lunedì 4 novembre 2019

Il Terzo Assalto

Utopia o Rivoluzione?
- Ragioni e possibilità per scatenare il Terzo Assalto Proletario -
di "Agitaciòn Immanente"

«Nel momento in cui la società scopre che essa dipende dall'economia, l'economia di fatto dipende da essa.» (Guy Debord - La società dello spettacolo - 52).

«A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. (...) Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana.» (Karl Marx, Per la critica dell'economia politica. Prefazione).

Viviamo in anni decisivi. Come non era mai successo prima nella storia del capitalismo, troviamo tante ragioni per fare la rivoluzione, però, allo stesso tempo, la classe spossessata, mai prima d'ora, è stata così alienata e priva di quello che è il suo proprio senso storico così come lo è in questi ultimi decenni. In questo testo, faremo uno sforzo per cercare di chiarire alcune delle ragioni e delle possibilità aperte dall'attuale congiuntura storica della lotta di classe, cercando di contribuire all'agitazione pratica che ci permetta di negare categoricamente questa società nel momento in cui le condizioni storiche innescano il terzo assalto proletario mondiale, in modo che possa essere un attacco definitivo al Capitalismo e alla società divisa in classi.

Cominciamo dai motivi:
La desolante deriva dell'essere umano sottomesso al ciclo della riproduzione delle merci, è la ragione principale a partire dalla quale l'umanità si batte per superare il capitalismo. La contrapposizione con la propria attività, la sua cosificazione e di quello che ci circonda, sono il riflesso più crudele dell'alienazione della sua vita. La perdita del controllo del proprio tempo, nel sottometterlo all'interscambio commerciale, rende la specie umana estranea a sé stessa, l vendita del proprio tempo costituisce una constante rinuncia della propria esistenza a favore del denaro e della sua accumulazione privata. Questa scarsità storica e quotidiana alla quale veniamo sottoposti ed educati non ci consente di riconoscerne l'inconsapevolezza. L'autodistruzione della specie umana e della terra è lo specchio storico coerente del modo in cui ci relazioniamo l'un l'altro. Per fare in modo che questa alienazione [*1] della vita sia un fatto oggettivo, è necessario che il lavoratore sia obbligato a vendere la propria forza lavoro, e, per essere obbligato, è necessario che manchi dei mezzi per vivere, e che questi mezzi siano dell'altro. Questi processi storici sono stati tracciati da Marx nel suo testo principale, Il Capitale, vale a dire: l'appropriazione privata dei mezzi di sussistenza e l'obbligo a trasformare la nostra attività in merce. Questo processo storico di alienazione si istituisce progressivamente con quella che è stata la primitiva appropriazione private della produzione a partire dall'espropriazione delle terre comuni [*2]. Nello scindersi e suddividersi dell'attività umana tra produttori e proprietari, viene soppressa quella che era la vita in comunità ed in relazione diretta con la natura, dando così origine al nascere delle prime società di classe. Recintando ed espropriando le terre comuni, i proprietari espropriano i produttori anche del loro utilizzo, dei frutti e delle eccedenze, costringendoli a sopravvivere attraverso l'alienazione del loro tempo (dapprima per gli imperatori ed i re, poi per i signori feudali, fino ad arrivare allo Stato e agli imprenditori moderni), o - il che è la stessa cosa - sopravvivere attraverso il Lavoro (schiavo, servile, salariato) in quanto attività specifica delle società di classe, differenziata da quella che è in generale l'attività umana vivente. Nel moderno lavoro salariato, gli esseri umani vengono massicciamente spogliati delle loro terre comuni ed obbligati a vendere il loro tempo come lavoratori salariati «liberi»; liberi dai mezzi di sussistenza liberi di scegliere da chi e come verranno sfruttati. Lo schiavo smette di essere uno strumento di produzione che appartiene al suo padrone, ora il tempo di lavoro diventa una merce che viene venduta «liberamente» al capitalista. La società di classe viene semplificata: da una parte coloro che da vendere non hanno nient'altro che il proprio tempo, il proletariato, e dall'altra quelli che posseggono i mezzi di sussistenza ed obbligano gli altri a produrre ricchezza per loro, i capitalisti. Qui, dal punto di vista del proletariato, ciò che distingue dai precedenti modi di sfruttamento, consiste nel fatto che il tempo di vita alienato del salariato non viene direttamente ammortizzato in beni di sussistenza o in protezione (come avveniva nello schiavismo e nel vassallaggio), ma esso viene restituito sotto forma di salario, che contiene incorporato in sé solo quella parte di valore necessaria alla sussistenza. Il resto del tempo lavorato, che è l'eccedenza prodotta dal lavoratore, se la mette in tasca il capitalista e si chiama Plusvalore [*3]; questo processo di accumulazione sta alla base del modo di produzione capitalista, la base materiale che è il motore a partire dal quale comincia l'ampliamento necessario a riprodurre l'economia. In altre parole, dall'eccedenza del tempo di lavoro del proletariato si estrae la capacità di generare Capitale: valore convertito in plusvalore. L'eufemismo sociale chiamato lavoro dissimula la moderna schiavitù, legittimandola socialmente a partire dalla forma merce, ma lo fa completamente a partire dal fatto che il lavoratore arriva a considerare sé stesso alla stregua di una merce. Questo stravolgimento, secondo quelli che sono i criteri dell'uguaglianza tra le merci, permette al Capitale di nascondere lo sfruttamento senza dover far riferimento a Dio, materializzando il mito in quello che è un contratto socio-commerciale che formula la condanna del nostro tempo, la cosiddetta Legge del Valore [*4]. Questa legge stabilisce lo scambio generale «equivalente», «equo» tra le merci, ma nel mercificare il lavoro estrae da esso un plusvalore che non remunera mai, che viene presentato dagli economisti borghesi e socialdemocratici come se fosse una relazione fondamentale della società, «naturale». Dal punto di vista della classe dominante, ciò che differisce dai modi di produzione precedenti è che anticamente le società di classe pre-capitaliste si limitavano ad appropriarsi  della produzione eccedente per il godimento della classe possidente, mentre nel capitalismo invece l'eccedente non viene direttamente consumato dal borghese, bensì viene estratto al fine di valorizzare un ciclo di accumulazione infinita che viene gestita dal capitalista che la dirige, e per mezzo del quale trae i suoi profitti. È questa legge del valore ciò che regola la società capitalista nel suo insieme, determina tutte le relazioni sociale; sia quelle dei produttori così come quelle dei possessori. In tal modo, nel mercificare lo sfruttamento, l'attività produttiva dell'essere umano viene ridotta ad una merce peculiare chiamata «forza lavoro» - l'unica merce in grado di produrre quel «pluvalore» -  e che viene scambiata e venduta al miglior offerente, e pertanto utile solo per chi l'acquista. Pertanto, per il capitalista, il suo beneficio deriva dall'essere un funzionario del Capitale, il suo dirigente, fintanto che impone le necessità della legge del valore. Da questo punto di vista, il processo di lavoro necessario a produrre capitale è solo un processo tra cose che il capitalista ha comprato e che gli appartengono: il processo di consumo della merce forza lavoro e i mezzi di produzione. Stando così le cose, a partire dal trionfo della borghesia fino ad oggi: il denaro ha distrutto quella che era l'antica comunità, convertendola e trasformandola nella comunità del denaro [*5].

Non abbiamo fatto altro che vivere per lavorare, e lavorare per supportare una valorizzazione infinita ed astratta che mantiene una classe sempre più ristretta e minoritaria, la classe dei possessori. Il proletariato cede e consegna tutta la sua propria vita ad un progetto sociale alieno ed estraneo a quelle che sono le necessità reali dell'umanità, in cui la maggioranza degli esseri umani è stata deliberatamente espropriata non solo dei mezzi fisici di produzione, ma anche di tutta la conoscenza ed il ragionamento, così come della terra che abita e della fonti naturali di vita grazie alle quali sopravvivono. Lo diciamo fuori dai denti, nel Capitalismo non conta la necessità sociale che riforniamo con il prodotto dei nostri sforzi, conta solo la redditività del ruolo che svolgiamo. Si spiega così il fatto che il valore del lavoro di un fornaio, di un muratore, o perfino di un medico sia irrisorio se lo confrontiamo con quello di un azionista, di un calciatore, di un attore famoso; oppure che si parli di «cambiamento climatico» quando siamo tutti a conoscenza del fatto che è la sete infinita di denaro a prosciugare le nostre valli, sciogliere il ghiaccio polare ed incendiare i nostri boschi. Ciò che conta per questa società, non sono i nostri bisogni, né l'armonia con la nostra biosfera, ma il denaro e la sua capacità di moltiplicarsi. Un maestro di scuola, per esempio, è un lavoratore produttivo quando, oltre a inquadrare il cervello dei bambini, si ammazza di lavoro per arricchire l'imprenditore. Il fatto che quest'ultimo abbia investito in una fabbrica di insegnamento anziché in una fabbrica di salsicce, non cambia di una virgola quella che è la loro relazione. La produzione capitalista non è solo produzione di merci; in essenza, essa è produzione di plusvalore. L'operaio non produce per sé, ma per il capitale. Pertanto, non basta produrre in generale. Bisogna produrre plusvalore. È produttivo solo il lavoratore che produce plusvalore per il capitalista, ovvero quello che serve all'auto-valorizzazione del capitale [*6].
Dopo la sviluppo industriale che nel 19° secolo portò allo sfruttamento del lavoro salariato e alla conseguente crisi della valorizzazione , all'inizio del 20° secolo, si viene a produrre quella che è una progressiva inclusione dei lavoratori nel processo del consumo di merci [*7], in cui nuove forme di alienazione vengono ad aggiungersi all'alienazione in senso stretto: all'alienazione nella produzione, si assomma l'alienazione per il consumo, all'alienazione nel tempo lavorativo si aggiunge l'alienazione nel «tempo libero». Questo si traduce nello sviluppo esponenziale dell'industria dello spettacolo, della pubblicità, dell'intrattenimento, delle telecomunicazioni e del settore dei servizi, proiettando così nel proletariato un'immagine rovesciata della realtà, che riflette i desideri del capitale e della classe borghese, minando il suo tessuto sociale e la sua coscienza della propria realtà materiale. In questo modo, la totalità dell'esistenza umana si identifica con il movimento delle merci, interiorizzando una natura quantificabile e consumabile come quella di qualsiasi merca; il tempo è denaro, come dice il motto borghese. Nel momento in cui la merce è arrivata ad occupare totalmente la vita sociale, la relazione con la merce non è solo visibile, ma è l'unica cosa ad essere visibile: il mondo che si vede è il suo mondo. Il capitale estende quella che è la sua dittatura in maniera ampia ed intensa. La vita smette di essere vissuta e comincia ad essere contemplata, e la schiavitù salariale viene inconsciamente assunta attraverso il culto di una vita effimera, la quale non risiede in alcun luogo ma solo nell'astratta pubblicità del settore immobiliare, nella serie televisiva di turno o nel viaggio sognato che andremo a realizzare usando le due settimane annuali di «libertà» che chiamiamo vacanze. Come avviene nella teoria della carota e del bastone di Jeremy Bentham, nella quale ogni azione umana è dettata dal volere evitare il dolore e raggiungere il piacere, il trionfo della vita commerciale ci appare come un'organizzazione totalitaria dell'apparenza, che ha sostituito le vecchie relazioni sociali, incubando una soggettività passiva e feticista, sempre accondiscendente alla valorizzazione permanente del valore. Non esiste alcun tempo che possa essere vissuto al di fuori della produzione delle merci, poiché non esiste altro che il tempo della produzione generalizzata di merci. In tal senso, il consumo di merci, o la riproduzione della nostra quotidianità, può essere intesa solamente come una tappa del processo della circolazione generale del modo di produzione capitalistico. In questo processo, che Jacques Camatte ha definito come «dominio reale del capitale», in cui il proletariato non solo viene espropriato del suo tempo di vita e della sua capacità mentale, ma dove il tempo della circolazione ora prevale su quello della produzione(...) Il ciclo si chiude in quella che è un'identificazione: tutto il tempo degli uomini è tempo socialmente necessario alla creazione e alla circolazione/realizzazione del plusvalore. Tutto     quanto può essere misurato per mezzo delle lancette di un orologio. [*8] Se prima del dominio reale del capitale, la lotta di classe si presentava concretamente nella coscienza del proletariato, al giorno d'oggi, la giustapposizione tra la sua vita quotidiana e la logica dello scambio di merci, ha finito per incorporarlo pienamente nel processo di circolazione delle merci, e la totale alienazione dalla sua realtà rende la sua stessa esistenza in quanto soggetto parte indissolubile dell'alienazione generalizzata. Capitale e Proletariato si dispiegano come se fossero due poli antagonisti, e tuttavia correlati del dominio. La sconfitta di quello che è stato il secondo assalto proletario ci offre un esempio vivente di questa fase, nella quale il vecchio movimento operaio rivendicava al proletariato di essere, in quanto forza lavoro vivente, soggetto storico della rivoluzione. Ai nostri giorni, l'apologia del lavoro fatta da una trincea «proletaria» ha ancora meno senso, e serve solo a diffondere la debacle morale tra i lavoratori e la loro organizzazione rivoluzionaria; conformismo, passività, competitività, smania di successo e ordine. Riassumendo, durante quelli che sono stati i suoi inizi, la classe capitalista ha diffuso la povertà materiale, spogliando gli esseri umani delle loro comunità e del territorio, instaurando una sopravvivenza fatta di ristrettezze al costo dell'imposizione del lavoro. Attualmente, salvaguarda il proprio dominio propagandando il lavoro come se fosse l'unica possibile forma di sopravvivenza, nascondendo sistematicamente ogni possibilità di vivere in maniera creativa e relazionandosi direttamente con la terra e la comunità. A spese del proletariato - e diversamente da quello che diffonde l'ideologia del progresso - lo sviluppo del Capitale ha impoverito la vita di tutti coloro che sono sopravvissuti in mezzo all'alienazione del nostro tempo. In altre parole, finora, il Capitalismo ha diminuito tra gli sfruttati le possibilità di ammalarsi e di morire, allo stesso tempo in cui la morte è stata installata nella vita di ciascuno come una malattia incurabile. Oggi nel Terzo Mondo non si muore per mancanza di cibo, si muore gradualmente a causa del consumo di alimenti chimicamente alterati. Oggi la nostra speranza di vita è superiore a quella di sessant'anni fa, tuttavia la depressione, l'angoscia e lo stress della vita lavorativa la rendono sempre più insopportabile. Quello che lamentiamo oggi, non è l'analfabetismo generalizzato, ma la mancanza di pensiero critico e l'idiotizzazione di massa degli schermi intelligenti. Oggi, il problema non sono i chilometri di distanza se si vuole comunicare con un'altra persona, il problema è che noi comunichiamo sempre meno e sempre peggio. In passato, nessuno aveva bisogno di dover spiegare come germogliava un seme di pomodoro o come si miete il grano, ma al giorno d'oggi il rapporto con la terra è talmente alienato che qualsiasi bambino potrebbe immaginare che pomodori e grano crescono direttamente dal supermercato. Di fronte alla crisi degli alloggi e alla povertà, i nostri nonni organizzavano occupazioni delle terre, costruivano le proprie case e coordinavano cucine comuni, oggi i proletari chiedono prestiti ipotecari, mangiano al fast food e gareggiano col vicino, ovviamente, per vedere chi riesce a pagare tutta una vita lavorando in maniera obbediente e disciplinata.
Se prima si moriva improvvisamente per tifo, colera o tubercolosi , oggi ad essere realmente negativa è la perdita improvvisa di «risorse umane», che deve essere alleviato, e non importa se si muore gradualmente di diabete, di ipertensione, o di cancro, fino a quando continui a comprare medicine che promuovono industria farmaceutica e, ovviamente, continui anche a lavorare. Le relazioni sociali elementari per la vita umana, nel convertirsi in merci, si pauperizzano, si impoveriscono, cosa che constatarono intuitivamente i luddisti inglesi del XIX secolo, poi gli operai industriali del XX secolo, e continuano a farlo oggi i proletari precarizzati del XXI secolo. Nel trasformarsi in merce, la nostra attività perde la sua qualità umana, il suo senso diretto, diventando qualcosa, in beni o servizi, la cui finalità ultima non è la usa realizzazione per la fruizione sociale, ma quella di generare profitti per il capitalista di turno. Il denaro è la misura di tutto ciò che è necessario per vivere, e l'unico modo di avere denaro che hanno i proletari è quello di lavorare, vendendo il loro tempo perché altri possano continuare ad accumulare Capitale a nostre spese. È questa l'unica cosa a non essere cambiata tra il 1871 ed il 2019. [*9] Dappertutto, i ricchi stanno diventando rapidamente sempre più ricchi. Solo nel 2012, i cento miliardari più ricchi del mondo (della Cina, Russia, India, Messico ed Indonesia, così come dei tradizionali centri di ricchezza del Nord America e dell'Europa) hanno aggiunto 240 miliardi di dollari alle loro casse (somma sufficiente, calcola Oxfam [
https://www.oxfam.org ], a mettere fine da un giorno all'altro alla povertà nel mondo). In confronto, nel migliore dei casi, il benessere delle masse ristagna, o più probabilmente si degrada in maniera accelerata, o persino catastrofica). [*10] Al giorno d'oggi, si registrano ogni anno a livello mondiale più di 800.000 persone morte per suicidio (quasi un suicidio ogni 40 secondi). Al combustione di combustibili fossili necessaria a riprodurre questa società, attualmente, aggiunge ogni anno all'atmosfera quasi sei miliardi di tonnellate di CO2. Gli oceani e le foreste eliminano solo la metà di questo CO2. Naturalmente, continua a progredire quella che è la depredazione dei principali polmoni verdi del pianeta, i maggiori depuratori di CO2 che ci sono ancora nel mondo. Mentre il ghiaccio artico sparisce rapidamente, gli scienziati ritengono che l'Artico vivrà la sua prima estate senza ghiaccio già nel 2040. Ciononostante, esiste chi sta già cominciando a commercializzare bottiglie di «acqua pura del ghiaccio artico», anche il riscaldamento globale paga, e abbastanza bene a quanto pare. In estate, le ondate di calore colpiscono le comunità rurali del Terzo mondo, sempre più impoverite dalla mancanza di fertilità della loro terra a causa della siccità, conseguente alla privatizzazione dell'uso dei fiumi e dei laghi vicini da parte di alcune imprese idroelettriche, o a causa delle monocolture in collina che prosciugano gli strati sotterranei. In inverno, le alluvioni distruggono tutto ciò che incontrano sul loro cammino, a causa dell'abbattimento indiscriminato delle foreste, le quali proteggono naturalmente gli insediamenti umani. In America Latina, l'inquinamento ambientale di ogni tipo ha fatto sì che alcuni territori abbiano assunto il nome di «zone sacrificali», in modo che così si possa avere  chiaramente idea di quale sia il percorso della loro predazione, senza che per questo ci sia alcuno scrupolo, né al danno ambientale né al danno umano che provoca, ovviamente a condizione che gli abitanti colpiti siano proletari. In questo scenario, assistiamo a quella che è la diffusa sconfitta morale della nostra classe, sconfitta che non è l'accettazione passiva e consapevole del capitalismo, bensì è la conseguenza di secoli di sanguinosa schiavitù, di tradimento e di alienazione generalizzata. La nevrosi collettiva della quale partecipiamo dal momento in cui competiamo per la nostra sopravvivenza, insieme ad una complessa divisione del lavoro gerarchizzata mediante piccole quote di potere, dotano il sistema di un grande esercito di schiavi assetati di ascesa sociale e di approvazione personale. La nostra classe esprime, come nessun'altra nella storia, le contraddizioni sociali che la costituiscono al suo interno.

Circa le nostre possibilità
Nel momento in cui si fonde quella che è, da una parte, la lotta di un proletariato che ha bisogno di trasformare radicalmente la propria sopravvivenza, mentre la crisi sociale spinge fuori dal mercato masse proletarie sempre più grandi, e, dall'altra, la distruzione del territorio, ecco che allora si apre di certo la possibilità di instituire un nuovo mondo. Come sottolinea Bruno Astarian, quando scoppia la crisi, il proletariato si ribella perché la mancanza di acquisto della sua forza lavoro lo esclude dalle relazioni sociali e da qualsiasi rapporto con la natura. Nel sollevarsi,  i proletari formulano una risposta alla crisi che in sé costituisce la matrice di tutto il possibile, e la quale è l'unico luogo dove può nascere il comunismo. Storicamente, lo sviluppo del capitalismo si è caratterizzato per aver dovuto superare le sue contraddizioni interne, reinventandosi  di fronte alle sue successive crisi di valorizzazione. Questa predisposizione, segna una tendenza storica intrinseca del capitale, in cui esistono periodi  nei quali la riproduzione capitalista si trova a rischio a causa delle contraddizioni interne al suo funzionamento - intendendo l'intensità della lotta di classe come una variabile inseparabile della stessa dinamica del capitale -, presentando, di volta in volta, dei periodi convulsi nei quali il proletariato mette in discussione il progetto capitalista. Ciò spinge il proletariato ad analizzare la crisi storica più come una possibilità che come una catastrofe, dal momento che ciò che pretende è superare il Capitalismo. La crisi del nostro tempo possiede, come tutte quelle precedenti, la particolarità del suo contesto storico, che rende il suo studio un continuo tentativo di attualizzazione e di analisi di quelli sono stati i suoi processi precedenti. Questo, non per giustificare la storia passata e dire: si dovrebbe essere nei loro panni, ma per sapere quello che NON dobbiamo fare, e poter così dire che non ripeteremo i loro stessi errori. Il capitalismo differisce dalle altre società di classe, in quanto non può continuare ad esistere semplicemente appropriandosi della produzione sociale, esso necessita, per il suo metabolismo, di aumentare progressivamente la produzione di profitto, necessita inoltre anche di espandersi, di ampliarsi, o morirà. È per questo che ha avuto inizio in Europa e che oggi è globale, che comincia in alcuni specifici spazi del modo di produzione e finisce poi per invaderlo determinando tutto quanto, esso non coesiste, è totalitario. La sua ambizione espansionistica è la sua caratteristica principale, e la proietta irrimediabilmente sul modo di produzione. La produzione e la riproduzione delle merci non ha alcun senso in sé stessa, se non quello che vengono messe in circolazione solo per generare più denaro, e questo vale tanto per le merci volgari quanto per la forza lavoro. Questa condizione espansiva nella quale la società capitalistica si riproduce, inevitabilmente la spinge verso quella che è la sua stessa contraddizione. Verso la crisi.
Da un lato, la tendenza storica della caduta del saggio di profitto è una disposizione intrinseca alla dinamica del capitale, in cui i guadagni della classe dominante evidenziano una tendenza al ribasso in quello che è il tasso dei profitti, sostanzialmente dovuto alla contrapposizione tra, da una parte, la necessità di espandere infinitamente il capitale e, dall'altra, la finitezza delle sue «risorse» umane e naturali. Nella produzione capitalista, il saggio di profitto è l'elemento propulsore, ed essa può produrre quello che produce solo se può farlo con profitto e nella misura in cui può produrlo con profitto. [*11] La valorizzazione, in quanto forza centrifuga nel modo di produzione capitalistico, si deve continuamente confrontare con la finitezza delle «risorse» naturali ed umane da sfruttare. Per esempio, rispettare quello che è un tempo di riposo medio, è una caratteristica finita della forza lavoro, e pone de limiti biologici. Oppure, dover riorganizzare la produzione in funzione del riscaldamento globale, ecc. Queste due caratteristiche sono dei semplici esempi di quello che è il carattere finito dell'appropriazione capitalista, ma come sappiamo, a causa delle sue necessità di espansione, il Capitale si vede continuamente spinto a sollecitare il confine di ciò che è «sopportabile», sia in termini di materia prima «umana» che «naturale». La ricerca smisurata del beneficio individuale non si auto-regola come credono gli economisti liberali, ma solo quando si trova a scontrarsi con  i suoi limiti si adatta alla situazione. Il capitalismo non è una società «organizzata» in quanto tale, ma è piuttosto l'organizzazione del plusvalore espropriato che si basa sul confronto permanente di interessi privati, il cui motore è la cruda concorrenza di tutti contro tutti. A causa della concorrenza insita nel mercato, per accumulare capitale, il capitalista si vede costretto a ridurre i suoi costi di produzione, e questo lo fa riducendo i salari orari, aumentando così il plusvalore assoluto [*12], oppure investendo in nuovi macchinari, per aumentare il plusvalore relativo [*13], e così il tasso di profitto. Realizzando il primo, il capitalista dovrà sempre scontrarsi con quelli che sono i limiti della necessaria sopravvivenza del proletariato, il quale non può impoverirsi completamente dal momento che esso è la carne trasformatrice del processo di valorizzazione nella produzione. Supponiamo che se l'attacco diretto alla giornata lavorativa non sia possibile, l'evoluzione allora tenderà ad uno sviluppo tecnologico permanente. In tal caso, il tasso di profitto tende a ridursi, giacché, aumentando la composizione organica del capitale - vale a dire con l'investimento in macchinari, in materie prime, in edifici, ecc. (capitale fisso) rispetto ai salari, alla forza lavoro (capitale variabile) - aumenta la massa del prodotto, cioè, si fabbricheranno più unità (aumento della produttività), ma si guadagnerà di meno per ciascuna di tali unità - visto che queste merci contengono meno valore aggregato, cioè lavoro umano, il quale, ricordiamo che è l'unica merce in grado di produrre valore. Allo stesso tempo, le scorte si riempiono di merci che non riescono a completare il loro ciclo di circolazione, e dando così inizio ad una spirale critica d svalutazione commerciale: licenziamenti generalizzati, emigrazioni di massa, fallimento dei piccoli imprenditori, aumento il più possibile di quella che la durata della giornata lavorativa senza alcun aumento dei salari, ecc.

Questa tensione nello sviluppo capitalistico cerca la sua temporanea via d'uscita, principalmente a partire da tre tipi di iniziativa:
  - Grandi rivoluzioni tecnologiche che poi integra per poter aumentare la produttività.
  - L'industria bellica, che provoca la distruzione dei concorrenti e la distruzione di capitale (infrastrutture), e di conseguenza la dinamizzazione economica attraverso l'industria della ricostruzione.
  - La colonizzazione o la scoperta di nuovi mercati interni o esterni da parassitare per poter continuare ad ampliare il capitale, la fuga verso il capitale creditizio, la speculazione generalizzata, la colonizzazione di nuovi territori.
Attualmente, a meno che non venga intrapresa la colonizzazione di nuovi pianeti, la scoperta di nuovi mercati da sfruttare per i mercati interni rappresenta un importante limite per le necessità capitaliste. Come abbiamo visto, la contraddizione tra la necessità intrinseca di realizzare una riproduzione allargata del capitale (Denaro - Merce - Denaro) e la finitezza delle sue materie prime, come conseguenza principale ed immediata, genera l'accesso a nuove tecnologie e la progressiva automatizzazione della produzione. Ciò provoca una sovrapproduzione che, nel loro contenere una minore quantità di lavoro umano, svalorizza le merci . In tale situazione, in prima battuta, il mercato tende ad espellere merci: e lo fa espellendo lavoratori verso il lavoro precario, illegale o lasciandoli direttamente disoccupati. E, alla fine, distrugge le merci eccedenti per riuscire così a rivalorizzare il mercato: si tratta della guerra materiale generalizzata. Qualcuno dirà che questo ciclo potrebbe ripetersi eternamente, ma non è così, e i cicli di crisi non sono mai identici, dal momento che ogni volta si parte da una maggiore produttività, ed anche l'usura della forza lavoro e della natura è maggiore. Un altro aspetto fondamentale di questa crisi risiede nel carattere sempre più sociale della produzione, e nel carattere sempre più privato dell'appropriazione capitalista, in cui tendono a contrarsi, in maniera immanente allo sviluppo del Capitale, le forze produttive al suo interno.
La crisi capitalista non comporta solamente un processo economico oggettivo, nel quale la classe dominante immagina costantemente delle formule per poter continuare a guadagnare denaro alle spalle dei lavoratori, ma essa è una contraddizione vivente tra la produzione umana e l'appropriazione privata; da un lato, per produrre valore, l'appropriazione privata necessita dell'attività umana, mentre, dall'altro lato, spinge quest'attività fuori dalla circolazione. In precedenza, abbiamo visto come il capitalista, prima della caduta del saggio di profitto, ha dovuto contribuire storicamente al perfezionamento dei suoi mezzi di lavoro - con il conseguente aumento della produttività - che gli consente di ridurre il costo della produzione, e mantenere così la quota di profitto. Questa misura è temporanea, poiché a causa della concorrenza, subito quest'incorporazione tecnologica viene socializzata tra i capitalisti, i quali dovranno nuovamente affrontare gli stessi problemi. La contraddizione di questo modo capitalista di produzione, consiste proprio nella sua tendenza allo sviluppo assoluto delle forze produttive, che entra permanentemente in conflitto con le condizioni specifiche di produzione all'interno delle quali si muove il capitale, e che sono le uniche dentro le quali può muoversi. [*14] Il costante sviluppo delle forze produttive spinge involontariamente i capitalisti ad un aumento della produzione e ad una diminuzione del consumo di forza lavoro. e questo dimostra come nel corso della storia del Capitalismo la produzione venga involontariamente socializzata attraverso lo scambio, poiché l'aumento della produttività, il mercato globale, e l'automazione  gettano gradualmente le basi per una forma di produzione interdipendente e connessa. Lo sviluppo delle forze produttive del lavoro sociale è la missione storica e la giustificazione del Capitale. Ed è proprio così facendo che crea inconsapevolmente le condizioni materiali per una forma superiore di produzione. Ciò che mette a disagio Ricardo, è il fatto che il tasso di profitto, incentivo e condizione della produzione capitalista, oltre che come impulso all'accumulazione, viene messo a rischio dallo sviluppo stesso della produzione. [*15]
Mentre a livello mondiale, la dittatura capitalista sottomette la popolazione ad una produzione incessante di merci e di capitale, parallelamente avviene che l'enorme impulso alla produttività, basato ad esempio sulla microelettronica, porti ad una domanda sempre più decrescente di forza lavoro a causa delle innovazioni tecnologiche che automatizzano la produzione. A partire dalla logica del Capitale, questo si traduce in una diminuzione del valore di ciascuna merce, cosa che implica un problema, poiché: la produzione non si ferma al punto in cui si impone un arresto dovuto alla soddisfazione delle necessità, ma continua a seguire gli ordini imposti dalla produzione e dalla realizzazione di profitti. [*16] Per tale motivo, l'aumento della produttività sotto il capitalismo non porterà mai ad un miglioramento delle condizioni di esistenza del proletariato, né ad un aumento del tempo libero, bensì a licenziamenti di massa, all'aumento dei ritmi di lavoro, alla flessibilità lavorativa, alla precarizzazione, alle migrazioni, al deprezzamento della forza lavoro, ad una maggior depredazione dell'ambiente naturale, ecc., in altre parole, a garantire la quota del profitto capitalista a prescindere dalla diminuzione del valore per merce dovuta all'incremento della produttività.

Sebbene l'aumento della produttività, in termini di utilizzo significa che nello stesso tempo è possibile produrre più beni e servizi, c'è da chiarire che finché esiste il modo di produzione capitalistico, tutto questo non si tradurrà mai in un aumento generale del tempo libero, L'essere umano ha scoperto la tecnica cinematografica e numerosi attori si sono trovati allora senza lavoro. Il fil muto ha lasciato il suo posto al film sonoro, ed ecco che migliaia di musicisti si sono trovati senza lavoro. Quanto più facile, e rapidamente, è costruire case, tanti più esseri umani sono costretti a vivere stipati nei loro alloggi. Quanto più grano e caffè viene raccolto, tanto più se ne butta a mare, e ci sono milioni di persone che hanno sempre meno da mangiare. Ecco qual è l'assurdo dell'economia capitalista. Via via che il capitale progredisce, diventa sempre più evidente quella che è la sua vuota tautologia, la sua diffusa incoerenza, e tutto questo diventa una possibilità sempre più ovvia per gli sfruttati, ma allo stesso tempo più scandalosa: la vita salariata nel capitalismo è difettosa. Si produce per generare denaro e non per soddisfare i bisogni umani! La capacità produttiva in grado di sostentare l'intera popolazione non è un «merito» del Capitale - e che comunque non compie alla lettera - me è un presupposto del suo funzionamento, dal momento che il capitale necessita della nostra preservazione, in quanto base materiale. Il plusvalore riflette l'eccedente produzione appropriata ed accumulata  dalla classe capitalista, ma a partire dal fatto che questa è determinata non per il suo consumo, ma per la sua valorizzazione. La prova di ciò sono le crisi di valorizzazione nelle quali il capitale, per poter continuare ad esistere, deve distruggere parte delle merci in circolazione, e queste merci includono la merce umana. La «distruzione creatrice» in quanto fatto essenziale del capitalismo, espressa in questi termini dal capitalista Schumpeter, è un eufemismo che parla da sé solo. Ciò riflette un fatto essenziale, quello per cui la forza lavoro - vero motore della valorizzazione capitalista - sta diventando sempre meno necessaria per lo sviluppo delle forze produttive sociali. Per il Capitale, produciamo valore pur essendo un ostacolo al suo sviluppo. Nel comprendere che la sua «funzione» ha un'importanza quantitativa sempre minore nel processo totale di vita del capitale, il proletariato può oggi diventare immediatamente consapevole dell'inutilità della propria schiavitù salariale e distruggere perciò le catene che lo legano al capitale. [*17] Il capitale, nella sua foga di espandere il tempo di lavoro eccedente, riduce al minimo quello che è il tempo di lavoro necessario, mediante l'utilizzo della tecnica e della conoscenza ai fini della produzione. Questo crea la possibilità di un'appropriazione sociale della produzione che permetta di riappropriarsi del tempo di lavoro eccedente sotto forma di tempo disponibile. Questa non vuole essere né una predizione né feticismo tecnologico, ma piuttosto una tendenza storica, per cui lo sviluppo di questa dinamica in seno al capitalismo può portarci, attraverso percorsi diversi, ad una nuova forma di produzione, che può essere tanto di disastro planetario quanto di superamento rivoluzionario, o tutt'e due insieme. Il produttivismo capitalista mette in evidenza quella che è la nostra miseria in due modi: in maniera vitale, in quanto dimostra l'alienazione sociale della produzione, la quale si riflette sia sulla penuria esistenziale di ciascun individuo che a tale produzione partecipa, ed in maniera naturale, nella misura in cui dimostra l'alienazione nei confronti del nostro ambiente, convertito in risorsa e depredato fino ad incontrare dei limiti irreconciliabili con la vita ed il pianeta. Il capitale, via via che progredisce pregiudica quelle che sono le sue stesse basi individuali, per cui è logico che la finitezza del mondo naturale, a fronte della produzione capitalista, si manifesti sotto forma di crisi ambientale, ed è logico che ci dobbiamo aspettare una catastrofe planetaria la quale ci faccia assumere come necessaria la trasformazione della vita sociale nel pianeta. Questa contraddizione, per il Capitale, non implica che esso possa continuare ad esistere, né intendiamo qui illustrare un meccanismo storico tra i periodi di riflusso e quelli di rivoluzione, bensì informare gentilmente in che modo il proletariato sia parte indissolubile di questa contraddizione e che pertanto la sua azione rivoluzionaria e negatrice per rendere possibile il comunismo è la sola che potrà fornirci un'uscita reale dalla crisi e dalla non-vita nel capitalismo.
Fino a quando continuiamo a riprodurre il ciclo di valorizzazione e, come abbiamo visto, i mezzi di lavoro continuano a specializzarsi, la stragrande maggioranza degli esseri umani non ha altra scelta che quella di vendersi in qualche modo, e di vedersi obbligati in condizioni sempre peggiori. Se a questo aggiungiamo l'evidente limite esistente tra la crisi di valorizzazione e l'alterazione della biosfera a causa del suo continuo sfruttamento, sappiamo che non ci troviamo semplicemente di fronte ad una delle crisi cicliche del capitalismo, ma piuttosto davanti ad una crisi fondamentale che porta immancabilmente la società capitalistica verso il suo limite storico assoluto, cosa che - com'è noto - comporta la distruzione delle basi naturali dell'esistenza, vittime dell'insaziabile appetito della valorizzazione del capitale, che, a sua volta, non significa che il capitalismo «crolla» da un giorno all'altro. Ma si tratta piuttosto di un lungo processo che può durare diversi decenni, con conseguenze catastrofiche per la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, a meno che non si renda possibile rompere con la logica della valorizzazione e con la sua dinamica distruttiva. [*18]
Pertanto, questa contraddizione fondamentale e latente non aprirà da sé sola la strada dell'emancipazione, prima la classe capitalista metterà in atto tutti i sotterfugi esistenti per cercare di mantenere eterni i suoi privilegi, senza curarsi, per ottenere questo, persino della distruzione del pianeta o di gran parte delle sue forze produttiva, se necessario. Il capitalismo non decadrà da sé. In tal senso, il proletariato in lotta deve necessariamente auto-negarsi in quanto classe produttrice di plusvalore; cosa che implica il sorgere di una comunità umana che prenda nelle sue proprie mani la produzione sociale della vita sul pianeta, imponendo come base per la costruzione di un nuovo mondo la soddisfazione dei bisogni umani. Da ciascuno secondo le sue proprie possibilità a ciascuno secondo i suoi bisogni.


Alcune note sulla rivoluzione prossima ventura

Non sappiamo cosa accadrà in futuro, forse l'industria tecnologica - la quale sarà sempre industria del capitale, mentre la produzione continuerà ad essere pensata per gli interessi privati e separati dal tutto comunitario - troverà nuovi modi di superare la crisi planetaria, come le api robot della Monsanto, o la colonizzazione di altri pianeti per poter estrarre materie prime, o ancora la costruzione di città «isole» in quello che è il Primo mondo al fine di preservare la produzione capitalista al costo della catastrofe umanitaria. Persino la crisi ambientale, di per sé, non ci assicura niente, e senza un progetto unitario di trasformazione rivoluzionaria è assai probabile che colpisca solo i diseredati e gli indifesi del sistema, l'immensa massa dei proletari del mondo. Basta vedere il terremoto in Cile del 2010, gli incendi boschivi che hanno raso al suolo intere località, oppure gli alluvioni che logicamente colpiscono le costruzioni più precarie.
Fino ad ora, la crisi del capitale ha prodotto cicli di crisi della valorizzazione che sono state superate per mezzo del processo capitalistico stesso, (grazie alla colonizzazione di nuovi mercati, lo sviluppo tecnologico e, fondamentalmente, l'industria della Guerra e le sue conseguenze) mentre il proletariato in armi andava incontro alla propria sconfitta in quella che avrebbe dovuto essere la sua affermazione politica (sconfitte le proletariato, Primo e Secondo assalto proletario), la quale ha sempre scelto di optare per uno dei due poli di questa contraddizione fondamentale; il lavoro.
Oggi sappiamo che non c'è niente da nazionalizzare, da statalizzare, né niente da autogestire nel capitalismo, poiché il problema non è semplicemente come viene distribuita la produzione e la sua eccedenza, ma anche come essa viene prodotta e per che cosa. Non si tratta di una lotta per il plusvalore, come diceva Trostky, bensì piuttosto di una lotta per la totalità della produzione, senza nessuna deviazione verso la merce. Pertanto, la rivoluzione sarà di carattere sociale, e non meramente politica; non si tratta di prendere il potere di conquistare i mezzi di produzione per distribuire equamente le merci. Si tratta di trasformare radicalmente il modo della merce, secondo il quale produciamo quella che è la nostra esistenza, a partire da come produciamo il nostro cibo per arrivare a come abitiamo i nostri territori. Se la rivoluzione trionfante espropria dei mezzi di sussistenza la classe capitalista, ma tuttavia i lavoratori continuano a dipendere dalla produzione che viene fatta a partire da imprese separate che si scambiano i loro prodotti, allora vorrà dire che il Capitalismo non sarà stato abolito, ma solo che esso si sta auto-organizzando e sta distribuendo in maniera equa il plusvalore, e perciò continueremo a rimanere incatenati al contratto sociale della legge del valore, il quale presuppone la cosificazione della nostra esistenza. La rivoluzione ci consente un'appropriazione diretta dei mezzi di sussistenza disponibili integralmente per la comunità, i quali verranno elargiti sotto forma di prodotti utili, edifici da abitare, cibo e tempo disponibile. L'espropriazione generalizzata di quella che è la totalità del prodotto storico dello sfruttamento del lavoro umano, permetterà di trasformare qualitativamente la vita proprio laddove verranno poste in atto le misure comuniste. Pertanto, il comunismo viene inteso, non nei termini di una nuova distribuzione della medesima classe di ricchezza basata sul tempo di lavoro, ma in quanto basato su una nuova forma di ricchezza misurata in tempo disponibile. Comunismo significa, né più né meno, una nuova relazione con il tempo, ivi inclusa anche una differente forma di tempo. [*19] E in questo senso, nel riappropriarsi del tempo, la produzione e la riproduzione del mondo materiale cessano di essere sfere opposte, insieme a tutte le altre dicotomie del mondo capitalista: soggettività e oggettività, individuo e società, sfera privata e sfera pubblica, e molte altre.
Per poter avvenire, questa rivoluzione presupporrà una ristrutturazione integrale della produzione e della distribuzione dei beni.  In seno alla nuova organizzazione sociale, sia il Come che il Perché della produzione copriranno nuovi significati, e dove prima c'era produzione in funzione de beneficio privato, ora ci sarà la produzione in funzione delle necessità sociali. L'era del produttivismo volgerà al termine. Se la produzione cesserà di essere privata per diventare produzione sociale, ciò coinvolgerà il collasso della razionalità delle merci: il criterio del profitto, il valore di scambio, il plusvalore, il prezzo, la redditività, il tempo di lavoro, la scolarizzazione, ecc., tutta la produzione in quanto attività umana autocosciente verrà coordinata e distribuita liberamente attraverso organismi territoriali comuni coordinati globalmente ed il criterio di misurazione equa del lavoro astratto diverrebbe inutile, dal momento che non c'è niente da retribuire individualmente al di là della totalità della produzione sociale, pertanto i beni di sussistenza di base verrebbero distribuiti liberamente senza che ci sia bisogno che vengano scambiati mediante qualsiasi tipo di mediazione sociale. [*20]

Rivoluzione o Utopia?
Questo Terzo assalto, deve imporre fin dal primo momento, senza alcun indugio e senza mezze misure, il Comunismo e l'Anarchia. Ma le forme comuniste di attività potranno essere un'opzione solo quando verranno messe in pratica a partire da una cosciente volontà umana, decisa a porre un freno al capitalismo, condivisa da una parte importante della popolazione, e basata su quelli che sono i suoi bisogni reali in un dato momento. La rivoluzione non è un ideale che dev'essere raggiunto quando la coscienza o l'egemonia diventa sufficiente. E ancor meno si tratta del fatto di dover scegliere quale ideologia «rivoluzionaria» scegliere. Come abbiamo visto, i motivi per farla finita con questo modo di vivere risiedono nella quotidiana espropriazione sistematica, violenta e storica della nostra vita, del nostro tempo. Di conseguenza, il modo di porsi dei movimenti rivoluzionari dev'essere coerente; scegliere il controllo diretto dei nostri bisogni vitali o continuare a delegare la nostra esistenza alla mediazione delle merci e all'accumulazione privata. L'archetipo utopico, secondo il quale una vita comunitaria sarà possibile solo quando tutti saremo esseri umani integrali, decostruiti e giusti, è del tutto reazionario. Solo quando verranno trasformate le condizioni sociali di produzione, vedremo un cambiamento reale nella nostra coscienza che andrà a beneficio della rivoluzione. Il senso comune che ci viene imposto dal nostro tempo, verrà completamente sconvolto quando verranno modificati i modi di produrre la vita. Prima, dobbiamo impegnare tutti i nostri sforzi per chiarire che cosa non vogliamo, imparare dalla nostra storia e sviluppare la nostra teoria rivoluzionaria senza alcun paraocchi ideologico. L'ideologia è un pensiero morto, cristallizzato, diventato merce. Le sigle e le avanguardie fanno parte del vecchio mondo. Il pensiero collettivo votato alla distruzione del capitalismo è tutto, la comunità umana somiglia ad una vecchia talpa che emerge quando le contraddizioni innescano il superamento del capitalismo nella forma di assalto alla liberazione del tempo e dei bisogni. Per una rivoluzione su base umana. I proletari faranno la rivoluzione per vivere meglio, no per lealtà ad un ideale.

- Agitaciòn Immanente - Pubblicato il 14/10/2019 -

NOTE:

[*1] - Alienazione: parola che designa la frattura dell'autocoscienza della specie, possibile in determinate relazioni sociali. E' interessante notare come questa parola contenga due significati che sebbene appaiano opposti quando vengono visti separatamente, assumono maggior senso quando vengono considerate a partire dal punto di vista della totalità. Da un lato, nella sua attribuzione economica, corrisponde al fatto di «vendere» o «trasferire» un bene. Dall'altro, contiene un'attribuzione medico-psichiatrica che allude ad uno stato di follia in cui il pazienze si trova ad essere estraneo a sé stesso, senza che riconosca né sé stesso né gli altri. Comprendendo entrambi i significati possiamo dire che la sua applicazione alla moderna società capitalistica corrisponde allo stato di incoscienza esistenziale causata dalla mercificazione della natura e della vita. La mancanza di senso storico rispetto alle proprie condizioni di esistenza corrisponde direttamente al fatto che il processo di «vendita» è  fisicamente e psicologicamente straziante, poiché nel separare l'uomo dalla sua comunità e dalla natura, trasformando tutto quanto in merce intercambiabile, si impone come naturale appropriazione del lavoro altrui, qualcosa che prima non era di nessuno, oppure, il che è lo stesso, era di tutti. Generalizzando, l'espropriazione, la follia diventa razionale, e il sacrificio diventa virtù.

[*2] - Questo processo di espropriazione è durato centinaia di anni e lo si può situare in quelle che sono state le prime società di classe (modo di produzione Asiatico e Antico), fino al feudalesimo e alle società di classe precapitalistiche. Sebbene questi processi (appropriazione privata della terra e del lavoro umano) non si verifichino simultaneamente in tutti i luoghi, esiste una correlazione di questi due fattori che, coniugati, consentono le condizioni favorevoli ad un'accumulazione originaria che dà adito al modo di produzione capitalistico.

[*3] - La sola cosa che distingue una formazione economica sociale dalle altre, per esempio, la società della schiavitù dalla società del lavoro salariato, è la forma nel quale questo plus-lavoro viene strappato al produttore diretto, al lavoratore (...). Il tasso di plusvalore è quindi l'espressione esatta del grado di sfruttamento della forza lavoro da parte del capitale, o dell'operaio da parte del capitalista. (Karl Marx, Il Capitale Capitolo VII - La produzione di plusvalore assoluto.)

[*4] - Legge del valore: Il valore di una merce dipende dalla quantità di lavoro direttamente o indirettamente necessario alla sua fabbricazione. Pertanto, il valore della merce forza lavoro viene pagato anche a partire da quanto costa produrlo (mezzi di sussistenza necessari affinché il lavoro realizzi le funzioni lavorative), e non a partire da quello che produce per il capitalista.

[*5] - Karl Marx, Grundrisse: elementi fondamentali per la critica dell'economia politica.

[*6] - Karl Marx, Il Capitale Libro I, sezione quinta, capitolo XIV.

[*7] - Fino a prima della crisi del 1929, il proletariato viene considerato sul mercato solo in quanto forza lavoro. Dopo la grande crisi della valorizzazione del capitale, gli economisti hanno capito che era necessario conferire all'economia un maggior dinamismo, aprendo la strada alla creazione di un nuovo mercato interno; la possibilità di dare ai proletari crediti e accesso alle merci che essi stessi producevano. Un tale impulso ha facilitato lo sviluppo dell'industria pubblicitaria e le telecomunicazioni, che a loro volta hanno sviluppato profondi cambiamenti nelle relazioni sociali, attraverso l'incorporazione di nuove tecnologie nell'industria dello spettacolo, contribuendo così a consolidare un'identità con la merce che spinge il proletario a riconoscersi nel processo della propria alienazione. Assumendo collettivamente ed inconsciamente la propria sottomissione al mondo delle merci.

[*8] - Jacques Camatte, Gianni Colli, "Transition". [ https://libcom.org/library/transition-gianni-collu ]

[*9] - A partire dalla coscienza liberale, ci potrebbero dire: «Bene, comincia a lavorare per un altro se puoi farlo per te stesso». Ma non è questo il problema, non si tratta di autogestire il lavoro, né di «liberarlo», ma si tratta del furto della produzione sociale in generale, niente di quello che possiamo fare in forma individuale potrà restituirci l'espropriazione del nostro essere collettivo. Questa espropriazione include il nostro tempo ed il nostro territorio, e perciò è l'imposizione generalizzata del lavoro astratto, in quanto misura universale di sopravvivenza che ci obbliga a seguire un ciclo infernale di lavoro e valorizzazione.

[*10] - David Harvey, Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo. Feltrinelli.

[*11] - Karl Marx, Il Capitale, Libro III, Capitolo XIII,  Legge della caduta tendenziale del saggio del profitto.

[*12] - Il plusvalore prodotto a partire dall'estensione dell'utilizzo della merce forza lavoro può estrarre plusvalore attraverso il prolungamento dell'orario di lavoro, oppure riducendo i salari.

[*13] - Il plusvalore prodotto a partire dall'incorporazione di nuove tecniche che abbattono i costi di produzione, facendo sì che la forza lavoro produca di più nel medesimo tempo, o produca lo stesso in meno tempo. Autori come Jacques Camatte affermano che attualmente questa differenziazione è insufficiente, dal momento che il metabolismo capitalista ha distrutto tutte le connessioni tecniche e sociali del processo lavorativo, riunificandole sotto forma di processi intellettuali del processo di auto-valorizzazione capitalista. In questo senso, tutto il plusvalore è relativo, poiché la forza lavoro viene ad essere espropriata in tale forma, nella quale viene considerata come parte indissolubile della stessa circolazione del capitale. Si veda in proposito:  Jacques Camatte, Gianni Colli, "Transition". [ https://libcom.org/library/transition-gianni-collu ]

[*14] Karl Marx, Il Capitale, Libro III, Capitolo XV. SVILUPPO DELLE CONTRADDIZIONI INTRINSECHE DELLA LEGGE DELLA CADUTA TENDENZIALE DEL SAGGIO DEL PROFITTO.

[*15] - Ivi.

[*16] - Ivi.

[*17] - Jacques Camatte, Gianni Colli, "Transition". [ https://libcom.org/library/transition-gianni-collu ].

[*18]Norbert Trenkle, "La crisi del lavoro astratto è la crisi del capitalismo" - [ http://www.krisis.org/2007/la-crisis-del-trabajo-abstracto-es-la-crisis-del-capitalismo/ ]

[*19] - End Notes - "Comunizzazione e teoria della forma valore". [ https://endnotes.org.uk/issues/2/it/endnotes-comunizzazione-e-teoria-della-forma-valore ]

[*20] - «Coloro che fabbricano strumenti musicali potranno quindi recarsi in una cantina locale senza doversi preoccupare ottenere qualcosa in cambio, giacché i loro stumenti musicali non saranno loro costati niente, neanche lavoro». (Bruno Astarian, "Comunizzazione come via d'uscita dalla crisi", 2009) [ http://illatocattivo.blogspot.com/2011/12/la-comunizzazione-come-via-duscita.html ]

fonte: Agitaciòn Immanente

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