domenica 6 dicembre 2020

S/Bivi: Polizie & Baraonde

« Se dunque l'universo è infinito, ciò significa anche che giorno per giorno la natura riproduce miliardi di sistemi solari, i quali altro non sono se non calchi servili del nostro. Non vi è sasso, né albero, né bestia, né essere umano, né evento che in quel lontano duplicato non abbia già il suo posto. Se dunque la vera terra possiede nell'universo schiere di sosia, lo stesso vale ovviamente per tutte le sue possibili varianti.
Di conseguenza, esistono altri miliardi di pianeti ove l'uomo percorre sentieri che qui disdegna o trascura; e questo accade per ciascuno di noi, per ogni singolo istante, per qualunque possibile diramazione, per tutte le alternative esistenti... Noi tutti abbiamo dunque innumerevoli sosia, varianti di noi stessi, e tutto ciò che qui avremmo potuto essere o diventare lo siamo realmente altrove, su diversi, lontani pianeti.
Ciò che noi chiamiamo progresso sorge e scompare, come rinchiuso in gabbia, entro ciascuno di questi innumeri mondi. Sempre e dappertutto lo stesso dramma, davanti allo stesso scenario, sullo stesso esiguo palcoscenico: un'umanità rumorosa che nella sua origine vive come fosse in uno sconfinato universo, per poi immantinente sprofondare insieme alla stella che la sorregge!
Ciò che in questo istante io scrivo, in una cella di Fort Taureau, lo scrissi in miliardi di altri mondi e colà lo scriverò per tutta l'eternità, su un tavolo, con una penna, e con degli abiti perfettamente identici ai miei.»

No, queste parole che ho appena ricopiato, non arrivano da un qualche romanzo di fantascienza, ma sono i pensieri di Louis-Auguste Blanqui - modello a venire di ogni rivoluzionario di professione, maestro di complotti fallimentari e di insurrezioni disperate. Presumibilmente, Blanqui scrisse questo opuscolo, "Dagli astri, l'eternità: un'ipotesi astronomica", durante i giorni della Comune, dal fondo della prigione del Fort du Taureau, che suppongo fosse - e, secondo le parole di Blanqui, continua ad essere la cella di una sorta di posto di polizia del continuum! E già, la polizia. Sempre pronta a disturbare la festa, per dirla con Goethe.
La fantascienza, ad ogni modo, saltando di palo in frasca, è da sempre che intrattiene rapporti stretti con l'istituzione benemerita, e lo fa tra pattuglie solari e questure temporali.
La polizia del continuum (o dei continua!) è la diretta filiazione delle polizie temporali de "La fine dell'eternità" di Asimov o de "La legione del tempo" di Williamson, per non parlare de "Il grande tempo" di Leiber.
Oh no, non è che sia un corpo di epigoni: ha un lavoro da svolgere. Deve servire a quella specifica e insopprimibile volontà d'ordine, propria della fantascienza: un mondo razionale, perdio!
Credo si tratti di quella volontà d'ordine che ha sempre fatto da contrappunto all'irriducibile e profondo sogno di disordine che alla fantascienza è altrettanto proprio. E in tutti questi accidenti di mondi paralleli, non subìti, negati e rimossi, in questi mondi non ci sono più regole e, tantomeno, qualcuno disposto a rispettarle, nel caso ci fossero. E la polizia sta lì a cercare di contenere ... il troppo! Somiglia un po' ai detective dei film degli anni '50. Come il protagonista di "Lord Kalvan d'Altroquando" di H. Beam Piper, un poliziotto catapultato in un altro mondo. Ce ne sono di mondi, da quelle parti! Ne "Il Ruffaldo", Jack Vance arriva a postulare che fra gli infiniti universi disabitati, ci sia un mondo singolo per ogni individuo! Addirittura!!
Da costruirsi una villetta e passare le giornate a pescare e leggere, come nelle previsioni adamantine e geometriche di Amadeo Bordiga (bislacco scrittore di fantascienza anche lui, sebbene non sia catalogato come tale). E questo sarebbe di certo un buon modo per sfuggire all'eccessiva baraonda di quello che finirebbe per essere una sorta di ballo mascherato, dove tutti i tempi e tutti i luoghi del mondo vengono contemporaneamente rappresentati. Il posto? Lo conosco, e si chiama "La Taverna della Vecchia Fenice". Un mistico super-Bar per insonni molto problematici che compare nello splendido "Tempesta di Mezza Estate" di Poul Anderson. È qui che si danno convegno, sotto gli occhi di un anonimo taverniere, i viaggiatori convergenti che attraversano il tempo, lateralmente. Volendo, ci si può arrivare; basta seguire le istruzioni!

« Cercatela dappertutto e in qualsiasi momento, di giorno, di sera, di notte, in un vicolo antico o in una brughiera desolata o in una foresta dove persino i cacciatori, a cui nessuna traccia sfugge, le passano accanto senza vederla. Per quanto mi riguarda, io mi ritrovai la maniglia della sua porta sotto le dita e la sua insegna che mi scricchiolava sulla testa mentre stavo per entrare nel bar di una nave, in alto mare. Ma in effetti, non è che possiate cercarla, questa casa: sarà lei a cercare voi. Dovete però stare all’erta per avvertire la sua presenza fuggevole, dovete essere perspicaci o curiosi o avventurosi o disperati abbastanza, per entrarci la prima volta. In seguito, se non abusate della sua ospitalità, vi sarà permesso di tornarci di tanto in tanto.»

(già pubblicato sul blog, in maniera leggermente diversa, il 12/5/2008)

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