Muovendo da un'analisi del senso della storia e dell'ambivalenza di cui sono portatrici le azioni umane, Sartre ricerca le origini della violenza e dell'oppressione come momenti strutturali della storia, descrivendo - nel corso di questo studio ontologico, antropologico e fenomenologico - una serie di "figure" della libertà e dell'oppressione che richiamano l'andamento della fenomenologia dello spirito hegeliana. L'analisi, complessa e ricchissima, porta il lettore alle soglie di una "conversione morale", il cui compito sarebbe quello di superare l'inferno delle relazioni interpersonali descritto ne "L'essere e il nulla", la figura della "generosità" rappresenta un nuovo, fragile paradigma di relazione umana e azione storica.
(dal risvolto di copertina di: "Quaderni per una morale", di Jean-Paul Sartre. Mimesis.)
Tentativi di demolire la ragione dei violenti
- di Armando Torno -
Tra le opere che contribuirono significativamente alla diffusione del socialismo scientifico è da ricordare l'Anti-Dühring di Friedrich Engels. Uscì nel 1878. Polemizzava contro le teorie del professore berlinese, economista e filosofo, Karl Eugen Dühring, per il quale anche Nietzsche vergherà una velata critica ne La gaia scienza. Non è il caso di discutere se questo scritto debba molto a Marx, cui il sodale Engels - come ricorda nella prefazione alla seconda edizione del libro - sottopose il manoscritto, giacché le idee esposte erano in buona parte dell'amico; ci limitiamo a notare che i due pensatori non sono più presenti nei discorsi politici come invece accadeva sino a qualche lustro fa. Oggi, la classe politica, o quella così chiamabile, ben si guarda dal citare un passo come il seguente, che si legge nell'opera di Engels: «Ma Dühring non sa che la violenza ha nella società ancora un'altra funzione (quella rivoluzionaria), che essa è "la levatrice della vecchia società gravida di una nuova" ["Capitale" I, 24, 6], che essa è lo strumento con cui si compie il movimento della società, spezzando forme politiche irrigidite e sterili». Se si cercassero ulteriori conferme, basterebbe ricordare una frase di Lenin, sovente utilizzata nelle prefazioni dell'Anti-Dühring o di qualche suo estratto: «Una classe oppressa che non si sforzasse di imparare a servirsi delle armi, meriterebbe semplicemente di essere trattata da schiava».
Non si credano idee isolate. Georges Sorel, teorico del sindacalismo rivoluzionario, meditato da Mussolini oltre che da Lenin, non posizionabile a sinistra, studiò la questione nelle sue "Considerazioni sulla violenza". Il libro uscì nel 1908 e l'anno successivo Benedetto Croce lo fece tradurre da Laterza e ne scrisse la prefazione. Eccone un passo: «Il socialismo deve alla violenza gli alti valori morali con i quali porge la salvezza al mondo moderno».
Certo, nessuno è più d'accordo con simili concezioni e tutti auspicano valori diversi. Ma - c'é sempre un "ma" che impiccia - siamo sicuri che sarà possibile sradicare la violenza dal mondo? Che vivremo in pace e smetteremo di legalizzarla nelle guerre economiche, religiose o militari? Che tra qualche decennio sarà soltanto un ricordo, anche se la popolazione mondiale supererà i dieci miliardi?
Prima di rispondere a tali domande è bene chiedere aiuto a un libro importante di Jean-Paul Sartre, da lui sempre vagheggiato e mai concluso, uscito postumo nel 1983, tradotto in italiano dalle Edizioni Associate e ora riproposto da Mimesis (con introduzione di Florinda Cambria): si intitola Quaderni per una morale. In esso il pensatore francese si chiedeva tra l'altro, attraverso un'analisi complessa e ricca, quali fossero le origini della violenza e dell'oppressione come momenti strutturali della storia. Lui che aveva riflettuto a lungo su Marx ed Engels, Nietzsche e Sorel, non riusciva ad arrendersi. Come molti suoi contemporanei Sartre cercava una strada, una soluzione. Scriveva riassumendo «una morale della violenza che si giustifica da sé» evidenziando questa prima critica: «Il vincitore ha sempre ragione». E più avanti: «Chi la subisce ha sempre iniziato lui. Perciò la natura umana è cattiva». Desiderava svuotare le ragioni della violenza, si chiedeva se la menzogna e l'inganno ne facessero parte; addirittura giunse a domandarsi cosa possano causare "nel" partito.
Qui è il caso di fermarsi. Anche perché il filosofo aveva dinanzi a sé un'altra realtà politica. Le sue osservazioni sono uguali alle nostre, rivelano un disperato ottimismo, ma nascono in un libro che egli non è mai riuscito a terminare.
- Armando Torno - Pubblicato sul Sole del 29/9/2019 -
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