martedì 19 novembre 2019

Giallo!

«Il giallo è il colore meno amato sulla tavolozza. Dal Medioevo era sinonimo di tradimento. Forse perché è difficile renderlo vivido nella pittura come nella natura» – Michel Pastoureau

«Il sole mi abbaglia e mi dà alla testa, un sole, un chiarore che posso solo definire giallo, giallo zolfo, giallo limone, giallo oro. È così bello, il giallo!» – Vincent van Gogh

Come interpretare il giallo? Colore chiaro, caldo, luminoso, oppure elusivo, malsano, traditore? Il limitato interesse che suscita nella vita quotidiana dura da almeno cinque secoli, benché avesse goduto in passato di un notevole prestigio. Colore della luce e della ricchezza per gli Antichi, di grande importanza religiosa per i Greci e i Romani, simbolo dell’oro e dell’immortalità per Celti e Germani, non era caduto in disgrazia fino al Medioevo. È in quell’epoca che in contrapposizione al giallo felice dell’oro, del miele e del grano, del potere e dell’abbondanza si fa strada il giallo demoniaco della falsità, della malattia e della follia. Anche nella cultura materiale il giallo perde importanza: lo disprezzano la Riforma protestante, la Controriforma cattolica e la borghesia ottocentesca. Benché la scienza lo annoveri fra i colori primari, non riesce a ritrovare il suo prestigio. L’ambivalenza simbolica sopravvive ai nostri giorni. Un giallo che tende al verde ci appare sgradito o minaccioso, forse addirittura tossico. Tutto l’opposto di quando si avvicina all’arancio e diviene allegro, sano e vivificante. Dopo i volumi dedicati al blu, al nero, al verde e al rosso – Giallo continua il lavoro che Michel Pastoureau ha dedicato negli ultimi vent’anni alla storia sociale e culturale del colore. Una grande opera che nella sua ricchezza di riferimenti dotti e popolari diventa un modo sorprendente per raccontare l’evoluzione della nostra società, dalle origini a oggi.

(dal risvolto di copertina di: Michel Pastoureau: "Giallo. Storia di un colore", Ponte alle Grazie Traduzione Guido Calza pagg. 240 euro 32.)

Metti un giallo tra Platone e La La Land
- di Mariarosa Mancuso -

I pittori che sdegnano questo o quel colore fanno l’effetto di un artigiano che rifiuta certi attrezzi inutili o pericolosi. Vasilij Kandisnkij, per esempio, era drastico nei suoi giudizi. Il verde gli pareva «una vacca grassa, capace solo di ruminare, che fissa il mondo con occhi ottusi e indifferenti ». Il giallo invece «mette lo spettatore in apprensione, lo eccita, lo stimola; è un colore violento e intenso, paragonabile a quello di una tromba acuta suonata sempre più forte».
Un colore placido e borghese da una parte. Un colore molesto dall’altra, con buona pace dei numerosi "Girasoli" dipinti a fine ottocento da Vincent van Gogh. Il giallo, notiamo, è assente dal sonetto di Arthur Rimbaud, 1872, mentre la U viene associata al verde e la O al blu. Vladimir Nabokov racconta che già da piccolo vedeva l’alfabeto a colori. A sette anni gli regalarono i cubetti con le lettere stampate, tremenda delusione: nessuna era del colore giusto. Da grande, nell’autobiografia
Parla, ricordo, racconta la gamma dei suoi gialli: «la cremosa d, l’oro splendente della y, e la u, il cui valore posso solo esprimere come ottone con riflessi oliva».
Al verde, lo storico dei colori Michel Pastoureau (insegna Storia del simbolismo all’Ecole Pratique di Parigi) aveva già dedicato un magnifico libro con illustrazioni. Uscito da Ponte alle Grazie, come la sua storia del blu, la sua storia del rosso, la sua storia del nero.
Giallo — Storia di un colore è l’ultimo della serie, annunciato in copertina da una settecentesca "Natura morta con pera e insetti". La mosca serve come prova suprema di realismo: se chi ammira il dipinto ha la tentazione di scacciarla, l’inganno pittorico è riuscito. Nel Primo uomo, il regista Damien Chazelle piazza una mosca dentro il modellino di navicella spaziale dove Ryan Gosling-Neil Armstrong si addestra per il viaggio sulla luna. Sentiamo il ronzio, sospendiamo l’incredulità.
Dobbiamo a Damien Chazelle — complice la sua costumista Mary Zophres — anche lo smagliante abito giallo che Emma Stone indossa in La La Land per ballare il tip tap. Un giallo gioioso, in contrasto con le alterne vicende del colore ricostruite, con ricca iconografia, da Michel Pastoureau. Nell’antichità, il giallo era il colore del sole, dell’oro, della prosperità. Era usato nei riti religiosi, celebrava le mitologiche "età dell’oro", faceva bella mostra di sé sui vestiti delle donne romane. Nel medioevo l’immagine cambia: diventa il colore dello zolfo e della bile, dell’invidia e del tradimento, della gelosia e della menzogna. Giuda viene ritratto con il sacchetto con i trenta denari, e sempre un tocco di giallo sporco ( le sostanze coloranti erano varie e Pastoureau le conosce tutte). Raro aspetto positivo, i biondi capelli di Isotta.
Il Settecento — secolo dell’illuminazione non solo filosofica — ricomincia ad apprezzare il giallo, assieme a certi colori pastello che oggi scatenerebbero la censura, per esempio la cuisse de nymphe émue. Con l’ 800 il giallo torna dalla parte sbagliata dello spettro — lo spettro sociale, non quello studiato a suo tempo da Isaac Newton, che sostituì la classificazione aristotelica. Oggi, certificano i sondaggi, sta in fondo alle preferenze: circa la metà degli europei e degli occidentali sceglie il blu, il giallo rosicchia un cinque per cento.
Era gialla la stella imposta dai nazisti con la scritta "Jude". Erano vestiti di giallo i buffoni e le prostitute, spesso erano gialli anche i manicomi. La Yellow Press era la stampa scandalistica. Aveva un passaporto giallo Jean Valjean nei Miserabili di Victor Hugo: ai datori di lavoro non faceva buona impressione. Giallo è il colore dell’Asia, nei cinque cerchi olimpici (e del resto l’Africa è nera, nell’idea di Pierre de Coubertin che non conosceva correttezza politica). Un cumulo di nefandezze, con qualche segno positivo nello sport, come la Maglia Gialla al Giro di Francia. I delitti dei Gialli Mondadori — che in Francia erano noir — contribuiscono alla brutta fama del colore. Forse sarà il pop a salvarci: la Gioia, nel film di Pete Docter Inside Out, ha un abito giallino, quasi fluorescente ( con capelli blu elettrico, per ribadire la sferzata di energia).
Nell’ultimo capitolo, Michel Pastoureau studia il giallo dei gilet francesi — un segnale di pericolo e di allarme, dalla Francia profonda. E dei Cinque Stelle italiani, soluzione di ripiego: in politica i colori erano già tutti presi, anche l’arancione. In un altro libro più frammentario e personale ( I colori dei nostri ricordi, come il più recente Un colore tira l’altro) ricorda il gilet « giallo brillante, caldo, quasi zuccheroso » del surrealista — e amico di suo padre — André Breton, ammirato a cinque anni e mai dimenticato. C’era anche un perfido « beige Mitterand » : come un completo estivo che non stava particolarmente bene al presidente. Lo ritroviamo nei tristi androni dei palazzi.
Tornando al passato, Pastoureau racconta il giallo di Fragonard e il giallo di Vermeer. Distingue tra la tavolozza di colori cattolica e una tavolozza protestante. Ricorda che il nemico numero uno di ogni riformatore sono i colori. Platone non voleva cacciare dal suo stato ideale solo i poeti. Diffidava anche dei tintori e dei pittori, portatori di falsità.

- Mariarosa Mancuso - Pubblicato su Robinson del 16/11/2019 -

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