venerdì 8 novembre 2019

Lettera dal Cile

Lettera dal Cile
- di Raoul Vaneigem - 1° novembre 2019 -

Quello che sta succedendo è stato bellissimo. Sono passate due settimane dalla sollevazione che ci ha consentito di scrollarci di dosso la paura, l'indolenza e la frustrazione a causa del dover vivere sotto la dittatura del denaro, e che ci ha permesso di incontrarci in quanto essere umani, al di là delle identità che ci hanno finora tenuti separati.
Già fin dal suo inizio, l'insurrezione e la sua spontanea generalizzazione si è espressa per mezzo di azioni di critica del modo di vita capitalista, espropriando e distruggendo i simboli del capitalismo e dello Stato (supermercati, farmacie, banche, commissariati, edifici della municipalità, ecc.). Le rivendicazioni sono moltissime, talmente tante che qui tutti sanno che ciò che serve è un cambiamento strutturale. Nelle strade si può sentire che «niente ormai potrà tornare ad essere come prima». Il desiderio comune di vivere è rinato in quella che è l'avventura della lotta contro il sistema.
La precarizzazione che si vive in questo territorio, e contro la quale questo movimento si è sollevato, non è il prodotto delle misure di austerità, in quanto qui non c'è mai stato una cosa che assomigliasse ad uno stato sociale, ma è il risultato del saccheggio messo in atto dallo Stato-capitale. Il Cile, come sicuramente sapete, è una delle culle del neoliberismo. Il dittatore Pinochet si era venduto tutto: l'acqua, la sanità, le pensioni, l'istruzione, le strade, il mare, ecc. E la democrazia venuta dopo di lui non ha fatto altro che consolidare questo sistema sociale ed economico.
Ma al costo di aver subito continue umiliazione ed abusi da parte dei politici e degli imprenditori, si è andata sempre più acutizzando la coscienza di tutti. Uno degli slogan dell'insurrezione è «Non sono 30 pesos [l'aumento del biglietto della metro che ha scatenato questa sollevazione, è stato di 30 pesos, vale a dire, del 4%] sono 30 anni» che allude al periodo di tempo della «transizione alla democrazia» [è il 1989 l'anno in cui viene eletto il primo presidente, dopo la dittatura]. Questa frase - che i Mapuche hanno fatto propria cambiandola in «Non sono 30 pesos, sono più di 500 anni» - esprime la coscienza del fatto che la dittatura di Pinochet ed il regime democratico corrispondono alle due facce della dittatura del capitale, della quale lo Stato, i politici e gli specialisti che gli sciamano intorno, non sono nient'altro che dei meri esecutori.
Perciò, un'altra delle caratteristiche di questo movimento è la totale assenza di partiti politici. Nonostante ci siano quelli che calunniano il movimento - arrivando a dire cose ridicole come che siano la Russia, il Venezuela e Cuba che ci stanno dando ordini attraverso la fazione di sinistra di qui - la verità è che nelle proteste si vedono solo bandiere del Cile, bandiere delle popolazioni indigene e le bandiere delle squadre di calcio. Il governo si sta scervellando nel disperato tentativo di fabbricare i rappresentanti del movimenti, le voci autorizzate con cui poter negoziare. Stanno cercando tra le organizzazioni sindacali e sociali, convocando anche delle assemblee cittadine. Finora non c'è stato nessuno che abbia osato assumere quel ruolo. Il carattere di massa e la diversità di questo movimento  è un antidoto contro ogni tentativo di recupero.
Ci sono già più di 4000 arrestati ( e tra di loro più di 400 fra bambini ed adolescenti) e più di 1300 persone con ferite da armi da fuoco. Ci sono più di 100 denunce per tortura ed una ventina per violenza sessuale da parte della polizia. Secondo le cifre ufficiali, ci sono stati 23 morti e più di 140 persone che presentano qualche tipo di lesione oculare. 26 hanno perso un occhio. (Quando ho letto nel testo censurato su Le Monde che anche la polizia in Francia sta accecando occhi, sono rimasto sorpreso nel rendermi conto che condividono le medesime tecniche di repressione).

Non appena erano passate alcune ore dall'insurrezione - costata assai cara ai grandi capitalisti, anche se non è paragonabile all'ammontare dei loro furti - lo Stato dichiarava lo «stato di emergenza», cosa che gli permetteva di imporre il coprifuoco e portare i militari nelle strade per reprimere insieme alla polizia. Dopo una settimana, lo stato di emergenza é stato revocato, ma questo non ha fatto diminuire la repressione. La polizia ha continuato ad usare armi anti-sommossa contro le proteste (cosa che è cominciata in queste manifestazioni) e continua ad effettuare arresti in massa e selettivi.
Da tutti i settori politici e la televisione ci viene detto che possiamo manifestare «purché venga fatto pacificamente». (Alcuni bravi cittadini si sono dotati dei gilet gialli che vengono usati nelle proteste in Francia per potersi distinguersi in quanto alleati della polizia e fanno uso delle proprie tecniche per mantenere l'ordine). Ma anche quando le persone manifestano nel modo meno offensivo e più culturale possibile, la polizia reprime brutalmente. Fa loro paura il fatto che passiamo molto tempo stando insieme...
Lo Stato ha le mani sporche di sangue e ci viene a dire che è per poterci dare la pace. Sono molto pochi quelli che gli credono e, nonostante l'enorme violenza di cui ha fatto uso, nessuno ha paura. Infatti, hanno proliferato nuclei che nelle manifestazioni praticano in maniera estesa la violenza offensiva e l'autodifesa contro le «forze dell'ordine».
Gli è che la maggioranza sente che non abbiamo niente da perdere. Dappertutto vediamo che in questa società non c'è futuro. Da una parte, la televisione non smette di inondarci di notizie sulla catastrofe ambientale, che poi vuol farci dimenticare mostrandoci la pubblicità di cose che non siamo in condizione di comprare. Dall'altro lato, vediamo che essere vecchi in questo Cile è un inferno. La persone possono anche lavorare tutta la vita e ritrovarsi con una pensione di miseria. Di fatto, gli anziani devono continuare a lavorare fino a che non muoiono, e non sto esagerando. Cinque anni fa, fece scalpore la notizia secondo cui un giardiniere che lavorava di fronte al Palacio de La Moneda (sede del Presidente) era morto seduto su una panchina di quella stessa piazza che aveva continuato a pulire in quegli ultimi anni della sua vita. Aveva 80 anni.
C'è chi vorrebbe incanalare questa irruzione nella creazione di una nuova costituzione. Quella che abbiamo ora, proviene dall'era di Pinochet ed è quella che avalla il furto e la razzia. La richiesta di un'assemblea costituente per realizzare la nuova costituzione è qualcosa che si sente sempre più risuonare tra certi gruppi. A volte temo che se ciò venisse concesso, la cosa finirebbe per prosciugare quella che è la potenza di questo movimento. Però, d'altra parte, penso che una tale costituzione, se rispondesse davvero alle molteplici richieste delle persone, comporterebbe una tale modifica dell'ordine delle cose che questo diverrebbe un altro Cile, in cui forse la costituzione stessa non avrebbe più senso di esistere: questa rivolta sta mettendo in discussione in maniera intuitiva le basi stesse della struttura sociale capitalista.
Questo momento sembra essere l'unico terreno fertile. E per alcuni giorni è sembrato che fosse possibile tutto. Nei quartieri sono apparse molte assemblee auto-convocate. Alcune città colpite dall'inquinamento dell'industrie estrattive hanno affrontato i grandi capitali ed hanno interrotto le loro attività, e così via. Assistere a questa organizzazione spontanea è stato molto entusiasmante.
Le manifestazioni continuano ad essere di massa e somigliano ad una festa. Nelle strade occupate le persone sembrano più felici, la gente balla, canta, condivide idee, i pasti, i sorrisi. Nessuno sa come questo andrà avanti. Per ora continuiamo contenti per esserci ritrovati, scommettendo sulla capaciti di vederci e sentirci.
Cosa ci vuole per andare avanti nella distruzione di quest'ordine che sembra caderci sulla testa senza che noi si intervenga? Si tratta solo di vivere le nostre vite contro quelle che sono le richieste del capitale? Non cercare di rovesciare il sistema nel suo insieme, ma dedicarci a costruire, in mezzo a queste rovine, la nostra organizzazione, qui ed ora, con tutti i limiti e le potenzialità delle circostanze?

- Raoul Vaneigem -  Pubblicato su Comunizar il 1° novembre 2019 -

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