Nel villaggio alpino di Kuppron, dove poche centinaia di contadini dediti alla loro terra vivono seguendo il pacato ritmo delle stagioni, un medico condotto ormai integrato nella comunità osserva con sospetto e preoccupazione l’arrivo di un forestiero, Marius Ratti. Partecipando al duro lavoro e dispensando consigli, il nuovo venuto si insinua sempre di più nel tessuto sociale, lasciando emergere nella gente del posto paure e istinti animaleschi, e a poco a poco intorno a lui si stringe un gruppo di fedelissimi, infiammati dai suoi discorsi e pronti a seguirlo. Così il villaggio si ritrova improvvisamente avvolto in un’aura di tetro furore, quasi fosse vittima di un terribile sortilegio, finché il succedersi delle semine e dei raccolti cede il passo a un’allucinata danza di odio e morte a cui in pochi riescono ancora a sottrarsi. Scritto nel 1935, appena due anni dopo la presa del potere da parte dei nazionalsocialisti, Il sortilegio è un’opera imperitura e straordinariamente attuale. In queste pagine intense e sublimi, Hermann Broch analizza con straordinaria finezza i meccanismi psicologici che portano all’assolutismo, dipingendo una vivida miniatura della deriva fascista che negli anni Trenta ha travolto l’Europa.
(dal risvolto di copertina di: HERMANN BROCH, Il sortilegio. Traduzione di Eugenia Martinez. CARBONIO Pagine 354, €19)
Nel villaggio arrivò lo straniero. E fu la fine
- di Vanni Santoni -
Nell’immaginario villaggio alpino di Kuppron le cose sono andate sempre allo stesso modo: il lavoro, i campi, il bestiame, le stagioni. Solo alcuni dettagli, come la presenza di un medico condotto, segnalano che ci troviamo nel Novecento e non in qualche secolo più lontano. Ma qualcosa sta per cambiare, allo stesso modo in cui è teatro di cambiamenti l’Europa reale, con l’avvento del fascismo prima e del nazismo poi. Sarà proprio il medico condotto del villaggio a capire per primo che Marius Ratti, il forestiero apparso dal nulla per dispensare aiuto e consigli ai villici, è in realtà alfiere di paura e odio, se non emissario del male più assoluto. Era il 1935 quando Hermann Broch si mise in testa di scrivere un romanzo allegorico sull’ascesa del nazismo. Broch era e sarebbe sempre stato un insoddisfatto: così come per tutta la vita si lagnò del fatto che il suo pur eccelso I sonnambuli non aveva raggiunto la fama della Montagna magica e dell’Uomo senza qualità dei più fortunati (e a onor del vero, più bravi, sebbene di pochissimo) colleghi Thomas Mann e Robert Musil, così non smise mai di dolersi di non essere riuscito ad arginare l’ascesa del nazifascismo con un romanzo. Arginare il nazifascismo con un romanzo! Questo il livello di idealismo letterario di Broch, che continuò a rivedere la propria allegoria per vent’anni, cambiando idea su innumerevoli passaggi, terminando varie versioni, ma senza mai contentarsi: in effetti, quando morì, nel 1951, ormai celebrato come uno dei massimi autori del secolo anche grazie a La Morte di Virgilio, un secondo capolavoro capace di stare al pari de i Sonnambuli, stava lavorando a una ulteriore versione de il Sortilegio.
È un libro imperfetto? Senza dubbio, possiamo dire oggi leggendolo nella nuova edizione Carbonio tradotta da Eugenia Martinez. Imperfetto nell’eccesso di voli lirici per un romanzo che vuole essere spietatamente allegorico; imperfetto nella prosa che si fa inutilmente convoluta in passaggi dove sarebbe stata più utile la chiarezza; imperfetto nel tradire troppo spesso i propri intenti allegorici e didattici; e forse anche rovinato dai troppi interventi: si sa che se un libro non trova la quadra nei suoi tempi fisiologici, difficilmente la troverà dopo decenni di ritocchi. Eppure è ancora un libro fondamentale, e non solo per la ragione «facile», che è quella di restare un avvertimento sull’ascesa dei populismi e sulla facilità con cui possono trasformarsi in regimi sanguinari — una sorta di versione romanzesca della Psicologia di massa del fascismo di Wilhelm Reich — ma anche in chiave squisitamente letteraria: l’inferocirsi dei villici di Kuppron non ricorda forse quello dei bambini del Signore delle mosche di William Golding? I tanti falsi messia di un László Krasznahorkai non sono forse nipotini del Marius Ratti di Broch? Non è forse suo parente anche il profeta manipolatore Frank raccontato nei Libri di Jakub dalla Nobel polacca Olga Tokarczuk? La risposta a tutte queste domande è: sì. Come dimostrò già con I sonnambuli, che resta ancor oggi un libro per lo più incompreso, Broch poteva stare dietro a Mann e Musil per prosa e lucidità, ma non stava — né sta — dietro a nessuno per visione e innovazione.
- Vanni Santoni - Pubblicato su La Lettura de 17/12/2023 -
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