mercoledì 6 novembre 2019

A Firenze, nel 1927…


Commentando il testo di Adorno, "Il saggio come forma", Georges Didi-Huberman sottolinea una frase: l'attualità del saggio consiste in un anacronismo. Nel saggio, si tratta di abolire il concetto tradizionale di metodo, si tratta di procedere, non tanto per mezzo della successione e dell'accumulazione, ma piuttosto facendo uso dell'associazione, procedendo per salti (la vecchia idea dei formalisti russi che ci parla della tradizione che non viene trasmessa di padre in figlio, ma dallo zio al nipote).

Si tratta di un «metodo impuro», commenta Didi-Huberman, il quale invece opera «per contiguità, per contaminazioni, per dislocamenti, per movimenti di assorbimento», «più dialettico, anziché relativo alla dialettica»: »Proprio allo stesso modo in cui i pensatori non accademici (Bataille o Benjamin), gli scrittori o gli artisti  (Brecht, Raoul Hausmann) si appropriano della parola dialettica con quell'allegria divorante che, secondo una celebre formula di Georges Bataille, «richiedeva sia metodo che eccesso».

«Provare significa tentare nuovamente», continua Didi-Huberman. Vale a dire, si tratta sempre di ricominciare, insistendo su una rilettura, sperimentando quelle che sono «altre strade, altre corrispondenze, altri montaggi. Il saggio come gesto attraverso il quale si riprende sempre tutto. Esso mi ricorda», prosegue Didi-Huberman, «il modo in cui Aby Warburg concluse una delle sue celebri conferenze (a Firenze, nel 1927): " Si continua - coraggio! - ricominciamo la lettura "

fonte: (Georges Didi-Huberman - L'Œil de l'histoire, Tome 2 : Remontages du temps subi, Minuit, 2010.)

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