Tra il 1391 e il 1425 tre donne sono decapitate per ordine dei loro mariti. Spose di tre fra i più importanti signori dell’Italia del Rinascimento – di Mantova, Milano, Ferrara – Agnese Visconti, Beatrice di Tenda e Parisina Malatesta sono condannate a morte per adulterio. Eppure nessuna donna infedele subiva allora un tale castigo; inoltre, altra stranezza, invece di dissimulare tale condanna alla pena capitale, i tre signori la resero, al contrario, pubblica. Si tratta di un enigma storico che Élisabeth Crouzet-Pavan e Jean-Claude Maire Vigueur intendono svelare. Certamente queste tre donne hanno tradito i loro mariti, ma sono soprattutto colpevoli di aver tentato di prendere parte alle grandi innovazioni culturali e politiche del loro tempo. Sono punite per aver voluto trasgredire lo statuto tradizionalmente scialbo di «sposa del signore». Condannandole a morte, i loro mariti riaffermano simbolicamente il loro potere di principi.
Questo libro è nato da un’osservazione, o piuttosto, come spesso accade nell’esistenza dello storico, da un’intuizione. Essa indicava che era davvero sorprendente che tre donne, spose tutte e tre di signori, in quanto ritenute adultere fossero state giustiziate dai loro mariti nell’arco di un periodo relativamente breve, poco più di trent’anni, tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo. E quell’intuizione suggeriva invece che, nella storia dell’Italia del Nord al tempo del primo Rinascimento, con queste tre morti erano avvenuti tre eventi singolari. Chi erano dunque queste tre donne? La prima si chiamava Agnese Visconti e fu decapitata nel 1391; la seconda, Beatrice di Tenda, morì nel 1418; la terza, Parisina Malatesta, fu giustiziata nel 1425. Quanto ai loro mariti, figuravano tra i personaggi più importanti dell’Italia del tempo. Agnese, infatti, aveva sposato Francesco Gonzaga, signore di Mantova; il marito di Beatrice non era altri che il duca di Milano, Filippo Maria Visconti; Parisina era invece la seconda sposa di Niccolò III d’Este, signore di Ferrara. Il crimine che le aveva condotte alla morte era lo stesso per ognuna di loro: aver commesso adulterio con un uomo che, riconosciuto colpevole del medesimo crimine, venne giustiziato assieme a colei che era, o sarebbe stata, la sua amante. Lo scopo del libro è non tanto ricostruire la loro vita – esercizio in ogni caso quasi impossibile – quanto cercare di comprendere ciò che poté legittimare, nella storia di queste coppie signorili, un simile evento: tre morti per decapitazione.
(dal risvolto di copertina di: Élizabeth Crouzet-Pavan, Jean-Claude Maire Vigueur, "Decapitate. Tre donne nell'Italia del Rinascimento". Einaudi.)
Se le donne perdono la testa per il potere
- Agnese, Beatrice, Parisina: spose di grandi signori italiani, vennero tutt’e tre decapitate su ordine dei mariti. Ufficialmente per adulterio, in realtà perché il loro ruolo tracimava dal privato alla sfera pubblica e politica -
di Alessandro Barbero
La crisi delle democrazie comunali e la loro trasformazione in feroci dittature nel corso del Trecento è uno dei fenomeni più inquietanti della storia d'Italia. E' vero che parlare di democrazia è un anacronismo, perché anche nelle città dove si era affermato un governo di popolo, i più poveri rimanevano esclusi. E' vero che la vita politica nei comuni era troppo violenta, e che un sofisticato sistema di votazioni, sorteggi e consigli era continuamente ostruito dagli scontri di fazione e dai tumulti di piazza. È vero che l'arrivo dell'uomo forte significò spesso una garanzia di pace, e che gli organismi rappresentativi del comune continuarono per un po' a controbilanciare l'autorità del signore, sicché gli storici oggi tendono a proporre un'interpretazione meno drammatica della transizione dal comune alla signoria. Tutte queste considerazioni, però, gli storici del futuro potranno farle anche per i regimi di Mussolini o di Pinochet, e correranno lo stesso rischio che corriamo oggi quando esaminiamo l'avvento delle signorie dalla tranquillità dei nostri studi: di dimenticare, cioè, che per chi viveva lì e in quel momento, quei cambiamenti erano invece sconvolgenti ed epocali.
La violenza intrinseca dei regimi signorili, rivolta indiscriminatamente a oppositori veri e potenziali, è documentata fra l'altro dalla morte di tre donne che dai vertici del potere vennero sbalzati in pochi giorni al patibolo. Agnese Visconti, moglie di Francesco Gonzaga signore di Mantova, fu giustiziata nel 1391; Beatrice Cane, moglie del duca di Milano Filippo Maria Visconti, nel 1418; Parisina Malatesta, moglie di Niccolò d'Este signore di Ferrara, nel 1425. Tutt'e tre decapitate, tutt'e tre per ordine del marito, e tutt'e tre con l'accusa di adulterio.
Il signore di Mantova volle per la moglie un processo legale, che si concluse con la condanna entro una decina di giorni dall'arresto di Agnese e del suo amante; ma i giudici, prima di cominciare, avevano ricevuto istruzioni che prevedevano già le modalità dell'esecuzione, il che la dice lunga sull'effettiva correttezza del processo. Anche il duca di Milano si prese la briga di far intervenire un giudice per condannare a morte la moglie e il presunto amante, ma senza imbastire una procedura legale. Il marchese di Ferrara, sorpresa la moglie in adulterio con uno dei tanti figli illegittimi che lui stesso aveva avuto e che allevava nel proprio palazzo - ne conosciamo ufficialmente ben ventiquattro -, li fece decapitare entrambi l'indomani senza neppure la parvenza di un processo.
Jean-Claude Maire Viguer ed Elisabeth Crouzet-Pavan sono tra i massimi esperti del basso Medioevo italiano, cattedratici rispettivamente a Roma e alla Sorbona. Sono loro ad aver notato per primi l'eccezionalità di queste tre vicende, accadute nello stesso modo e nel giro di così pochi anni. Eccezionalità, perché la legislazione medievale non era particolarmente repressiva e non puniva certo con la morte una banalità come l'adulterio. Esisteva il delitto d'onore, come testimonia la storia dantesca di Paolo e Francesca, ma non era poi così frequente: attorno ad ogni coppia agiva una fitta rete di parenti che potevano proteggere una moglie dalla violenza del marito, e negoziare una soluzione alternativa. La separazione e il divorzio esistevano anche allora, soprattutto per i potenti. E allora, perché quei tre signori reagirono così all'adulterio delle mogli?
Inizia da questa domanda un viaggio inatteso nei meandri delle corti del primo Rinascimento, per scoprire cosa voleva dire essere una donna nata ai vertici di quella società. A queste bambine privilegiate veniva impartita un'educazione raffinatissima: «danza, canto, buone maniere, equitazione, caccia al volo e lettura di romanzi cavallereschi». Si sposavano giovanissime, e non in chiesa: il matrimonio era un rituale pubblico incentrato sull'accordo tra due famiglie e sulla consegna della sposa dal padre al marito, senza nessuna connotazione religiosa. La donna sposata diventava padrona della casa, segregata in un ruolo tutto privato che nel caso di una principessa tracimava però inevitabilmente nell'ambito pubblico e politico, e conferiva alla moglie del signore un enorme potere, anche economico. Ma non basta, perché la politica, la guerra, la caccia costringevano il signore a lunghe assenze, nel corso delle quali l'autorità di governo veniva delegata alla persona che gli era più vicina: la moglie diventava l'alter ego del marito, e comandava a suo nome.
Alla fine, la violenza con cui quei tre signori reagirono all'adulterio delle mogli non è, banalmente, la reazione di maschi spaventati, intenti a ribadire la supremazia patriarcale di fronte all'insubordinazione femminile. L'adulterio di Agnese, di Beatrice e di Parisina è molto di più di un tradimento privato, di quelli che nella società dell'epoca provocavano, come nella nostra, sofferenza e trauma, ma ben difficilmente si concludevano con la morte. È un tradimento politico, che mette in dubbio la saggezza del signore e la solidità del suo potere, giacché è stato tradito proprio dalla persona che gli era più vicina e a cui aveva delegato così tanta autorità. E allora bisogna dissipare ogni sospetto, ribadire che il potere del signore è intatto, che incarna la legge e al tempo stesso è al di sopra della legge: e che è, letteralmente, un potere di vita e di morte.
- Alessandro Barbero - Pubblicato su Tuttolibri del 26/10/2019 -
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