venerdì 18 ottobre 2019

Le vittorie e le sconfitte

Ecuador: breve bilancio e prospettive

«Ogni passo di movimento reale è più importante di una dozzina di programmi.» (Marx, Critica del Programma di Gotha).
«Un programma e i fucili.» (Los Amigos de Durruti, Hacia una nueva revolución).

Malgrado la presenza di simboli criticabili e di discorsi nazionalisti (perfino xenofobi) insieme ad altre debolezze, contraddizioni e macigni ideologici e pratici presenti in questo movimento reale (mancanza di radicalità e di autonomia nei confronti dello Stato capitalista; accettazione del dialogo e negoziazione con il governo; richiesta dell'intermediazione dell'ONU; divisione tra alcune leadership, da una parte, e le basi del movimento indigeno, dall'altra; pacifismo da parte di alcuni settori di questo movimento; pensare a nuove elezioni; l'assenza da parte di alcuni settori operai; presenza di alcuni politici opportunisti; mancanza di chiarezza, di organizzazione e di capacità offensiva; nonostante tutto questo, in Ecuador, nel corso degli 11 giorni di sciopero nazionale, c'è stata una vera e propria rivolta proletaria con connotati insurrezionali, in grado di sfidare e far compiere un passo indietro allo Stato borghese che controlla questo territorio. È stato fatto, né più né meno, quello che poteva essere fatto: costringere concretamente ad abrogare le ultime misure di austerità capitalista, vale a dire, il «paquetazo» imposto dal governo di Moreno (il decreto esecutivo 883). E questo è stato fatto nelle strade, conquistate, giorno per giorno e notte per notte, per mezzo della lotta. Questa vittoria parziale del 13 ottobre (con un certo sapore di sconfitta a causa dei nostri morti e per la permanenza dell'attuale governo di ladri ed assassini, e per le sue nefaste riforme del lavoro) è stata il risultato di tutte quelle azioni dirette di massa messe in atto dal 3 ottobre: sono state occupate le istituzioni governative, ci si è impossessati di pozzi di petrolio, strade, si è fatto picchetti e barricate, sono stati incendiati centrali di polizia e sono stati bruciati carrarmati, sono stati catturati e fatti prigionieri poliziotti e militari, costringendo il presidente a scappare a Guayaquil, instaurando la Comune di Quito, in quanto epicentro dello Sciopero Nazionale... Ad ogni modo, in 11 giorni è stato fatto quello che non era stato fatto in 11 anni. E non è poco, si è trattato di un evento storico che ha avuto un'eco mondiale, se si considera che le masse proletarie della campagna e delle città di questa «metà del mondo» avevano continuato a dormire, o erano rimaste inattive per tutti questi anni, e ora si sono svegliate. Sono esplose come un vulcano e stanno continuando a bruciare. E insieme a loro, anche gli anticapitalisti autonomi che hanno partecipato.
Neanche i morti e i feriti in quella che è stata la lotta contro il terrorismo dello Stato sono poca cosa. Non sono state «morti accidentali», sono stati crimini di Stato. Né perdono né oblio! Perciò, negarli o considerarli meno che questo è una mancanza di rispetto e persino un segno di cinismo nei loro confronti, nei confronti dei loro cari e dei loro compagni. Un pessimo atteggiamento che va deplorato non solo in chi è di destra, ma anche idi alcuni che fanno parte della sinistra locale. Al contrario, il minimo che si può fare in questi momenti di «dopoguerra» di classe (perché quella che c'è stata è una guerra di classe che non è ancora finita) è: solidarizzare coi compagni in prigione e con le famiglie dei compagni uccisi; denunciare e opporsi attivamente al terrorismo di Stato/governo assassino, che in questo momento sta attuando una repressione selettiva vendicativa da cui guardarsi; mantenere la mobilitazione e l'organizzazione sociale avvenuta spontaneamente per poter «accumularla», radicalizzarla e generalizzarla a medio e lungo termine con una prospettiva rivoluzionaria. In tal senso, tutto questo è solo appena iniziato. La lotta continua. Fino alla fine. Poiché non si tratta di sopravvivere il meno male possibile, ma di vivere davvero. E non si tratta di cambiare il padrone, ma smettere di averne uno.
È la mancanza di soddisfazione dei bisogni concreti quotidiani, e non questa o quell'ideologia, che spinge la classe operaia a scontrarsi con la classe padronale e con il suo Stato. In seno a questa lotta, emergono e si sviluppano minoranze coscienti, organizzate e attive interne al proletariato che si sforzano di mantenere viva la memoria, le lezioni e la fiamma scarlatta della rivoluzione. Ma una cosa è essere rivoluzionari e «sporcarsi le mani» nella lotta di classe reale e contraddittoria, stare «dove ce n'è bisogno», vivendo nella propria carne la solidarietà e la combattività della classe, contribuendo ed imparando più che si può (tanto sulle barricate, quanto nei centri di raccolta e nelle assemblee), sempre con autonomia e criticità, ma anche con umiltà e senza pregiudizi ideologici  o minchiate personali e da gruppuscolo; e un'altra cosa è dire di essere rivoluzionari dalla comodità della propria cameretta, dietro lo schermo, davanti alla scrivania, oppure dal marciapiede, a partire da un'ideologia eurocentrica/razzista, operaista, pacifista e purista che dice di essere «comunista» e «internazionalista». Oppure ancora da un'ideologia «marxista-leninista-maoista» all'«avanguardia». O ancora da un'ideologia «anarchica» nichilista e irresponsabile. La rivoluzione sociale non è un fatto ideologico bensì un fatto reale o materiale e, quindi, impuro e contraddittorio, che va saputa assumere come tale, nel mentre che si sta lottando insieme alle masse e al fianco di altre minoranza.
Ovviamente, qui e ovunque si parla molto di rivoluzione comunista anarchica mondiale propriamente detta, sebbene non esistano le condizioni e la forza per farla, ma per qualcosa che sta avendo inizio dopo un così lungo letargo storico. Quel che emerge insieme all'attuale lotta proletaria in Ecuador (le masse indigene sono parte delle masse proletarie della campagna, e non sono «un settore non sfruttatore», oltre al fatto escono a combattere anche le masse proletarie della città) è parte di quella che è un'ondata internazionale di lotte proletarie (Haiti, Hong Kong, Francia, Algeria, Iraq, ecc.) che oggi sta chiudendo un ciclo storico di controrivoluzione (con misure di austerità e di repressione statale che sono dappertutto all'ordine del giorno) e sta aprendo un nuovo ciclo di ascesa ed intensificazione della lotta di classe, nel bel mezzo dell'attuale crisi capitalistica mondiale. In tutto questo, come sempre, il ruolo delle minoranze rivoluzionarie è quello di contribuire in ogni modo a sviluppare l'autonomia e la rottura proletaria, vale a dire, a contribuire a far sì che gli sfruttati e gli oppressi, con la loro propria testa e con le proprie mani, siano in grado di liberarsi del tutto, e alla radice, del Capitale e dello Stato; e di fare in modo che ci si possa riappropriare del programma della rivoluzione sociale forgiatosi nel fuoco della lotta storica del proletariato mondiale, per poterlo realizzare una volta per tutte: abolizione e superamento della proprietà privata, del valore, del lavoro salariato (in tutte le sue forme), del denaro, delle classi, dello Stato, del Mercato, delle patrie, delle razza, dei generi e di tutte le forme di separazione e oppressione tra gli esseri umani e sulla natura, al fine di potere così vivere  veramente in comunità e in libertà. Ma ciò è possibile solo partecipando alle vere lotte sociale, entrandoci e «sporcandosi le mani», commettendo errori e riportando successi, compiendo passi falsi e avanzando e retrocedendo, attraverso vittorie e sconfitte; essendo parte attiva e incisiva delle masse in rivolta, della classe sfruttata e oppressa, in quella che è la lotta per i suoi bisogni materiali, a partire da questi (e non a partire dall'ideologia, né dalla convenienza né dal cinismo) in modo da essere in grado di trarre ed applicare le lezioni empiriche e teoriche che abbiamo appreso, per poi, a partire da quelle, poter criticare e superare nella pratica quelli che sono i nostri punti deboli e le nostre contraddizioni, con la prospettiva chiara e ferma di fare la rivoluzione fino in fondo, vale a dire, rovesciare  tutto questo sistema di sfruttamento, di miseria e di morte. Pertanto, a partire dalla resistenza e dalla dignità che solo la lotta può conferire, diciamo: per i nostri morti e per le nostre vite, non un solo minuto di silenzio, ma tutta una vita di lotta! La nostra arma migliore è la solidarietà, e li farà tremare di nuovo!

 Un@s proletari@s cabread@s de la región ecuatoriana por la revolución comunista anárquica mundial

Kito, 17 de octubre del 2019

fonte:  Proletarios Revolucionarios


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