo di destra? I contributi di questo libro cercano di rispondere a queste domande.

Nel suo testo, "Il collasso della modernizzazione, 30 anni dopo", Tomasz Konicz analizza in dettaglio l'attualità del libro di Kurz, considerando quali erano allora le principali previsioni dell'epoca, fatte a partire dallo stato attuale dell'economia mondiale. Konicz si concentra sulla descrizione "quasi profetica" della logica della crisi che avanza, "dalla periferia al centro", ma propone tuttavia anche una revisione della diagnosi che parla di collasso, vista però alla luce della traiettoria di crescita dell'economia cinese, e di alcuni Paesi dell'Europa orientale, negli ultimi decenni: soprattutto, l'autore sostiene che la previsione circa l'impossibilità di una nuova era di crescita, basata sull'utilizzo su larga scala di manodopera a basso costo, che vediamo alla base di quella che è stata l'ultima fase dell'industrializzazione cinese, si è rivelata del tutto sbagliata. Infine, nel libro viene analizzata quale prospettiva abbia in Germania la Critica del Valore in Germania, insieme al suo rapporto conflittuale con le correnti della sinistra tradizionale. Pertanto, analogamente, viene confrontato anche l'approccio della critica del valore nei confronti delle teorie di quello che sarebbe il "dislocarsi, dal centro, dell'accumulazione capitalistica" verso l'Asia, considerando in tal senso i lavori di G. Arrighi e di I. Wallerstein. L'articolo su "Il capitalismo asiatico e la crisi globale" descrive le due fasi del formarsi del "circuito del deficit" globale, che ha integrato le economie degli Stati Uniti e dell'Asia (il Giappone fino agli anni '90 e la Cina a partire dagli anni 2000), e sulla scorta di Kurz sostiene che, negli ultimi decenni, la crescita delle economie dell'Asia orientale dipende direttamente dai meccanismi di produzione di capitale fittizio, i quali, a partire dagli anni '80, hanno dato impulso ai consumi globali. Tuttavia, se in passato rimaneva ancora possibile affermare che il libro di Kurz «ha sempre dalla sua parte l'evidenza empirica dell'attualità» - come si poteva leggere nell'editoriale di Krisis n° 12, del 1992, oggi la situazione, allorché la teoria della crisi si confronta con l'impennata della crescita industriale cinese, appare ben diversa. Ragion per cui, a tal proposito, anziché considerare semplicemente sbagliata la previsione di Kurz relativa al mercato mondiale di trent'anni fa, oggi sosteniamo che essa rimane tuttavia valida nel momento in cui la crescita industriale cinese viene pensata in termini sostanziali (ossia, in termini di produzione di valore), vale a dire,  nel fatto che questa crescita non si limita all'aspetto materiale immediato, ma riguarda anche il problema fondamentale, e non direttamente empirico, della tendenza alla riduzione della massa globale del valore. Dove, oltre all'utilizzo su larga scala di manodopera a basso costo nelle economie asiatiche, bisogna considerare anche i meccanismi di concorrenza globale (che, altrove, distruggono i settori produttivi) e, soprattutto, il fatto che la keynesiana "costruzione di piramidi" oramai non è più un programma di emergenza, ma fa piuttosto parte della "normalità"; cosa assai evidente nella Cina odierna. Tutto questo insieme di elementi, suggerisce come il progressivo spostamento della struttura produttiva industriale verso l'Asia non abbia affatto invertito la tendenza generale al declino globale del valore, rimasto legato ai meccanismi altamente speculativi dell'economia mondiale. [...] Nella parte finale del libro, si ritorna al dibattito sul "miracolo cinese", dove vengono approfondite alcune tra le questioni sollevate nel nostro testo precedente con "note aggiuntive" riguardo ai concetti di "circuito del deficit" e di "capitale fittizio". A partire dall'argomentazione iniziale, sviluppiamo un'analisi della relazione esistente tra quello che da una parte è il processo di "fittiziazione" dell'economia, e dall'altra costituisce la crisi della "politica", che, nel dibattito economico di sinistra, rappresenta una nuova cultura della simulazione. Oggi, tale cultura affermativa della simulazione si manifesta soprattutto nelle nuove teorie che riguardano la desostanzializzazione del denaro; proprio in questi dibattiti in cui i meccanismi di simulazione monetaria si mescolano ecletticamente, come richiesto dal postmoderno "spirito del tempo", alle vecchie teorie sviluppiste dell'epoca della modernizzazione in ritardo. Ragion per cui, una ricchezza sempre meno "sostanziale" può così apparire completamente scollegata dalla crisi, e può diventare addirittura la base di un'ideologia affermativa e ingenuamente "concretista" che parla dello scollamento tra l'astratta ricchezza capitalistica e le sue basi oggettive.

Due testi in questa raccolta, per la prima volta, approfondiscono alcuni aspetti che riguardano la ricezione dell'opera di Kurz in Brasile: uno è un eccellente testo di Cláudio Duarte sul rapporto tra l'approccio di Robert Kurz e la critica di Roberto Schwarz. Il secondo è un testo di Maurilio Botelho che ci riporta ai primi anni Novanta, al dibattito del CEBRAP (https://cebrap.org.br/) sul libro "Il collasso della modernizzazione", pubblicato sulla rivista "Novos Estudos" nel 1993, con la partecipazione di Francisco de Oliveira, J. A. Giannotti e Bresser Pereira. Anziché proporre superficiali accordi conciliatori, Maurílio svela quali erano i presupposti della critica che veniva mossa da una parte dell'intellighenzia di sinistra brasiliana alla teoria della crisi di Kurz, e mostra così come, a differenza del caso precedente (Schwarz), stavolta si sia arrivati a un disaccordo senza alcun esito teorico. Due testi importanti per chi vuole riflettere sulle possibili (e impossibili) convergenze tra la teoria della crisi e la critica sociale brasiliana.

Il volume si conclude con un saggio inedito di Robert Kurz, su "La perdita della storia. La guerra del Golfo e il declino del pensiero marxista", pubblicato anch'esso nel 1991 sul n°11 della rivista Krisis. Kurz parte dalla tesi che, analogamente al crollo dell'Oriente, anche la guerra del Golfo è «un momento della maturazione della crisi del sistema globale di produzione di merci». E contro la previsione secondo cui si trattava della "vittoria dell'Occidente", quella guerra inaugurava un'epoca di instabilità, che vede le forze del nuovo ordine mondiale combattere «con mezzi barbarici» una guerra impossibile da vincere contro «le organizzazioni barbare delle masse perdenti». Per Kurz, «simili fenomeni catastrofici hanno reso più acuta e manifesta che mai la crisi latente del pensiero marxista». Questa crisi si manifesta, in primo luogo, sotto forma di ignoranza del contesto reale della socializzazione capitalistica e della sua crisi; di conseguenza, la critica dell'ideologia si distacca sempre più dall'analisi della realtà, e così diventa cieca di fronte alle trasformazioni storiche fondamentali. Nel contesto della sinistra radicale tedesca, il risultato di questa «perdita della storia»  è stato retrocedere verso la coalizione filo-occidentale, da un lato e, dall'altro, la tendenza a fissarsi, in maniera "antimperialista", sulle forme ideologiche del passato e attuare così, alla fine, la propria svolta nazionalista.

- Marcos Barreira & Maurilio L. Botelho -

“NO RASTRO DO COLAPSO” Reflexões sobre a obra de Robert Kurz. A cura di Marcos Barreira e Maurilio L. Botelho. Consequência Editora
Testi di: Robert Kurz (1943-2012), Cláudio R. Duarte, Neil Larsen, Agnes de Oliveira Costa, Daniel Feldmann, Tomasz Konicz, Marcos Barreira, Maurilio L. Botelho.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Riformulo: la previsione kurziana rimane valida se pensata in termini sostanziali. Questa modo di pensare la critica alla crescita, comporta la tendenza della massa globale del valore a svuotarsi di sostanza. Spostare la produzione industriale in Asia, lascia intonsa la tendenza al declino sostanziale del valore globale.
Avessi tenuto fede a tale modo di pensare il capitalismo sarei ancora là ad aspettare la crisi dell’economia e dell’egemonia culturale cinese nel mondo. Ogni articolo che parlasse di crisi del sistema cinese avrebbe scatenato un “Ha ha… Kurz aveva ragione”! L’ho fatto per un po’ ma, nel frattempo, ho cambiato idea.
Ho un amico che viaggia spesso in Cina per vendere i suoi prodotti industriali. È stupefatto dal progresso di infrastrutture modernissime e di sistemi di pagamento, per i quali la carta di credito è considerata obsoleta. Quello che vede è sostanza economica, finanziaria, sociale e culturale. Vende componentistica musicale che in Cina va a ruba: segnale di un livello culturale della classe media che da noi si sogna. Un collega ha detto: “se mettevi in vendita le mutande, vendevi anche quelle”. La cina sta crescendo sotto tutti i punti di vista che contano e ci lascia indietro a masticare polvere intellettuale … obsoleta, anche quella.
Ho cambiato idea radicalmente. Ora contemplo la possibilità teorica che il vuoto sostanziale possa essere una risorsa esplosiva, invece che il problema. Continuo a ringraziare Kurz e Franco Senia, che me lo ha fatto conoscere, perché mi ha dato strumenti critici decisivi, che però ho applicato anche su Kurz stesso.
La chiave di volta sta in quel “pensare in termini sostanziali”, cioè nel materialismo, per quanto storicizzato. Il paradigma quantistico lo rende spietatamente obsoleto. Non so quanto la classe politica cinese lo abbia fatto proprio. So che un fisico teorico, sindaco di Udine, governatore FVG, prof. Sergio Cecotti, del Centro di fisica teorica di Miramare, oggi insegna in Cina, ed incontra Xi Jinping, durante pranzi ufficiali.

BlackBlog francosenia ha detto...

Perdonami, ma sei Giordano Sivini ?

Ad ogni modo il commento è degno di nota e di essere valutato, proprio a partire dalla valenza del paradigma quantistico, che da tempo a vanificato ogni materialismo storico (su quello dialettico stendiamo un velo!). Tuttavia, credo che sia "prescioloso", liquidare Kurz, usandolo semplicemente contro lui stesso. Del resto Kurz l'aveva fatto con Marx (mettendo i due Marx l'uno contro l'altro) e di certo - ne sono convinto - è possibile farlo con lo stesso Kurz, nella sua duplice veste di essoterico e di esoterico (per il primo penso alla sua ostilità nei confronti di Debord, ma anche a quella nei confronti di Sade, e così via).
Insomma, parliamone !!

salud
Franco

Anonimo ha detto...

Mi sento pericolosamente lusingato dal tuo invito. Il pericolo sta nel fatto che sono un coglione di passaggio che si è già bruciato tutti gli interlocutori. Neanche mia moglie legge più i miei testi, francamente deliranti.
Ciò che ho rivolto contro Kurz non sono i suoi argomenti ma la sua libertà di portare la critica fino in fondo. Alludo alla sua critica dell’illuminismo e di tutta la modernità, laddove la critica fisolofica di cui si avvale è illuminismo e, temo, intrinsecamente anche capitalismo. La critica destruens di Kurz rimane valida, ma non seppe liberarsi dalle panie del linguaggio. Perciò non seppe o non ebbe il tempo di andare davvero fino in fondo, criticando i limiti del linguaggio, come certa filosofia ottocentesca. Penso a Wittgenstein o Nietzsche. La mia critica cominciò proprio dal linguaggio, quando ancora lo leggevo avidamente. Quando poi mi sono accorto che anche i curatori della sua traduzione in italiano pativano la stessa fede in altari linguistici, che impedisce di trovare soluzioni esterne al paradigma illuminista capitalista, ho mollato. Non rinnegato. Ho proseguito con le mia gambette, avvalendomi della scoperta di Federico Faggin. Sta tutto nei miei testi, in attesa che mia moglie li legga e mi riveli spietatamente i miei errori senili.
Non ho liquidato Kurx nè Marx. Senza di loro non sarei arrivato dove stò, proprio come Wittgenstein non sarebbe arrivato fin dove arrivò, senza portare fino in fondo il suo impossibile progetto illuminista. Neanche Heisemberg sarebbe arrivato al principio di indeterminazione senza aver creduto nell’illusione illuminista. Criticare radicalmente il linguaggio non impedisce di usarlo, cambia il rapporto con lo strumento. Lo rende uno strumento, lasciando solo pietra su pietra di ogni altarino esoterico o essoterico che sia.
Aggiungo, temerariamente, che ciò che si trova abbandonando il paradigma illuminista e cavalcando quello quantistico è … deflagrante ed ESALTANTE. Ma per ora è solo un delirio ferragostano. ucdp

BlackBlog francosenia ha detto...

Diciamo allora, caro Giordano che il tuo silenzio lo prendo come un assenso!

Quanto a essere di passaggio, possiamo affermare che - finché dura - lo siamo un po' tutti, con sorti e percorsi alterni. E, soprattutto, rimango dell'idea che le mogli - o chi per loro - facciano bene a rimanerne fuori, per il loro bene.
Venendo a Kurz, e agli attrezzi della sua critica, si può dire che ne condividiamo tutti gli strumenti, di cui via via entriamo in possesso. CI hai messo Nietzsche e Wittgenstein, ma io - facendo finta di tralasciare l'onnipresente fantasma di Benjamin - ci aggiungerei anche Beckett e, soprattutto, Roland Barthes (con la sua lingua "fascista", quella che ci costringe sempre a dire, contravvenendo così all'imperativo filosofico che ben conosciamo.
Per quel che riguarda la fede negli altari linguistici di cui parli, e che ritengo ci impedisca di accostarci con una qualche "libertà" ad alcuni reazionari che hanno proposto le loro "soluzioni esterne" al paradigma illuminista. Ma la medesima mancanza di entusiasmo la riservo anche a quelle soluzioni "cibernetiche" che se non sbaglio sembrano entusiasmarti; un po' troppo a mio avviso!
Finisco, dicendo che - più o meno - siamo partiti tutti dall'illusione illuministica, abbandonandola poi - per quel che mi riguarda - per abbracciare l'illusione debordiana, attraverso cui sono arrivato a Kurz (anche suo malgrado).
E lo faccio oggi, aggiungendoci - come carico, in questa sorta di briscola in 5 che stiamo giocando; e non ti dico chi sono i partecipanti - la psicoanalisi e la critica del soggetto, senza tralasciare altri territori che riguardano de-colonialismo e critica dell'identità. Insomma, il piatto si fa ricco. Riusciremo a perderlo ?!??

Franco

Anonimo ha detto...

Sorry, sono proprio ucdp, non Sivini. È il mio modo di criticare l’identità! Altre volte mi firmo lo scemo del villaggio o l’idiot savant. Sul tema del soggetto ed in particolare sul soggetto automatico mi sono già sbottonato su Il Covile, bruciandomi l’interlocutore. Non ci riprovo.
Soluzioni cibernetiche a me!? Mi ha preso per un seguace della Zuboff? Nooo … scusami, ma io scendo qui. Ti leggerò ancora volentieri ma sento che questo dialogo non può funzionare.
Nel caso volessi insistere mi trovi su bersim@libero.it
salud