Quelle serate al Literary Club con Gibbon e Adam Smith
- Gli illustri membri del circolo londinese visti da vicino in un libro -
di Masolino d'Amico
In un capitolo della sua biografia di Samuel Johnson, James Boswell ricostruisce la conversazione di una tipica serata al Club, il 3 aprile 1778. Un membro, Lord Ossory, lancia un tema - ha visto offrire in vendita per mille sterline una statua romana rappresentante il cane di Alcibiade. Il Dottor Johnson osserva che in tal caso la coda del cane deve essere mozza, così almeno dice Plutarco. Burke si meraviglia del prezzo: non sarà esagerato? Il Dottor Johnson rileva che non importa il valore intrinseco di un oggetto, ma che la sua fattura offra una nuova prova di dove le abilità umane possono arrivare. Si passa ad un altro argomento, l'emigrazione nelle colonie. Può questa costituire un depauperamento della popolazione nazionale? Secondo Burke no, anzi è il contrario. Ma Gibbon trova che questa sua affermazione sia un paradosso...
Il «Club» - a rigore si chiamava The Literary Club, ma per i suoi soci fu sempre soltanto il Club e basta - era nato diversi anni prima, nel 1764, su iniziativa soprattutto dell'insigne pittore Reynolds, non ancora Sir Joshua, principalmente per combattere la crisi di depressione e la solitudine del suo amico Samuel Johnson. Questi da poco era diventato famoso anche se non ricco per la conclusione della titanica impresa del dizionario della lingua inglese di cui era stato l'unico redattore. Johnson, che anche lui non era ancora dottore - il titolo onorifico gli fu conferito dall'Università di Oxford solo anni dopo - fu così che un altro dei fondatori di questo circolo, che non ebbe una sede propria, ma si riuniva ogni venerdì sera in una saletta riservata presso la Turke's Head Tavern di Gerard Street, a Soho, dove ora c'è un supermarket cinese con tanto di targa commemorativa.
Lo scopo del Club è presto detto: far trascorrere una serata stimolante, dibattendo cose interessanti e lottando per far prevalere il proprio punto di vista, a un gruppo scelto di intellettuali (la parola non esisteva ancora) che condividessero una stima reciproca, e che fossero esponenti di discipline diverse. Al Club si entrava solo su approvazione unanime dei soci, e il numero fu a lungo tenuto il più basso possibile - i nove del primo anno diventarono undici il secondo, e ci vollero vent'anni perché fossero una quarantina. Per la maggior parte erano uomini di origini modeste, che si erano fatti strada con le proprie forze; il sunnominato Lord Ossory, primo aristocratico ammesso, ci entrò solo nel 1777. Agli inizi forse solo il Dottor Johnson godeva di una reputazione nazionale, ma ben presto una enorme percentuale di loro fece, come si dice, carriera, al punto di formare un consesso ineguagliato per altezza di ingegni in ogni altro periodo della storia d'Inghilterra, se non forse del mondo.
Esagerazione? Elenchiamone alcuni, rilevando le rispettive specialità. Dunque, Sir Joshua Reynolds, pittore, ritrattista principe, promotore della Royal Academy e rinnovatore dell'insegnamento della sua arte. Samuel Johnson, il letterato più influente della sua generazione. Edmund Burke, il massimo oratore politico del secolo. Edward Gibbon, rivoluzionatore della storiografia con il suo capolavoro, Decadenza e Caduta dell'Impero Roman. Adam Smith, quello della Ricchezza delle Nazioni, nume dei moderni studi di economia. David Garrick, supremo attore del suo tempo e riformatore del teatro inglese. Richard Brinsley Sheridan e Oliver Goldsmith, entrambi sommi commediografi, il primo anche importante uomo politico. Tra i meno noti si possono ancora aggiungere il reverendo Thomas Percy, antesignano del gusto romantico con la sua rivelatrice raccolta di ballate popolari; e Joseph Banks, il botanico che accompagnò il capitano Cook nei mari del Sud e poi diventò presidente della Royal Society. Last not least, il sunnominato Boswell - un peso piuma, ammesso solo nel 1773 per la sua amicizia col Dottor Johnson e considerato dagli altri solo un piacevole intrattenitore, ma oggi acclamato come impagabile testimone della sua epoca, e non solo come autore della più ammirata biografia in lingua inglese.
È soprattutto grazie a quest'ultimo che sopravvive qualche eco delle attività private (e gelosamente tenute tali: lo statuto vietava di diffondere i dibattiti) di quel gruppo esclusivo, nella Vita di Johnson, ma anche nei copiosissimi diari quotidiani riemersi solo nel Novecento. A questi attinge oggi Leo Damrosch, professore ad Harvard, in un brillante, assai ben documentato e illustrato volume dedicato a quel sodalizio (The Club - Johnson, Boswell, and the Friends Who Shaped an Age, Yale University Press). Qui attraverso una serie di ritratti gli illustri sodali sono rievocati, come persone vive, con le loro intuizioni ma anche con i loro pregiudizi, da figli del loro tempo che in qualche punto ciascuno di loro, non sempre subito compreso dai suoi contemporanei, riuscì a sopravanzare. L'attore Garrick per esempio deluse i compaesani calati dalla provinciale Lichfield per ammirarlo, quando questi trovarono che invece di «recitare» come si aspettavano, sembrava comportarsi come nella vita normale.
Nella taverna di Gerrard Street dunque si mangiava (carni e pollame, pesce, pasticci) e si beveva (vino e «punch», niente birra e niente gin, bevande proletarie); si andava avanti fino a mezzanotte e ciascuno pagava per sé. Il grande sport era la discussione, e non importava tanto avere ragione quanto imporre il proprio punto di vista. Con la sua autorevolezza, la sua memoria portentosa e la sua capacità epigrammatica Johnson prevaleva spesso, ma non sempre. Il suo competitore più agguerrito era proprio Burke, irresistibile improvvisatore a braccio, alla cui eloquenza tutto il suo tempo rese omaggio (benché poi spesso il Parlamento gli votasse contro). Non per nulla una volta Johnson, indisposto, ringraziò Boswell che aveva impedito a Burke di venirlo a trovare. «Debole com'ero, se avessi tentato di tenergli testa in una discussione, sarei morto».
- Masolino d'Amico - Pubblicato sulla Stampa del 7/10/2019 -
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