venerdì 18 dicembre 2020

il primo dio

Probabilmente il toro è stato il primo dio. Non l’uro che vediamo raffigurato sulle pareti delle grotte preistoriche, ma proprio il nostro toro addomesticato. Ha sempre conservato qualcosa del suo status primitivo e selvaggio e affascinato le popolazioni con la sua possanza, il suo respiro, la sua energia, la sua fecondità. Nell’antico Vicino Oriente sono state molte le divinità taurine a cui è stato dedicato un culto, e nella mitologia greca abbondano le storie che lo vedono protagonista: Zeus prende la forma di un toro per rapire Europa o unirsi a Io, Eracle doma a mani nude il grande toro di Creta, Teseo uccide il Minotauro. Il cristianesimo ha subito dichiarato guerra a questi culti, questi miti, queste leggende. Poiché la religione rivale, il culto di Mitra, accordava un grande spazio al toro, questi venne giudicato empio e a prendere il suo posto fu il bue, animale docile, paziente e lavoratore. Il toro invece rimase lungo tutto il Medioevo un animale disprezzato, quando non addirittura demonizzato. Tornò in primo piano durante il Rinascimento e la riscoperta dell’Antichità. All’inizio del XVI secolo papa Alessandro VI Borgia, il cui emblema di famiglia era un toro, fece organizzare a Roma le prime tauromachie, e circa duecentocinquant’anni dopo in Spagna vide i natali la moderna corrida, che per tanto tempo ha affascinato artisti e poeti. Michel Pastoureau ci racconta la storia del toro nella cultura europea, senza dimenticare la vacca, il bue e il vitello. Come il precedente volume di questa serie, dedicato al lupo, anche questo si avvale di una ricca iconografia, ampiamente commentata. Dalle grotte di Lascaux a Picasso, passando per la ceramica greca, il mosaico romano, la miniatura medioevale, l’incisione rinascimentale e la pittura moderna e contemporanea, il toro è sempre stato una star dell’arte europea.

(dal risvolto di copertina di: Michel Pastoureau, "Il toro. Una storia culturale". Ponte alle Grazie)


L’indomito toro che possedette Pasifae fu addomesticato e finì nel presepe
- di Giorgio Ieranò -

Quel bue che sta lì, nel presepe, accanto al Bambinello, ci interroga da sempre. Da dov’è spuntato, visto che nei Vangeli non se ne parla? Sì, è vero, c’è qualche riferimento al bue negli apocrifi del Nuovo Testamento. Ma qual è il senso vero di quella strana presenza accanto al Redentore infante? Alcune risposte ce le suggerisce Michel Pastoureau nel suo nuovo libro. Autorevole studioso del Medioevo, Pastoureau è un grande esploratore dell'immaginario. Sa tutto, in particolare, della simbologia dei colori e degli animali, temi a cui ha dedicato studi fondamentali. E ora ci consegna questo saggio che, anche se si intitola semplicemente "Il toro", è una sintetica storia culturale di tutto il mondo bovino: una storia non solo narrata ma anche illustrata con numerose immagini che spaziano dal Minotauro alle corride, dai dipinti delle grotte preistoriche di Lascaux ai disegni di Picasso, dai culti egizi all'araldica del Rinascimento.
Per arrivare al bue del presepe bisogna partire da lontano, dal Paleolitico, quando, circa 30mila anni fa, le mani di ignoti pittori dipingono sulle rocce le prime immagini di bisonti e di uri, i bovini primigeni che si sono estinti ormai da qualche secolo. Può darsi che, come sostiene Pastoureau, si debbano recuperare le vecchie ipotesi che attribuivano a questi dipinti una funzione magica. Rappresentare l'animale sarebbe stato un modo per propiziarne la cattura: disegnare l'immagine aiutava a impadronirsi del corpo. Di sicuro, nel Paleolitico, i bovini esistevano solo come bestie selvatiche: l'addomesticazione avviene molti millenni più tardi, nel Neolitico. Ma come osserva Pastoureau, al contrario di quanto è successo per i cavalli e per gli ovini, è sempre stata un'addomesticazione parziale. Per quanto si tengano i buoi chiusi nelle stalle e le mucche al pascolo, il toro continua a campeggiare come icona di una forza indomabile, come paradigma del furore selvaggio. Lo testimonia anche la mitologia greca dove prodigiose figure taurine sono legate soprattutto all'isola di Creta: Zeus si trasforma proprio in toro per possedere Europa, rendendola madre di Minosse; un altro toro prodigioso esce dal mare per unirsi a Parsifae e generare il mostruoso Minotauro; e cretese era anche il poderoso toro che solo l'eroe Eracle poté sconfiggere in una delle sue dodici fatiche. C'è forse alle spalle di questa mitologia, una venerazione del toro come animale sacro spesso legato alla dimensione della regalità. Anche in Mesopotamia, del resto, l'elmo con corna taurine era attributo delle divinità e dei sovrani. Persino l'aleph, prima lettera dell'alfabeto fenicio, altro non è se non una testa di toro rovesciata.
Immagine del divino (anche Dioniso era venerato in forma taurina), il toro è però al tempo stesso l'animale sacrificale per eccellenza. Durante l'impero romano è onnipresente l'immagine del dio persiano Mitra raffigurato nell'atto di sgozzare un toro. Non stupisce, perciò, che i cristiani demonizzino l'animale. Quelle corna che un tempo erano simbolo di regalità diventano attributo di Satana. Intanto, però, il 25 dicembre, dies natalis di Mitra, si trasforma nel Natale cristiano. E mentre il toro viene respinto tra i demoni, il mite bue fa la sua comparsa accanto a Gesù bambino.
Come ha notato Maurizio Bettini in uno splendido saggio di due anni fa (Il presepe, Einaudi), l'infanzia delle creature eccezionali, divine o regali, è spesso posta sotto la protezione di un animale: Zeus neonato viene allattato da una capra, Paride da una cerva, Romolo e Remo dalla lupa, Ciro il grande da una cagna. Ma perché proprio il bue nel presepe cristiano? È solo un modo di rappresentare visivamente il fatto che il Redentore è nato in una misera stalla? I teologi e gli eruditi cristiani, ricorda Pastoureau, hanno disputato a lungo sulla questione. Per alcuni, il bue rappresentava il popolo ebraico, aggiogato alla legge di Dio, di contro all'asino, animale ottuso e pigro, simbolo delle genti pagane e idolatre. Ma altri sostenevano il contrario: è l'asino, stupido e caparbio, a rappresentare gli ebrei, che si ostinano a negare la divinità del Cristo; il bue è invece immagine dei pagani, da sempre devoti a idoli taurini e adoratori del vitello d'oro di turno.
L'ultimo capitolo del libro è dedicato alla corrida. Un'usanza che, in Spagna, si istituzionalizza nel Settecento ma che ha origini molto remote. Risale fino alle taurocatapsie, le acrobazie sui tori effigiate nei dipinti della Creta minoica. Un'immagine di quasi quattromila anni fa, scoperta su un muro del palazzo di Cnosso, l'antica città del Labirinto e del Minotauro, mostra tre giovani che volteggiano intorno a un animale di grande stazza. Un gioco incruento, in questo caso, benché pericoloso: una sfida, ma anche un omaggio, alla potenza misteriosa e sacrale del toro.

- Giorgio Ieranò - Pubblicato su TuttoLibri del 12/12/2020 -

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