lunedì 25 novembre 2019

Il pianeta dei tecno-zombi

Una recensione de "La Sostanza del Capitale" di Robert Kurz
- Robert Kurz, La Substance du capital, éditions l’échappée, collection « versus », 288 p., 19 € -

I giorni della «società delle merci» sono davvero contati?
Robert Kurz, nel suo aver messo in discussione il «lavoro», e l'insufficienza sistemica del reddito che tale lavoro assicura a fronte del peso morto del «capitale fittizio» che non produce niente, ne era convinto.
Il filosofo tedesco Robert Kurz (1943-2012) non era venuto al mondo per «far carriera» o per ottenere un «posto al sole» ma per scagliare i suoi sanpietrini - tra i quali, "Il collasso della modernizzazione" (1991) e "Il libro nero del capitalismo" (1999) - contro le vetrine di tutto quello che dovrebbe «fare società».
Ma perché mai - si domandava - gli uomini si sacrificano a delle astrazioni come «il lavoro» o «il denaro»? E questo, soprattutto oggi, in una «società del lavoro» in cui non c'è più né «lavoro» (davvero pagato...) né «denaro» da offrire loro? Non dovremmo piuttosto cominciare a liberarci dal «lavoro», anziché immaginare di dipendere da esso, dal momento che non solo non ci permette più di vivere, ma non riesce nemmeno a dare senso all'esistenza - e arriva perfino d ucciderci?
Per tutta la sua vita, Robert Kurz ha individuato ed ha catalogato quelli che erano e sono i vicoli ciechi, che fanno parte tanto del «pensiero della sinistra» quanto del marxismo tradizionale, e che pretendono di «offrire un'alternativa al sistema economico dominante». A lui, il «lavoro» appariva come un «valore» talmente astratto da non poter essere nemmeno toccato. Ma ha scritto in abbondanza sulla questione - cioè sul processo «capitalistico di distruzione del mondo». Non avendo mai voluto intraprendere una «carriera» universitaria, per poter svolgere la propria attività (la critica dell'economia politica), fino alla sua prematura morte avvenuta a causa di un errore medico, ha scelto di fare l'autista di taxi per 7 anni e, soprattutto, presso una tipografia dove lavorava la notte all'imballaggio delle copie del giornale locale.
Oggi, in Francia, le edizioni L’échappée editano "La sostanza del capitale", pubblicato originariamente sotto forma di un articolo in due parti, apparso nei primi due numeri della rivista Exit! (2004 e 2005). Per il filosofo di Norimberga, il lavoro non è nient'altro che la «sostanza del capitale» - cioè, «il lato astratto del lavoro», senza contenuto alcuno, il quale «dà il suo valore alle merci». Nella prefazione, Anselm Jappe ricorda che: «Il valore assume una forma visibile nel denaro. Il fatto, facilmente osservabile, per cui la produzione non serve essenzialmente a soddisfare i bisogni umani, ma ad aumentare la quantità di valore investito - ciò che crea il profitto - non è affatto dovuto innanzitutto alla "avidità" della classe dominante, bensì alla logica del valore mediata attraverso la concorrenza sui mercati».

Il futuro ha bisogno di noi?
Ai suoi tempi, Karl Marx (1818-1883) annunciava: «il collasso del capitalismo» sotto il peso delle sue incongruenze e delle sue contraddizioni. In seguito, più tardi, il verificarsi di alcune «crisi», crolli, depressioni e guerre avrebbero ulteriormente vanificato l'illusione secondo cui la fine dell'«orrore economico» sarebbe avvenuta semplicemente per il collasso del saggio di profitto: «In linea di principio, gli esseri umani avrebbero potuto emanciparsi, senza dover attendere il collasso del capitalismo». In quanto, alla fine, questo crollo così tanto annunciato «in sé non è affatto un inevitabile presupposto dell'emancipazione». Ma piuttosto può avvenire che il perdurare della tregua possa «costituire un ambiente sociale propizio al pensiero e all'azione emancipatrice, nel caso che la trasformazione emancipatrice impieghi troppo tempo a verificarsi, e dia al capitalismo l'occasione di un pieno sviluppo di quelle che sono le contraddizioni interne».
In altri termini, il «capitalismo» ha raggiunto i suoi «limiti assoluti» e sta scivolando lungo una pendenza discendente che nessun altro artificio o «innovazione» gli potrà permettere di risalire - gli unicorni hanno smesso di fantasticare... E pertanto, dobbiamo «continuare a comportarci come se» sostituire il «capitale fittizio» (il credito) all'«economia reale» possa distribuire del redditi reali in modo da assicurare uno sbocco alla produzione di beni e servizi: possiamo prendere in prestito dei soldi dal nostro futuro? E poi, il futuro ha davvero bisogno di noi?
Nel momento il cui il «capitalismo» non è più in grado di realizzare i suoi «profitti», se non per mezzo di una «simulazione», vale a dire per mezzo della speculazione, ecco che allora «il denaro» diventa solo un «anticipo di profitti futuri che ci si aspetta di realizzare» basati sulla «fiducia» per degli «attori economici» che sono troppo numerosi per potersi reggere senza produrre... Basti dire che il prolungamento artificiale di quella che è una «società del lavoro» senza piena occupazione, e di «consumo» senza un reddito reale, non reggerà al prossimo imminente «evento creditizio»... Si può sempre sognare la «Grand Soir» ma finché la «società umana non avrà preso coscienza della propria natura di "associazione di liberi individui" per poter arrivare ad una riflessione collettiva sulle condizioni e le conseguenze del suo agire sociale e decidere liberamente, consapevolmente, sulla realizzazione della sue possibilità, il sistema di ingranaggi continuerà ad irrigidirsi in quelli che sono degli schemi di azione ciechi, nella matrice di una "seconda natura" che si rende autonoma rispetto agli individui ed appare loro come se fosse una "cosa esterna"...».
Facendo uso di un brillante esercizio di alta fedeltà, che ricorda «La fine della politica», Anselm Jappe chiarisce quale fosse il pensiero di Kurz: «In una società che si basa sul feticismo della merce, il polo politico non ha alcuna autonomia rispetto al polo economico»... Quelli che sono gli individui della nostra disincantata postmodernità, non hanno forze interiorizzato gli obblighi capitalistici fino a trovarli «naturali»?
Se è evidente che la tecno-sfera uccide la biosfera, perché tutto questo clamore eco-allarmistico e questo invocare la «morale» ecologica, pur continuando a perseguire, a marcia forzata, «l'estensione dello spazio-tempo gestionale e l'imposizione della sua logica riduzionista a tutte le aree della vita» e la tecno-zombizzazione della specie?
Perché acconsentire alla trasformazione della biosfera e della «civiltà» in un deserto consegnato ad un'«intelligenza artificiale» che domina un mondo «ridotto alle sue proprietà fisico-chimiche»?
Per Kurz: «l'anti-civilizzazione capitalista rivela di essere affascinata dal pianeta Marte fino al punto di renderlo l'obiettivo privilegiato delle sue spedizioni spaziali». Ciò perché il pianeta rosso «rappresenta quel deserto fisico in cui il lavoro astratto ed il suo spazio-tempo stanno per mutare la Terra». Egli ha vissuto abbastanza per essere arrivato a vedere il proliferare di estensioni di terre e di acque morte, ed ha fatto in tempo a poter scrivere la sua parte di quella che è una narrazione di emancipazione, al di là dell'universale difficoltà a poter continuare ad essere vivo e scegliere di vincere, la propria vita - o meno.

- Pubblicato su les Affiches-Moniteur, 18 octobre 2019 -

fonte: la lettre du phenix. Il s'agit de renaître de ses cendres

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