In numerosi punti della sua opera, Jacques Derrida insiste circa il predominio della voce rispetto alla scrittura, nella storia della filosofia, nella storia del pensiero - da Platone ad Heidegger (pensiamo ad esempio al suo "Della Grammatologia", del 1967; ma possiamo anche ricordare come Paul Zumthor stabilisca l'argomento opposto, parlando del predominio della scrittura in quella stessa storia - ad esempio nel suo saggio sulla poetica medievale, del 1972). Ma più che di un predominio, si tratta sempre di una convivenza, di strati storici eterogenei nei quali scrittura e voce si trovano in costante permutazione ed incrocio. La stessa storia della letteratura - moderna, contemporanea - può essere riorganizzata a partire da una simile prospettiva, procedendo dalla sollecitazione immaginaria che arriva sia dalla voce sia dalla lettera.
Il caso di Javier Marías è paradigmatico per quanto riguarda l'utilizzo dell'oralità come procedimento di fantasia - non si tratta solo del dialogo, ma dell'assorbimento dell'oralità visto nella molteplicità delle sue forme e derivazioni in quello che è l'andamento della finzione narrativa. Marías è costante in quella che è la sua indagine circa gli effetti che la voce ed il dire hanno sui personaggi, i quali si trovano costantemente coinvolti nell'interpretazione di ciò che è stato detto, direttamente o indirettamente (sia in un presente testimoniato, per esempio, che in un passato distante, che arriva al personaggio seguendo strade tortuose). In proposito, ci si può riferire alla lunga riflessione sulle intercettazioni che mette in scena nel suo romanzo "Tutte le anime" (1989).
All'estremo opposto, potremmo posizionare, arbitrariamente, David Markson. La finzione narrativa di Markson non sollecita affatto l'oralità. D'altra parte, però, è eloquente nella sua sollecitazione rivolta allo scrivere, alla disposizione grafica della scritto sulla pagina, o perfino alla materialità dell'azione della scrittura (i romanzi tardivi di Markson, sperimentali, sono stati tutti realizzati a partire da un procedimento da lui sviluppato che consiste nel copiare citazioni e commenti che riguardano libri, autori ed opere d'arte in generale, frammenti di testi copiati su schede). A partire dalla sua collezione di schede con sopra citazioni, Markson ha montato i suoi romanzi, disponendo i frammenti all'interno di un ordine provvisorio ed instabile.
Anche nel Don Chisciotte di Cervantes, per esempio, troviamo quello che è un raffronto tra i due paradigmi: nel XX capitolo della prima parte del romanzo (pubblicato nel 1605), Sancho racconta una storia al suo signore-cavaliere. C'è da dire che fin dall'inizio Cervantes rappresenta Chisciotte come qualcuno che è malato di letteratura – tipo quelli che poi nel futuro saranno la Bovary di Flaubert o il Montano di Vila-Matas - qualcuno, quindi, intensamente posseduto da ciò che è il processo della letteratura e del letterario. Di fronte alla storia raccontata da Sancho, imprevedibile e divagante, Chisciotte perde la pazienza - l'oralità caratteristica di Sancho (popolare, anche nel senso che gli conferisce Bakhtin a partire da Rabelais; oppure Ginzburg a partire dal mugnaio Menocchio) si scontra ed entra in conflitto con l'ideale libresco e scritturale di Chisciotte. Del resto, si tratta di uno dei momenti in cui Cervantes rappresenta quei cortocircuiti che vengono sottolineati da Foucault ne "Le parole e le cose".
Ma più che limitarsi solamente a constatare e a rappresentare quella che è la dicotomia lettera/voce all'interno del romanzo, Cervantes opera la mescolanza dei due registri, l'oscillazione dall'uno all'altro, assorbendo nella narrativa il processo storico della convivenza tra scrittura e oralità nel XVII secolo. In un certo senso, nel suo montaggio, il passaggio è addirittura hegeliano, dal momento che esso rappresenta: 1) Chisciotte che perde la pazienza e intima a Sancho di raccontare la storia nell'ordine giusto; 2) Sancho rimane sorpreso dall'interruzione, e difende il suo punto di vista, appellandosi alla tradizione e al modo tradizionale di raccontare le storie, come avviene nel suo villaggio; 3) La finale ed indiscussa accettazione della procedura digressiva-orale da parte di Chisciotte, il quale dice a Sancho di continuare e, in questa accettazione, si chiude e si affranca quello che è l'assorbimento del dilemma storico attraverso e per mezzo della finzione narrativa.
Solo un blog (qualunque cosa esso possa voler dire). Niente di più, niente di meno!
giovedì 3 ottobre 2019
La pazienza di Chisciotte
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento