giovedì 28 novembre 2019

Indagini!!

Questa indagine nasce da una serie di indizi curiosi: un refuso rivelatore – Psyche invece di Psycho – nel primo trafiletto che annunciava il nuovo progetto di Hitchcock. Una statuetta di Amore e Psiche di Canova che s’intravede in una scena del film. Una sibillina dichiarazione del regista, che presentò Psycho alla stampa come un’«escursione nel sesso metafisico». Continua con un'ispezione dei luoghi del delitto ormai disabitati: il Bates Motel e la casa arcigna in cima alla collina, che Hitchcock volle allestire come gallerie d’arte o Wunderkammern. E diventa una visita guidata che si svolge, con i brividi di prammatica, fra il bric-à-brac degli arredi cupi, e sotto l’occhio impassibile di uccelli impagliati. Una stanza dopo l’altra, il detective Vitiello – e dietro di lui, lo spirito di un Hitchcock mistagogo e sornione – ci aiutano a vedere la spettrale dimora vittoriana di Psycho come un musée imaginaire dell’erotica misterica, per le cui stanze si inseguono tre cicli mitologici infernali: Amore e Psiche, Orfeo ed Euridice, Demetra e Persefone. È una scoperta sorprendente e a suo modo sinistra, alla quale tutto sommato vorremmo sottrarci. Ma forse è troppo tardi: come avremmo dovuto sapere prima ancora di aprire il libro, infatti, dal regno infero di Norman Bates non si esce con la stessa facilità con cui si entra.

(dal risvolto di copertina di: Guido Vitiello, "Una visita al Bates Motel". Adelphi)

Euridice si perde nel motel di Psycho
- di Aldo Grasso -

    

Esiste anche la cinefilia erudita, e questo è un bene. Una visita al Bates Motel di Guido Vitiello (Adelphi) è un sopralluogo di grande finezza nelle stanze di quella casa in cima alla collina che Alfred Hitchcock volle allestire come camera delle meraviglie, prima di destinarla a luogo del delitto per eccellenza.
Un’indagine che si estende tra la detection e l’erotismo misterico, tra il fremito conoscitivo e la conoscenza stessa come fremito di possessione, e costruisce una fitta rete di rimandi capaci di combinare analisi del film, riferimenti alla cultura classica e a effigi di storia dell’arte. «Prima di Psycho — scrive Vitiello — non era mai accaduto, forse, che un film si identificasse a tal punto con i suoi luoghi. Psycho è il Bates Motel, e il Bates Motel è Psycho. Hitchcock aveva la cattiva abitudine di sminuire i meriti dei collaboratori e i debiti verso le fonti, e per magnificare la sua immagine di demiurgo era pronto a qualunque millanteria. Pur di alimentare la leggenda che nei suoi film nulla fosse lasciato all’improvvisazione, a riprese concluse arrivò a far disegnare falsi storyboard preparatori di Intrigo internazionale. Per Psycho pagò Bloch (Robert Bloch, autore del romanzo, ndr) una miseria, neppure 10 mila dollari, e confidò a François Truffaut, con sufficienza, che del romanzo lo aveva interessato solo la scena della doccia. Nulla di più falso».
Psycho uscì nel 1960 e all’epoca Hitchcock era un regista ormai ampiamente affermato, avendo all’attivo capolavori come La finestra sul cortile, Caccia al ladro, Intrigo internazionale. Il film nasce dall’esperienza televisiva di Alfred Hitchcock Presents (Cbs, 1955-60): lo si capisce dall’uso del bianco e nero e soprattutto dall’utilizzo della stessa troupe che lavorava per i telefilm. Durante la realizzazione della serie, infatti, il regista scrive il film, lo finanzia e lo produce con la Shamley Productions, la casa di produzione da lui fondata.
La famosa sequenza della doccia in cui viene accoltellata la protagonista Marion Crane (Janet Leigh) è una delle scene più iconiche della storia del cinema (dura tre minuti), citata decina di volte in altri film e, come tutte le scene madri, soggetta a mille interpretazioni: 78 singole inquadrature, 52 stacchi di montaggio e un’intera settimana di riprese dedicata solo a quella scena, rispetto alle 4 che ci sono volute per girare l’intero film.

Il quadro che Norman Bates (Anthony Perkins) toglie per poter spiare Marion intenta a fare la doccia è dell’inizio del XVII secolo, s’intitola, Susanna e i vecchioni e tratta una storia di moralità, di adulterio ma anche di voyeurismo. Un tema biblico, ma Vitiello scopre che Susanna, sul set, è circondata da quadri e sculture di Venere, Cupido, Psiche, Orfeo, Demetra, ma anche di animali impagliati, teche, collezioni di libri... Se Hitchcock è famoso per la sua cura maniacale del dettaglio, anche Vitiello dimostra una straordinaria capacità di indagare gli interstizi del film, i vuoti, i piccoli indizi rivelatori, gli avvertimenti insoliti, le corrispondenze, le porte socchiuse, le reliquie, le minuzie disseminate dal regista. Scrive ancora Vitiello: «Il Bates Motel è un museo immaginario dell’eros metafisico, per le cui stanze si inseguono, echeggiandosi l’un l’altro, tre cicli mitologici di catabasi e anabasi, discesa agli inferi e resurrezione: Amore e Psiche, Orfeo ed Euridice, Demetra e Persefone. La casta Susanna — unico motivo biblico — è dovunque assediata, più che dai vecchioni, dai Misteri Pagani». Insomma l’universo di Psycho è un «segreto aperto», un gioco d’incastri a formare sequenze del più radicale e sfibrante sogno, sfuggito all’occhio distratto di critici e accademici che da anni «spolpano» la carcassa del film. In un’intervista con Louella Parsons, il regista aveva affermato che il film sarebbe stato «un’escursione nel sesso metafisico» ( metaphysical sex). Ma chi è allora Hitchcock? Uno dei più grandi registi della storia del cinema? Un metafisico prestato al cinema, secondo la lettura che ne hanno fatti i Cahiers du Cinéma? Un raffinato cultore delle sue ossessioni? Un lettore inopinato di La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica di Mario Praz?
Vitiello lo definisce un mistagogo, il sacerdote che a Eleusi conduceva la processione degli iniziandi sulla via dei misteri ma anche, secondo Cicerone, una sorta di guida turistica. Vanno bene entrambe le definizioni (il cinema appartiene pur sempre alla cultura di massa), quello che importa è che Hitchcock abbia lasciato così tante orme con un unico scopo: se avete occhi per vedere io vi conduco per mano a scoprire un tracciato astrale e fantasmatico, la grande immagine enigmatica puntellata tra l’Olimpo e il Sunset Boulevard. E il film diventa così un curioso esperimento di mistagogia cinematografica sulle migrazioni del sacro: « Psycho è la sua elegia per la morte del cinema. Quella vorace macchina sacrificale per generare dèi e dee, i cui ingranaggi avevano lavorato a pieno regime per decenni, si era ormai inceppata. E con le Dive in esilio si preparava una nuova, forse lunghissima eclissi dell’eros metafisico. Anni dopo, quando Hitchcock notò la sconosciuta modella Tippi Hedren nello spot televisivo di una bevanda dietetica, gli sembrò forse di poter riacciuffare per un’ultima volta la bellezza classica di Grace Kelly — ma come se avesse intravisto l’ombra di un’Euridice dal destino segnato».
Una visita al Bates Motel è un libro dalla bella prosa, classico, anzi, con un gioco di parole caro a Hitchcock, verrebbe da dire un libro classico, perché non solo ricorda saggi come Il teatro di posa della mente (una lettura vedanica della Finestra sul cortile) o Il guanto di Gilda, ma richiama il lavoro d’intarsio dei libri di Roberto Calasso.

- Roberto Grasso - Pubblicato sul Corriere del 17/11/2019 -

Nessun commento: