Susan Sontag, 1964
Nel suo famoso saggio del 1964, "Contro l'interpretazione", Susan Sontag mette a confronto, in tensione tra di loro, le due possibilità dell'arte: il «Dire» e il «Realizzare», ossia, ciò che richiede una spiegazione e ciò che richiede l'esperienza, il vissuto, la fruizione. Per secoli, il vizio di «dire» - che poi è il vizio interpretativo -, sostiene la Sontag, è stato sempre privilegiato, storicamente a partire dai greci, passando per la rielaborazione dell'Antico Testamento fatta dai primi cristiani, fino ad arrivare all'articolazione tra contenuto manifesto e contenuto latente in Marx e in Freud.
L'ammirazione della Sontag per Barthes - ammirazione nutrita da sempre - non è affatto casuale: Susan Sontag percepisce in lui un'attenzione costante nei confronti dell'arte contemporanea, e vede in questo un motore critico (il rapporto di Barthes con Brecht, è il primo esempio forte di riconfigurazione della sua critica a partire dall'arte). "Contro l'interpretazione", è il primo sforzo consapevole, pubblico e consolidato che la Sontag fa per trasformare il proprio pensiero critico a partire dall'arte contemporanea: i film di Elia Kazan, Bergman e Resnais, o i romanzi di Robbe-Grillet ed il "saggio di Randal Jarrel su Walt Withman", tra gli altri. L'arte del presente non richiede affatto la cancellazione dell'interpretazione, dal momento che la Sontag sa che questo è impossibile: richiede invece una riconfigurazione ed un ampliamento delle possibilità di interpretazione, e persino una denaturalizzazione dell'imposizione dell'interpretazione.
Nella Sontag, ci sono momenti in cui il linguaggio metafisico è palese: ad esempio, quando parla della "cosa in sé", o quando parla dell'opera d'arte e del suo apparire "unitaria e pulita". Eppure, allo stesso tempo, c'è un conflitto manifesto tra i riferimenti che sceglie di elencare: mentre elogia il lavoro di Benjamin su Leskov (senza però sottolineare con esattezza cosa sia ciò che Benjamin "faccia vedere" in Leskov; e la cosa sarebbe pertinente al fine di poter stabilire un paradigma "contro l'interpretazione"), simultaneamente elogia anche il lavoro di Erwin Panofsky, che in generale invece, per esempio Georges Didi-Huberman, nel suo saggio, critica in termini simili a quelli usati dalla Sontag : in "Davanti all'immagine" (Edizioni Mimesis) Didi-Huberman evidenzia le articolazioni "chiare, pulite e razionali" di Panofsky a fronte degli oggetti artistici, che vede "sovradeterminate" da un "neokantismo" disciplinare.
fonte: Um túnel no fim da luz
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