lunedì 11 novembre 2019

La nuvola del collasso automatico

Sintesi didattica de "La Sostanza del Capitale" di Robert Kurz
- di Benoît Bohy-Bunel -

È appena stata pubblicata in Francia, per le éditions de L'échappée, un'importante opera di Robert Kurz (tradotta dal tedesco da Stéphane Besson). Si tratta di un testo complesso, ma che ci fornisce delle chiarificazioni decisive per poter comprendere le problematiche generali poste dalla Wertkritik. Per semplificarne la lettura, proponiamo qui una sintesi didattica del libro.
Queste poche note, non fanno altro che riprendere quelli che sono i punti principale delle argomentazioni di Kurz. La lettura dell'opera rimane indispensabile, se si vuole entrare nella complessità delle sue analisi. Questa sintesi vuole essere solo un invito alla lettura del libro, e perciò non è di per sé sufficiente.

Prima parte: La qualità storico-sociale negativa dell'astrazione «lavoro».

Capitolo 1: Assolutezza e relatività nella storia - Chiarire il concetto di «relatività» storico-sociale
Nel primo capitolo, Kurz attacca le ideologie postmoderne, le quali non definiscono in maniera chiara in che modo si riferiscono alla relatività. Kurz attua una distinzione che non viene posta dai postmoderni: da un lato, egli distingue la relatività di una data formazione sociale che si trova all'interno della storia, e dall'altro quella che è l'assolutezza che alcune forme sociali assumono all'interno di una determinata formazione. Dal momento che i postmoderni non fanno tale distinzione, essi non sono in grado di distinguere tra forme sociali storicamente differenti. Non vedono affatto la specificità della modernità capitalista, e quella delle sue categorie di base.

L'importanza di una critica categoriale del capitalismo
Secondo Kurz, bisogna scorgere subito l'essenza categoriale e la sostanzialità della formazione sociale storica, per poterla semplicemente criticare. Nella formazione capitalista  regna quella che è un'«assolutezza ad uso interno, o quanto meno una pretesa che va in tal senso (...), una pretesa che dev'essere distrutta» (p.28). I postmoderni, poiché non hanno una definizione chiara della relatività e dell'assolutezza, riterranno per questo che qualsiasi critica dell'«essenza», della «sostanza», o della «totalità», sarebbe in sé stessa «essenzialista», «metafisica», perfino «totalitaria». Per tale motivo, si vietano quindi di criticare la radice del dominio capitalista , e confondono così il punto di vista della critica e l'oggetto della critica. Infine, limitano la loro critica a quella delle semplici forme fenomeniche contingenti e frammentarie (ai rapporti di «potere», ecc.), senza per questo riuscire a cogliere l'essenziale logica capitalistica, e senza riuscire a spiegarla con esattezza.
Tematizzare la «sostanza» del capitale fa riferimento alla preoccupazione di proporre una critica categoriale del capitalismo, che vada alla radice del dominio capitalista. Le categorie di base del capitalismo (lavoro astratto, merce, valore, denaro) costituiscono delle forme che hanno la pretesa di essere assolute, nel mentre che allo stesso tempo sono relative alla modernità capitalista. Inoltre, dal momento che esso sono assolutamente distruttive, la loro negazione dev'essere assoluta.
A partire dalla distinzione tra il piano delle categorie ed il piano di quelle che sono le loro espressioni empiriche, ci si potrà anche fare «un'idea delle relazioni che costituiscono l'essenza del capitalismo», e si potranno cogliere le «differenze tra quest'essenza e le configurazioni storiche mutevoli che il capitalismo assume ogni volta» (Moishe Postone, "Time, Work and Social Dominion", p. 12). Dato che non riesce nemmeno a vedere questo piano categoriale, il pensiero postmoderno  confonde spesso quella che è solo una configurazione specifica del capitalismo (il libero mercato, per esempio) con l'essenza stessa del capitalismo.

Capitolo 2: Concetto filosofico di sostanza e metafisica reale del capitalismo - L'emergere, nella modernità, di una sostanza unica e totalizzante
Kurz tenta perciò di specificare questa sostanza sociale moderna. Nelle teorizzazioni pre-moderne, viene privilegiata l'idea di una pluralità di sostanze (tralasciando la sostanza trascendente «Dio»).
Nell'era moderna, la sostanza tende a diventare unica ed omogenea. Già in quelle che sono le scienze naturali moderne, si assiste ad un riduzionismo fatto di fisicità (Newton). Secondo Kurz, tale tendenza esprime l'emergere nel mondo sociale di un'astrazione reale unificata e totalitaria. Pertanto, Kurz afferma che «l'universo-meccanismo ad orologeria newtoniano riflette in realtà una relazione sociale assai specifica che coinvolge tra l'altro un modello di individuo atomizzato ed astratto» (p.35).

Il concetto di «metafisica reale»
Le scienze naturali moderne, così come le teorie sociali apologetiche, non vanno quindi al di là della metafisica, ma recano in sé evidenti basi metafisiche. Solo che questa metafisica non è una mera riflessione filosofica, bensì «una relazione in atto nella realtà sociale, in altre parole è una metafisica reale» (ivi). Certo, le costituzioni sociali pre-moderne, che sviluppavano altre forme di feticismi (teocratici), rappresentavano allo stesso tempo anche una sorta di «metafisica reale» (le relazioni sociali potevano essere regolate a partire da delle idee e rappresentazioni). Ma questa metafisica veniva determinata «a partire dall'aldilà, attraverso la proiezione della sostanza assoluta e trascendente per eccellenza» (p.36): l'essenza divina.
Nella metafisica reale capitalistica, la trascendenza viene abolita: la sostanza feticistica, sotto le sembianze della valorizzazione del valore, è «immediatamente terrestre e sociale» (p.37).
Il valore in senso capitalista è quindi una vera e propria «astrazione reale». Kurz dirà: «Il paradosso dell'astrazione reale consiste nel fatto che un'astrazione, di per sé non incarnata, non fisica, non materiale, una pura cosa di pensiero, una creazione dello spirito socialmente oggettivata a partire dalla sua natura di proiezione feticistica, appare tuttavia come se fosse una reale relazione interpersonale e come cosalità fisica reale» (p.38).
In tale contesto, si può comprendere in che modo alcune correnti filosofiche dominanti, come l'idealismo tedesco, esprimano l'emergere di questa astrazione reale capitalistica. Tali correnti costituiscono delle vere e proprie apologie implicite della forma valore. Scrive Kurz: «Nell'era moderna, in particolare nell'idealismo tedesco, l'idealità trascendente delle forme essenziali sostenuta da Platone appare ora come idealità immanente di quello che è il principio essenziale.» Perciò, dietro la «forma in generale» kantiana, dietro «lo spirito del mondo» hegeliano, dietro la «volontà assoluta», ecc., si troverà la forma valore, qui affermata in maniera apologetica.

Materialismo ed idealismo sostanziali moderni: le due facce di una sola medaglia
Il materialismo sostanziale della fisica meccanicistica, che afferma parimenti l'unità di un principio immanente, non è altro che il doppio, complementare ed indissociabile, di questo idealismo. Esso esprime anche una «forma sociale feticcio paradossalmente secolarizzata» (p.41). Per mezzo di questi due moderni principi sostanziali, idealisti e materialisti, si stabilisce la distinzione tra la forma ed il contenuto. Ma il contenuto (la natura ridotta a puro meccanismo) è esso stesso modellato dalla forma (l'astrazione reale). Scrive Kurz: «Ironia della sorte, il materialismo reale del lavoro e della scienza capitalistica della natura, anziché essere l'opposto dell'idealismo reale della forma valore, si rivela, puramente e semplicemente, come la sua manifestazione pratica» (p.43). È questo il motivo per cui Kurz può criticare il «materialismo» del marxismo tradizionale, che rappresenta il «riflesso affermativo di uno degli aspetti della relazione di valore, vale a dire, il materialismo sostanziale della riduzione alla pura fisicalità». (ivi).

Capitolo 3: Il lavoro astratto nella critica marxiana dell'economia politica: una concezione negativa della sostanza - Il marxismo tradizionale omette la critica marxiana del lavoro astratto
Il marxismo tradizionale ha definito il lavoro come qualcosa di ontologico ed insuperabile. Non si è mai preoccupato del problema, presente nel 1° capito del Capitale, della denaturalizzazione delle categorie di base del capitalismo. Di conseguenza, è potuto arrivare perfino a proporre un'«economia politica del capitalismo», anche se Marx ha formulato innanzitutto una critica dell'economia politica (Marx non è in alcun modo un «economista»).
Marx, nel 1° capitolo del Capitale, propone un concetto di «lavoro astratto» che è essenzialmente negativo, ed è specifico della modernità capitalista. Il lavoro astratto consiste in una riduzione ad un lavoro indifferenziato, nel quale non viene tenuto affatto conto del contenuto concreto, e diversificato, di quelle che sono le diverse attività. Tale lavoro astratto è la sostanza del valore, e regola la sintesi sociale capitalistica. In questo contesto, è assurdo affermare in maniera positiva la realtà del lavoro, come se si trattasse di una realtà trans-storica, che si tratterebbe solo di realizzare. Il lavoro astratto è una sostanza negativa e distruttrice, storicamente determinata. Il marxismo tradizionale non si è reso conto di tale dimensione negativa e storicamente determinata della sostanza del lavoro, ed è questo il motivo per cui non propone una critica del lavoro, bensì una critica che viene svolta dal punto di vista del lavoro.

L'aporia marxiana a proposito del lavoro
Tuttavia, per quanto riguarda il lavoro, in Marx esiste un'aporia. Nello stesso tempo in cui propone una critica radicale della moderna astrazione reale del lavoro astratto, parallelamente, Marx rimane legato all'ontologia del lavoro derivante dall'Illuminismo e dal protestantesimo. Oscilla perciò tra una concezione negativa e storicamente specifica del lavoro (astratto), ed una concezione trans-storica del lavoro «umano», la quale confonde quest'ultimo con quello che è un puro e semplice « metabolismo dell'uomo con la natura». Quest'aporia, viene formulata apertamente in un passaggio dei Grundrisse: «Il lavoro si presenta come una categoria del tutto semplice. Anche la sua rappresentazione in questa universalità - come lavoro in generale - è assai antica. Tuttavia, concepito dal punto di vista economico, in questa semplicità, "lavoro" è, appunto, una categoria moderna, così come lo sono i rapporti, che generano questa semplice astrazione. (...) La più semplice astrazione, dunque, che l’economia moderna porta all’apice -ma che, contemporaneamente, esprime un rapporto assai antico e valido per tutte le forme sociali - si presenta, solo in questa astrazione, come praticamente vero in quanto categoria della più moderna società.» (Grundrisse, Capitolo 3°).

Superare l'aporia marxiana. Pensare con Marx, oltre Marx
Secondo Kurz, si può arrivare ad un superamento di questa aporia solo definendo il lavoro come astrazione reale specificamente moderna, ed abbandonando l'ontologia positiva del lavoro. È solo nel capitalismo che il lavoro (astratto) diviene un'universalità sociale che avvolge e racchiude «l'attività in generale». Nelle società pre-moderne, il termine «lavoro» copriva un settore di attività assai ristretto. Utilizzare il termine di lavoro per designare l'attività produttiva nelle società pre-moderne evidenzia di certo quello che è un errore di traduzione, ma tradisce anche una retroproiezione anacronistica.
Inoltre, il dualismo marxiano lavoro astratto/lavoro concreto, secondo Kurz, rispecchia già questa aporia marxiana. Il lavoro astratto è una sorta di pleonasmo logico, poiché il concetto di lavoro  è già i sé un'astrazione. Il «lavoro concreto» sarebbe perciò una contraddizione in termini. Ma questa tensione riflette il fatto che il capitale riduce ad un'astrazione ciò che in sé è concreto. Il concreto non è altro che l'espressione dell'universale astratto-reale.
L'aporia marxiana si esprime anche quando Marx ontologizza il valore d'uso. Secondo Kurz, il valore d'uso non è una categoria trans-storica, ma è già un'astrazione, che rimanda all'astrazione del valore. Il valore d'uso è solamente «il modo materiale specifico in cui il "lavoro astratto" si accaparra la "materia" naturale o sociale» (p.52). Kornelia Hafner , nel suo articolo "Il feticismo de valore d'uso", chiarisce la necessità di denaturalizzare il valore d'uso. Quindi, per Kurz, si può continuare ad utilizzare questi dualismi e questi concetti marxiani, ma comprendendoli in maniera diversa da Marx. Dal momento che lo stesso Marx si muove all'interno di un'aporia che non è stato in grado di superare. Pensare con Marx, e oltre Marx: è questo il programma della Wertkritik.

Riabilitare la definizione marxiana di contenuto della sostanza del valore
Inoltre, in questo capitolo, Kurz tenta di riabilitare la definizione marxiana del contenuto della sostanza del valore. Bisogna che la sostanza del valore (lavoro astratto) abbia un contenuto, dal momento che se fosse pura forma, non potrebbe essere quantificata: occorre che la grandezza del valore rimandi alla quantità di qualcosa, di qualcosa che possegga un contenuto, senza che divenga assurda quella che è anche solo l'idea di una quantità di valore. Inoltre, definire il contenuto della sostanza del valore ci consente di definire le crisi da un punto di vista categoriale, descrivendo quello che è un processo di desustanzializzazione del valore (nell'arco dell'aumento della composizione organica del capitale).
Come definire quello che è il contenuto della sostanza del valore? Marx dice che il lavoro astratto fa riferimento ad una puro dispendio fisiologico «di materia cerebrale, di muscoli, di nervi». I neomarxisti del valore (e perfino lo stesso Postone) ritengono che questa dimensione della teoria marxiana non sia soddisfacente, poiché consisterebbe nell'ottenere una definizione trans-storica e naturalistica del valore. Ma Kurz si oppone a questi neomarxisti: il dispendio energetico indifferenziato, che definisce il contenuto della sostanza del valore, in realtà, non è affatto qualcosa di trans-storico e di naturale, ma rimanda ad un processo di valorizzazione assai determinato storicamente. Ridurre l'attività produttiva umana ad un dispendio energetico indifferenziato non è per niente specifico di tutte quante le società «in generale», ma, al contrario, esprime il modo in cui il valore si valorizza nella modernità capitalista.

Capitolo 4: Il concetto positivo di lavoro astratto nell'ontologia marxista del lavoro - La critica di Isaac Roubine
Kurz parte dalla critica a Roubine, un teorico che ha affrontato la teoria marxiana del valore. Roubine riconosce che il lavoro astratto è specificamente capitalista, però sostiene che il «lavoro socialmente equalizzato»  rimarrà una necessità in una società socialista, per poter «realizzare un piano sociale in qualche modo esteso» (p.59). Semplicemente, secondo Roubine, il processo di astrazione, nel socialismo, sarebbe secondario. Ma Roubine, in fondo, non rivendica l'abolizione dell'astrazione del lavoro. Roubine vorrebbe stabilire, sostanzialmente, una compatibilità delle prestazioni di ciascuno, in modo da costituire, nel «socialismo», un sistema regolato di distribuzione. Ragion per cui, rimane intrappolato in dei concetti astratti di «performance» e di «guadagno di tempo», concetti oltretutto capitalisti. Egli ontologizza quelle che sono delle caratteristiche capitaliste e le proietta nel «socialismo» (che di fatto rimane un capitalismo che ignora di esserlo). Secondo Kurz, nel testo di Marx esiste già un tensione allorché distingue il socialismo (in cui la performance astratta gioca un certo ruolo) dal comunismo. Anche in questo caso, il marxismo tradizionale esprime la sua incapacità di superare l'aporia marxiana; non riesce a vedere il programma marxiano di denaturalizzazione delle categorie dell'economia borghese.

La critica del circolazionismo
Procedendo, Kurz critica quella che è una forma di circolazionismo del marxismo tradizionale. Assai spesso il marxismo tradizionale prende in considerazione e si riferisce ad un'astrazione reale a posteriori, la quale a suo avviso verrebbe realizzata sul mercato, e non fa alcun riferimento ad un'astrazione reale a priori che avviene già nella produzione. In questo senso, il marxismo tradizionale si accontenterebbe di criticare quella che è una modalità di distribuzione del valore, l'aspetto giuridico della proprietà privata, il mercato, ma non critica le specificità della produzione capitalista. Per i marxisti tradizionali, è il modo di circolazione a definire il capitalismo, laddove invece la produzione verrebbe pensata come una base trans-storica ed ontologica, e non criticabile in quanto tale. L'idea secondo cui il proletariato potrebbe «appropriarsi» delle forze produttive così come sono fa parte di questa mistica marxista tradizionale che ontologizza il lavoro.
Secondo tale ideologia, il lavoro concreto (pensato come lavoro trans-storico) definirebbe la produzione, laddove invece il lavoro astratto non sarebbe altro che il lavoro rappresentato nel momento in cui, nella circolazione, la merce viene venduta su un mercato. Per Kurz, a questo punto, abbiamo qui una contraddizione, poiché il dualismo lavoro astratto/lavoro concreto agisce già a priori, nella produzione.
Alfred Sohn-Rethel, anch'egli, a partire dal fatto che rimane focalizzato sull'«astrazione-scambio», sviluppa un circolazionismo tronco. Secondo lui, l'astrazione reale non configura la produzione, ma è nella circolazione che il valore viene semplicemente validato. In tale contesto, «l'emancipazione» rientrerebbe in una pianificazione esterna, la quale non mette affatto in discussione i fondamenti della produzione capitalistica.

La critica a Georg Lukacs
Questo marxismo tradizionale fa perciò riferimento alla rigorosa ontologizzazione di categorie che sono tuttavia specificamente capitaliste. Lukacs, nel suo "Ontologia dell'essere sociale" (1973), aveva già elaborato tale ontologizzazione. Con Lukacs, il lavoro sarebbe ciò che distingue l'uomo dall'animale. Si arriva a pensare la sostanza del lavoro, ma come sostanza positiva e trans-storica. Logicamente, questa ontologizzazione del lavoro implica l'ontoligizzazione del valore. Per Lukacs, semplicemente, ad essere un problema è solo il modo di distribuzione capitalista. Ontologizzando il modo di produzione capitalistico, ci viene impedito di pensare effettivamente il superamento del capitalismo.

Capitolo 5: Elementi per una critica al concetto postoniano di lavoro - Moishe Postone non supera l'aporia marxiana riguardo il lavoro
Postone, con il suo "Tempo, lavoro e dominio sociale", ha l'immenso merito di pensare la specificità storica del lavoro astratto. Sostiene che il lavoro astratto è specificamente capitalista, in quanto è una mediazione sociale indissociabile dal processo di valorizzazione delle merci. Ma Postone non cerca di superare quella che è l'aporia marxiana che riguarda il lavoro. Malgrado il suo tentativo di denaturalizzare la categoria del lavoro astratto, egli continua, puntualmente, a riferirsi al concetto di un «lavoro» che sarebbe trans-storico.

I limiti relativi alla tendenza postoniana a pensare un Marx del tutto «coerente»
Ad esempio, Postone evoca la preoccupazione marxiana per una «economia del tempo», la quale esisterebbe in una società «socialista». Postone vuole distinguere una tale quantificazione «socialista» del tempo dalla quantificazione in atto a partire dal principio del lavoro astratto. Tuttavia, in Marx, una simile distinzione non esiste (per l'esattezza, è proprio a partire da questo che Marx sviluppa qui l'aporia che egli stesso non ha mai superato). Nel voler pensare «l'unità» e la «coerenza» di Marx, e non riuscendo a vedere la tensione esistente in Marx a proposito del concetto di lavoro, a volte, Postone alla fine riproduce egli stesso una qualche confusione, nonostante la sua preoccupazione nel voler specificare storicamente il lavoro astratto.

Capitolo 6: Lavoro astratto e valore come a priori sociale - Le questioni pratiche relative ad una critica della produzione in quanto tale
Secondo Kurz, il valore ed il lavoro astratto sono dei concetti relativi alla produzione. Il marxismo tradizionale che assegna il valore alla circolazione, ontologizza la sfera della produzione, e alla fine critica solo quelli che sono i rapporti politico-giuridici della distribuzione. In una simile contesto marxista tradizionale, diventa impossibile, per esempio, vedere il carattere ecologicamente distruttivo del sistema di produzione capitalista. Per un marxismo tradizionale che propugna una forma di «riappropriazione», si tratterebbe solo di «riappropriarsi» delle forze produttive che sono state sviluppate nel capitalismo, abolendo semplicemente la proprietà privata. Un tale sistema «socialista» non sarebbe meno distruttivo ecologicamente.
Pensare il lavoro astratto come se fosse un a priori sociale, che risiede nella produzione, non rimanda solamente ad un puro dibattito teorico scevro da questioni pratiche.  A livello pratico e critico, una questione del genere tocca dei problemi urgenti, quali il problema ecologico, il produttivismo distruttore, ecc.

La critica a Michael Heinrich
Kurz critica Heinrich; gli rimprovera di definire la teoria marxiana del valore come se fosse una teoria della circolazione (e non della produzione). Secondo Heinrich, è attraverso lo scambio che si attuerebbe l'astrazione che presuppone il lavoro astratto. Per Heinrich, il lavoro astratto sarebbe un «rapporto di validazione sociale» che esiste solo nello scambio (Heinrich, 2004, p. 48). Per Kurz, la colpa di Heinrich è quella di non distinguere tra valore e valore di scambio. Il valore di scambio è una forma fenomenica che si esprime effettivamente nello scambio. Ma il valore è una forma essenziale del capitale, la quale è di già relativa alla produzione. Il valore di scambio smaschera, nello scambio, il valore vero e proprio, in quanto categoria essenziale della produzione. Kurz rimprovera ad Heinrich di non cogliere le distinzioni marxiane valore/valore di scambio ed essenza/fenomeno.
Ancora prima dello scambio, le merci, in quanto oggettività del valore, sono già una «mera gelatina di lavoro indifferenziato». È Marx stesso a dire: «quello che hanno in comune, e che appare nel rapporto di scambio o nel valore di scambio della merce, è il valore.» Il valore emerge nella produzione (come «oggettività spettrale»), e viene esposta in maniera fenomenica nello scambio. È in questo senso che il valore (e la sostanza del valore, il lavoro astratto) costituisce allora un a priori sociale, La critica radicale del valore e del lavoro astratto non è una mera critica della circolazione, ma sarà innanzitutto una critica di quelle che sono le radici essenziali della produzione.
Perciò, Kurz non intende riabilitare una «teoria pre-monetaria del valore» (alla maniera di Backhaus). Nella produzione di merci, si presuppone già il denaro, come forma del capitale. Le analisi del Primo Capitolo del Capitale, vanno comprese in quanto derivazioni logiche, e non storiche. Bisogna anche pensare quello che è l'intricata correlazione della circolazione con la produzione. Ma ciò non ci deve impedire di pensare alla specificità della produzione capitalista di valore, ed al lavoro astratto in quanto a priori sociale.

Capitolo 7: Cosa avviene di astratto-reale a livello di lavoro astratto? - Domanda chiave: in che modo la logica della valorizzazione astratta influisce sull'organizzazione concreta della produzione?
La funzione del processo di produzione, in quanto processo di formazione del valore, ha qualcosa di astratto. Il lavoro concreto, come «trasformazione sensibile e tangibile della materia» (p.117), è l'espressione di qualcos'altro (il valore). Nel processo di produzione, il lavoro vale solo in quanto dispendio di forza lavoro astratta in generale. Questo punto di vista influenza (e domina) l'organizzazione della produzione.
Kurz pone una semplice domanda: in che cosa consistono le mediazioni pratiche che consentono di decifrare il lavoro concreto come una semplice forma fenomenica del lavoro astratto?

La logica territoriale del valore
All'inizio, a livello territoriale, l'astrazione del valore si realizza secondo il principio di un'«economia slegata»: il luogo della produzione è uno spazio a parte, funzionale e staccato dal processo esistenziale.
I momenti dissociati da questo spazio slegato dalla produzione di valore vengono connotati come «femminili». In questo senso, la logica territoriale del valore è indissociabile da una dissociazione sessuale-patriarcale. Il lavoro astratto è strutturalmente maschile. Le disparità retributive di genere, il non riconoscimento delle donne nella sfera produttiva, sono «espressione della relazione di dissociazione vista come caratteristica essenziale del lavoro astratto in sé e del suo spazio funzionale della gestione imprenditoriale» (p.122).

La logica temporale del valore
Allo spazio funzionale e slegato dell'impresa, corrisponde un tempo slegato e reso astratto, un tempo funzionale specifico del lavoro astratto. Questo tempo è illimitato e indeterminato. È omogeneo, assoluto, ed è quantificabile in ore, minuti, secondi, ecc. Esso non dipende da eventi qualitativi (cicli naturali, periodi dell'umanità). È una «variabile indipendente» (cfr. Postone). Lo spazio slegato ed il tempo astratto formano uno «spazio-tempo specificamente sociale, un continuum spazio-temporale situato ad anni luce da qualsiasi bisogno umano e da ogni vita sociale» (p.134). La forma giuridica della proprietà privata viene derivata in relazione alla logica spazio-temporale del lavoro astratto.
Questa forma spazio-temporale del valore è un a priori sociale, e la forma giuridica della proprietà privata ne deriva solo in relazione ad esso. La  semplice ridiscussione della proprietà privata (senza ridiscutere le caratteristiche essenziali della produzione capitalista) non modificherebbe in alcun modo tale carattere spazio-temporale distruttivo, e non abolirebbe affatto il principio della dissociazione-valore, basato su una forma soggetto stabilita (soggetto maschio-occidentale-bianco).
La proprietà privata dei mezzi di produzione è «la forma giuridica propria al sistema del lavoro astratto e al suo specifico spazio-tempo astratto» (p.135). Non può essere rimessa radicalmente in discussione senza che sia rimessa radicalmente in discussione la categoria del lavoro astratto.

Un triplice processo di astrazione reale e pratica
Kurz identifica un «triplice processo di astrazione reale e pratica», che si svolge nello spazio-tempo astratto dell'impresa: I soggetti devono astrarre dalla propria persona, poiché lo scopo della loro attività (valorizzazione) è «estranea» a loro; non possono influire sul contenuto della produzione, né possono far valere quelli che sono i loro desideri o bisogni concreti. I soggetti devono astrarsi gli uni dagli altri. La cooperazione è una norma che viene imposta per mezzo di criteri gestionali che sono a loro esterni. La relazione con l'altro è negativa, e ogni soggetto produttore  è una monade in concorrenza con gli altri. I produttori devono voltare le spalle alla «materia» della loro attività. Non si identificano con gli oggetti che fabbricano. Il valore d'uso non è altro che una mera determinazione formale di quella che è l'oggettività del valore. Questo capovolgimento è dovuto anche al carattere specifico della merce forza lavoro. Il valore d'uso specifico di questa merce consiste nel suo esse «fonte di valore, e di plusvalore che in sé non possiede» (Marx, Il Capitale I).

Il contenuto oggettivo della produzione viene modellato dalla logica astratta della valorizzazione
Del resto, il «che cosa»della produzione, il suo contenuto oggettivo, viene modellato dalla logica astratta della valorizzazione. Nessuna autorità sociale decide «consapevolmente del contenuto concreto della produzione seguendo dei criteri di adeguatezza ai bisogni». «L'a priori del lavoro astratto e del valore determina perfino le strutture del bisogno sociale» (p.142). Gli imperativi della redditività e della solvibilità condizionano l'accumulazione di «beni» distruttivi, velenosi, ecc.
Kurz sintetizza tale idea nel modo seguente: «Il sistema del lavoro astratto inverte, né più né meno, quello che è il rapporto tra bisogno e produzione: non sono più i bisogni , per loro conto, a generare la produzione, ma è il fine in sé di una produzione slegata a generare dei bisogni sempre più negativi, i quali costituiscono un semplice mezzo per la produzione» (p.143).

Il riduzionismo della fisicità astratta-reale
Alla fine, la prassi dell'impresa realizza i principi astratti di un riduzionismo della fisicità. Il sociale è biologico, ed i processi biologici vengono essi stessi ridotti a chimici e fisici. «Gli esseri umani vengono trattati come degli animali e delle piante, ma gli animali e le piante vengono trattati come se fossero delle pietre o del metallo» (p.145). Nella prassi gestionale, il «materiale umano» viene ridotto ad una «oggettività morta». Questo riduzionismo della fisicità astratta-reale ha anche delle disastrose conseguenze ecologiche, ed implica la distruzione della biosfera del pianeta.

Capitolo 8: Il tempo storico-concreto del capitalismo - La duplice natura del tempo nel capitalismo, e la sua dialettica
Il tempo astratto del valore, omogeneo ed ana-storico, va pensato in relazione al tempo storico-concreto che viene modellato da questa logica astratta, e che consiste di «sviluppi» e di «crisi». La duplice natura del tempo nel capitalismo (tempo astratto del valore e tempo storico-concreto) si lega alla duplice natura della merce, la quale è simultaneamente sia oggettività del valore che materia sensibile. Il tempo astratto rappresenta la logica temporale della valorizzazione astratta. Il tempo storico-concreto rappresenta la logica temporale della materialità mobilitata dal processo di valorizzazione, e pertanto dallo sviluppo sociale correlato. Nel mentre che il lavoro astratto è indifferente alla materia concreta che esso mobilita, allo stesso tempo il processo di valorizzazione mette in moto uno specifico sviluppo materiale-concreto. Questa dialettica definisce le relazioni tra tempo astratto e tempo storico-concreto nel capitalismo. Queste due forme temporali  sono allo stesso tempo sia opposte che intrecciate in maniera inestricabile.

Pensare l'emancipazione
Paradossalmente, il tempo astratto dell'impresa slegata è il tempo che sembra essere vissuto soggettivamente dai soggetti produttori, laddove il tempo storico-concreto capitalista, modellato dal fine irrazionale del «soggetto automatico», sembra diventare un vincolo oggettivo al quale gli individui sarebbero sottomessi. Secondo Kurz, l'emancipazione presuppone «la conquista del controllo collettivo sul tempo storico-concreto, proprio al fine di abolire consapevolmente lo spazio-tempo slegato della gestione imprenditoriale, e quindi superare insieme ad essa la logica della valorizzazione del valore» (p.154).

Pensare la crisi
Il tempo storico-concreto non è soltanto una traiettoria di «sviluppo». Esso è anche una traiettoria di crisi. Secondo Kurz, l'irreversibilità del processo storico porta alla luce e rivela quello che è un limite storico assoluto. Di questo si parla nella seconda parte del libro.

Seconda Parte: Il fallimento della teoria marxista delle crisi basata su una concezione ontologica del lavoro. Le barriere ideologiche impediscono l'ulteriore sviluppo di una critica radicale del capitalismo.

Capitolo 9: La «teoria del collasso» come termine che fa arrabbiare e come falso concetto nella storia della teoria marxista - La relazione tra critica del lavoro astratto e teoria della crisi
La critica radicale del lavoro astratto è condizione essenziale per una teoria della crisi. Il processo di valorizzazione capitalista (attraverso l'aumento della composizione organica del capitale) rende superfluo il lavoro e lo respinge fuori da sé: a partire da questo, di conseguenza, il capitale di «de-sostanzializza», il valore viene svalorizzato, istituendo così un «limite interno assoluto»  che non interviene solo a livello logico, ma anche a livello di tempo storico-concreto.
La teoria kurziana delle crisi capitalistiche verrà ulteriormente sviluppata in "Vies et mort du capitalisme" (Lignes, 2011). Si potrà fare riferimento anche al testo di Trenkle e Lohoff, "La grande dévalorisation" (Post-éditions, 2014), per poter comprendere logicamente ed empiricamente il fenomeno della «svalorizzazione», anche se la posizione di Kurz e quella di Trenkle/Lohohh divergono su alcuni punti.

L'assenza di una teoria del collasso nel movimento operaio
Prima del 1900, nel movimento operaio non emerge alcuna teoria del crollo. Più generalmente, una teoria sostanziale delle crisi non può emergere nel movimento operaio, o nel marxismo tradizionale, poiché per il marxismo tradizionale il lavoro non è la sostanza del capitale, ma è bensì un «trampolino ontologico per l'emancipazione» (p.166).

Capitolo 10: Una teoria tronca del crollo come posizione marxista minoritaria al tempo della prima guerra mondiale: Rosa Luxemburg
Per Rosa Luxemburg, la concezione di un limite interno al modo di produzione capitalistico si riferisce solo al modo di circolazione capitalistica. A porre il problema, per Luxemburg, non è la produzione di plusvalore, ma è piuttosto la realizzazione del plusvalore (nella vendita delle merci), a causa di quelli che sono i «rapporti di distribuzione antagonisti» (Luxemburg, 1913). La contraddizione si situa tra, da una parte, la produzione illimitata di plusvalore e, dall'altra, una capacità limitata di realizzazione nella circolazione. La produzione di plusvalore, in quanto tale, non viene messa in discussione.
Secondo Luxemburg, per evitare questa crisi di realizzazione, il capitalismo cerca di estendersi sempre più (colonizzazione, apertura di nuovi mercati, esportazione di capitale, estensione del capitalismo a spese delle società non-capitaliste). Ma alla fine di questo processo imperialista, il capitalismo dovrà comunque affrontare necessariamente un collasso.
La teoria luxemburghiana della crisi venne respinta da un buon numero di marxisti «ufficiali». Questa teoria ha avuto il merito di pensare un limite interno al modo di produzione capitalistico, ma rimane circolazionista, e non affronta il problema di una «de-sustanzializzazione» del valore.

Capitolo 11: Una teoria tronca del crollo come posizione marxista minoritaria al tempo della seconda guerra mondiale: Henryk Grossmann
Alla stregua degli altri marxisti tradizionali, Grossmann sviluppa un'ontologia del lavoro. Di conseguenza, egli non è in grado di sviluppare una critica categoriale delle crisi, basata sul concetto di una «de-sustanzializzazione» del valore. Tuttavia, Grossmann tenta di sviluppare una teoria originale del crollo (1929). Egli insiste sulla correlazione tra l'aumento della composizione organica del capitale e la caduta del saggio di profitto. Ma per lui, il capitale variabile (il lavoro vivente) può continuare a crescere indefinitamente, perfino se la sua proporzione in rapporto al capitale fisico diminuisce. La crisi di Grossmann sarebbe relativa a dei semplici rapporti di grandezza in seno alla sostanza del valore, ma non relazionabili a quella sostanza in quanto tale, che egli non mette mai in discussione.
Grossmann scompone il plusvalore in K (consumi dei capitalisti) ed in A (fondi di accumulazione). Per Grossmann, l'aumento della composizione organica del capitale  non comporta la scomparsa progressiva della sostanza, ma solamente un problema a livello di grandezza di K (consumo dei capitalisti). Dopo un tot numero di anni, K comincerà a decrescere, inghiottito da quella parte di plusvalore da capitalizzare. Dal punto di vista dei capitalisti, l'accumulazione sarebbe perciò pura perdita. Braunthal si è fatto beffe di questa tesi di Grossmann, che ci vorrebbe far credere in una «pauperizzazione dei capitalisti». Grossmann inverte cause ed effetti, non vede la «de-sustanzializzazione», dal momento che si muove fondamentalmente sul terreno della ontologia marxista tradizionale del lavoro.

Capitolo 12: Dalla demonizzazione di Grossmann all'estinzione del dibattito marxista sulla crisi e sul crollo
Nonostante Grossmann scrivesse nel 1929, egli venne ampiamente screditato dai marxisti dominanti. La barbarie nazionalsocialista pose fine al dibattito. L'epoca successiva alla seconda guerra mondiale paralizzò in maniera considerevole la riflessione marxista. Il marxismo degli anni '70 evitò di sfidare l'ontologia del lavoro, e così mancò nuovamente la questione della «de-sustanzializzazione». Per dirla in poche parole, la «critica sociale» in epoca «neoliberista» ricorda l'integrazione del marxismo degli anni '70 nell'ordine del discorso keynesiano. Alla Nuova Sinistra, sotto il regno del «paradigma neoliberista», non rimane altro da fare che manifestare tutta la sua nostalgia keynesiana. In un simile contesto, indubbiamente, una critica categoriale del capitalismo e delle sue crisi rimane globalmente incomprensibile.

Capitolo 13: Soggetto ed Oggetto nella teoria delle crisi: la dissoluzione illusoria del problema nel contesto dei meri rapporti di forza e di volontà
Otto Bauer, nella sua polemica contro la teoria luxemburghiana del crollo, insisteva sul fatto che a rovesciare il capitalismo sarebbe stata «la crescente indignazione della classe operaia». Per alcuni marxisti operaisti, l'idea di un collasso oggettivo del capitalismo poteva sembrare inaccettabile, dal momento che questo poteva deprivare il proletariato della sua «vocazione» rivoluzionaria. Tuttavia, la Luxemburg rispondeva che il crollo oggettivo del capitalismo era solamente una «finzione teorica»: la Luxemburg voleva semplicemente identificare quella che era una tendenza dell'evoluzione del capitalismo, ma riteneva che tale tendenza non sarebbe arrivata alla fine dovuta al crollo; poiché per la Luxemburg, «il proletariato interviene in quanto elemento attivo nel gioco cieco delle forze» (Luxemburg, "Critica delle critiche", p.221. 1915). Secondo Kurz, a causa di questi modi di pensare quelle che sono le relazioni tra crisi e rivoluzione, «il rapporto tra soggetto ed oggetto non viene chiarito» (p.206). Kurz ricorda che Marx ha dimostrato che «il feticismo del sistema produttore di merci disattiva persino la soggettività politico-economica vista come ragione ultima dello sviluppo socio-economico» (ivi). Bucharin (1924) critica la Luxemburg per il suo «determinismo economico», ma finisce per ricadere egli stesso in quello che è a sua volta un altro determinismo. secondo lui, il collasso del capitalismo è «inevitabile», ma il limite è puramente «soggettivo, politico, costituito da un semplice confronto di volontà» (p.208). Bucharin soggettivizza l'oggettività del crollo, e oggettivizza il soggetto dichiarando «inevitabile» la sua azione. Varga rivolgerà a Grossmann lo stesso genere di accuse (1930): secondo Varga, le forze «oggettive» identificate da Grossmann non provocano affatto il collasso del capitalismo: il vero collasso del capitalismo sarebbe avvenuto in Russia. 
Le posizioni di Bauer, Bucharin e Varga si alleano a partire dal fatto che non sono in grado di illustrare con chiarezza la relazione soggetto/oggetto. Pannekoek (1934), il quale critica il «determinismo» di Grossmann, ricade anche lui nell'oggettività del soggetto, e nel determinismo della volontà. La volontà della classe operaia sarebbe «perfettamente determinata dallo sviluppo economico». Secondo Kurz, Pannekoek «porta involontariamente alla luce e mostra l'intercambiabilità tra soggetto e oggetto nella struttura feticistica della riproduzione» (p.214). Pannekoek rinnova e riconferma quella che è una metafisica della storia: secondo lui, la necessità sociale si realizzerebbe «attraverso l'intermediazione degli uomini». In risposta a questo, Grossmann insiste sul fatto che solo i «fattori  soggettivi» potrebbero effettivamente rovesciare il capitalismo (malgrado una tendenza oggettiva al collasso). Ma anche qui, riducendo il «soggettivo» al rango di un «fattore», Grossmann riproduce la stessa confusione feticista impensata [N.d.T.: la "beata ignoranza"] di Pannekoek. Nell'ambito della Nuova Sinistra degli anni '70, l'analisi di classe si riduce all'«analisi empirica delle strutture di classe e delle loro trasformazioni all'interno delle relazioni di volontà» (p.218). Sarà l'operaismo a riprendere questo programma di ricerca. In tale contesto, la critica categoriale, la teoria delle crisi e del collasso, vengono abbandonate in quanto «vuote di senso e generiche». Questa Nuova Sinistra rimane anch'essa all'interno del contesto di una relazione irrisolta tra soggetto e oggetto

Capitolo 14: Crisi e critica, illusione politica e relazione di dissociazione sessuale - La critica categoriale è anti-politica
Scrive Kurz: «La politica è per definizione legata allo Stato; ma questi, in quanto categoria e come apparato concreto, rappresenta il meccanismo di trattamento politico del capitalismo, meccanismo che non può non portarci oltre l'auto-movimento della valorizzazione, dal momento cheesso stesso non è nient'altro che una funzione di questo sistema compulsivo.» (p.221).

Le illusioni politiche e sociologiche del marxismo tradizionale
La mera critica marxista tradizionale di uno «Stato di classe» esprime una soggettivazione sociologica. In questo contesto, vengono ontologizzate le categorie di valore, di lavoro, di Stato, di politica: «si parla di "lavoro (trans-storico) sfruttato dal capitale", si parla di "valore (o di plusvalore) accaparrato dai ricchi", si parla di "Stato borghese", e così via; cosa che permette si possa immaginare un "lavoro liberato", un valore "adeguato all'autodeterminazione" o "condiviso equamente",  uno "Stato proletario" e - eccoci arrivati al punto - una "politica emancipatrice".» (ivi).
«In tal senso, la falsa oggettivazione risiede già in quella che è l'ipostasi di un concetto di classe ridotto alla sua dimensione sociologica, il quale diventa il punto di partenza obbligato di ogni riflessione (mentre, invece, Marx non parte da un concetto sociologico di classe, ma dalla merce come cellula di base del capitalismo, parte dalla determinazione feticistica di quella che è la forma di riproduzione sociale).» (p.222).
Il marxismo tradizionale che riesce a vedere la relazione interna che intercorre tra politica ed economia, deve quindi abbandonare anche la critica categoriale del capitalismo, così come deve abbandonare la concezione di una barriera interna al modo di produzione capitalistico. Il marxismo tradizionale che si limita alla politica e alla sociologia di classe, è ben felice di accontentarsi dell'«oggettivazione delle categorie», facendo di esse «gli oggetti ontologici di un trattamento politico meramente attributivo.» (p.226).

Chiarire la relazione tra collasso ed emancipazione
Per Kurz vanno chiarite quali sono le relazioni tra crisi e critica, tra collasso ed emancipazione:
  - l'emancipazione è un atto consapevole, mentre la crisi, o il collasso è un processo inconscio ed oggettivo;
  - il capitalismo può crollare senza che questo significhi l'emancipazione degli individui;
  - gli esseri umani possono emanciparsi senza dover attendere che il capitalismo crolli.

Pensare la mediazione soggettiva dell'oggettività sociale
Si tratta perciò di pensare la mediazione soggettiva dell'oggettività sociale, anziché soggettivare, senza mediazione, questa oggettività (cosa che invece fa il marxismo, che si basa sulla sociologia delle classi).
Kurz si oppone all'idea di una «necessità storica», ereditata dal sistema hegeliano (e che il materialismo storico ha ripreso per suo conto). Egli vede e si rappresenta la storia come se fosse una «nuvola di probabilità, portatrice di un'infinità di possibilità, la quale si fissa come realtà storica solo nel momento in cui si tratta di agire.» (p.229). Ma una volta che si è formato un campo storico, «la contingenza si limita a quelle che sono le possibilità rimaste che sono state lasciate dalla sua matrice» (p.230). Si avrà quindi  a che fare con due distinte nuvole di probabilità: «quella della storia umana, a partire dalla quale si addensano i campi, o le formazioni storiche» e quella, secondaria, «interna a questo o a quel campo, e che segue lo schema di quella che è la sua matrice specifica» (ivi). La specificità del campo capitalista consiste nel fatto che esso possiede una matrice la quale implica, «attraverso l'esecuzione dei suoi schemi di azione», una dinamica interna contraddittoria, suscettibile di innescare un processo di collasso oggettivo.

Si tratta tuttavia di articolare la contingenza di un tale campo di azione secondo la logica oggettiva delle categorie, in modo da articolare soggettività e oggettività, critica e crisi, emancipazione e collasso:
  - Kurz asserisce e sottolinea quella che è la contingenza dell'emergere del capitalismo (evoca la Grande Peste, la rivoluzione militare delle armi da fuoco, la quale comporta un salto qualitativo insieme a degli addensamenti di azioni e decisioni, ma che tuttavia non «pre-programmano» il capitalismo successivo);
  - il campo capitalistico avrebbe potuto interrompersi in questa od in quella tappa (guerre dei contadini tedeschi nel XV e nel XVI secolo; movimento operaio della fine del XIX secolo;
  - in quelli che sono stati questi punti di rottura, «la nuvola delle probabilità si è addensata in delle decisioni concrete che, sebbene non fossero state giocate d'anticipo, finirono per risolversi ogni volta a favore dell'indurimento e dell'estensione del campo capitalistico, basato sulla matrice stabilita» (p.233); la logica delle categorie, resasi autonoma. ha potuto quindi sopravvivere.

Kurz sintetizza le cose nel seguente modo: «La tendenza al collasso, è perciò oggettivamente determinata dal fatto stesso che gli uomini orientano la propria azione in maniera soggettiva, secondo la loro matrice capitalistica a loro preesistente, in altre parole, continuano a dare esecuzione, ancora e sempre più, a quello che è il sistema del lavoro astratto e della sua forma valore, fino ad arrivare al punto di imprigionare in qualche modo sé stessi. Di conseguenza, quanto più i soggetti agiscono, lottano e si muovono senza mettere in discussione il sistema di lavoro astratto che costituisce la matrice di tale agire, tanto più mettono in moto il meccanismo del "collasso automatico"» (p.234).
Pertanto, riconoscere questa tendenza al collasso automatico non ha in sé nessun fatalismo: significa prendere coscienza di quest'aspetto automatico che finirà per rendere possibile il superamento del campo capitalistico, e non la falsa soggettivazione delle categorie.

La necessaria critica della forma soggetto
In questo contesto, la critica categoriale deve anche impegnarsi nella critica della forma soggetto. Questo soggetto è il soggetto maschio-occidentale-bianco proprio dell'era moderna. La forma soggetto implica una dissociazione sessuale-patriarcale e razzista. Il valore è strutturalmente maschile ed occidentale, e dissocia il «femminile» e il «non-occidentale» dalla sua matrice. La distruzione pratica della matrice categoriale implica l'abolizione della struttura dissociativa della forma soggetto.
La falsa soggettivazione delle categorie nel movimento marxista operaio, implica sicuramente l'apologia di tale forma soggetto. Qui, la «classe operaia» è un soggetto del lavoro astratto, e perciò è un soggetto maschio-occidentale-bianco. In tale contesto, il concetto di lotta di classe «ricade nell'universalismo androcentrico» (p.238). Riassumendo, la critica radicale della sostanza negativa del lavoro astratto implica una teoria del collasso, che articola (senza confonderle) crisi e critica, ma articolando anche una critica radicale della forma soggetto, e di quella che è la sua struttura maschile-occidentale-bianca.

Capitolo 15: Il concetto quantitativo di lavoro astratto e l'accusa di «naturalismo»
In questo ultimo capitolo, Kurz riafferma la legittimità di un concetto di sostanza in quanto «dispendio energetico indifferenziato». Contro Roubine, Heinrich e Postone egli afferma che una simile nozione non ha niente di naturalistico, poiché un tale concetto di sostanza è per definizione socio-storicamente determinato (è assurdo parlare di dispendio fisiologico di lavoro in una società pre-moderna). Del resto, se si fa a meno di questa nozione, si finisce per vedere solo una forma del valore (quella senza sostanza), cosa che rende assurda l'idea di una quantità di valore. Inoltre, un simile formalismo finisce per regredire nel circolazionismo, o nel relazionismo, i quali, a loro volta finiscono per ontologizzare i caratteri essenziali della produzione. In questo libro, si è potuto essere in grado di mostrare quali sono tutte le insidie di tale ontologizzazione.

- Benoît Bohy-Bunel - Pubblicato il 30/10/2019 su Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme -

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