In un testo di Theodor Adorno, "L'Educazione dopo Auschwitz", frutto di una conferenza tenuta nel 1965 e pubblicata nel 1969:
«Milioni di innocenti - specificarne il numero o contrattarlo, è indegno di un uomo - sono stati sistematicamente assassinati. Una cosa del genere non dev'essere trattata da nessuno come se fosse un fenomeno superficiale, come un'aberrazione verificatasi nel corso della storia, come qualcosa di irrilevante a confronto della grande tendenza al progresso, dell'illuminazione dell'umanità, presumibilmente evoluta. Quel che è avvenuto è di per sé l'espressione di una tendenza sociale straordinariamente potente. Vorrei riferirmi ad un fatto che si lega a tutto questo. e che, in maniera assai caratteristica, sembra essere poco noto in Germania, sebbene sia stato il tema di un bestseller, "I quaranta giorni del Mussa Dagh", di Werfel. Già durante la prima guerra mondiale, i turchi - il cosiddetto Movimento dei Giovani Turchi, guidato da Enver Pascha e Talaat Pascha - avevano provocato l'assassinio di ben oltre un milione di armeni. Le alte autorità militari tedesche, e perfino funzionari governativi, ovviamente sapevano, ma mantenevano il massino riserbo. Il genocidio affonda le sue radici in questa rinascita del nazionalismo aggressivo, avvenuta in molti paesi, a partire dalla fine del XIX secolo.»
Adorno sostiene che già nella prima guerra mondiale, la Germania aveva ricevuto un suggerimento su come agire, e questo suggerimento proveniva dalla Turchia. Ovviamente - e questo appare già chiaramente nella frase finale del brano citato - anche la Turchia aveva sviluppato una pratica, quella del genocidio, a partire da quello che si sentiva nell'aria alla fine del XIX secolo.
Ci troviamo sul territorio del "contro-sogno", di cui parla George Steiner nel suo "Nel castello di Barbablù": la civiltà mette in pratica i suoi sogni di annientamento!
«Ed è proprio a partire dal 1830 che si può osservare l'emergere di un "contro-sogno" - la visione della città devastata, la fantasia dell'invasione delle città e dei vandali, dei cavalli dei mongoli che si dissetano nelle fontane dei giardini di Tuileries. Nasce e si sviluppa una strana scuola di pittura: sui quadri di Londra, di Parigi o di Berlino si vedono dipinti rovine colossali, edifici famosi dati alle fiamme, saccheggiati o ambientati in una desolazione misteriosa, in mezzo a resti carbonizzati e ad acque stagnanti.
La fantasia romantica anticipa la vendicativa promessa di Brecht, secondo la quale della grandi città non rimarrà nulla tranne il vento che soffia loro attraverso. Esattamente cento anni dopo, questi collage apocalittici e questi disegni immaginari della fine di Pompei si sarebbero trasformati nelle nostre fotografie di Varsavia e di Dresda. E non c'è bisogno della psicoanalisi per suggerire quanta parte avesse avuto il desiderio in quelle suggestioni del XIX secolo!»
(Nel castello di Barbablù. Note per la ridefinizione della cultura, di George Steiner)
Vale a dire, la prima metà del XX secolo, con le sue due guerre mondiali, ha funzionato come una sorta di grande celebrazione dei peggiori e più terribili incubi prodotti da certa arte sotterranea del secolo precedente. La distruzione, che si trovava prima sotto la forma del sogno, esplodeva come realtà incontrollabile. La seconda metà del XX secolo, funziona come se fosse un lungo periodo di elaborazione e di lavoro sul trauma. A partire dal colonialismo/imperialismo del XIX secolo (Edward Said, Cultura e imperialismo) e dalle sue letture di Kafka ("Nella colonia penale", ma anche "America"), Sebald arriva agli scritti di Michel Foucault a proposito del sistema penitenziario di controllo, e riunisce tutti questi riferimenti nella complessa argomentazione di "Austerlitz", e attraverso il lavoro della vita del protagonista: stabilire «relazioni di familiarità» nell'architettura borghese del XIX e del XX secolo (in tale prospettiva, il progetto di Sebald in "Austerlitz" è simile a quello di Agamben in "Homo Sacer", che è per l'appunto quello di accertare la validità delle premesse di Foucalt relativamente al XX secolo).
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