Dopo di noi, il diluvio
- di Timm Graßmann -
Ci sono delle figure che si suppongono legate a Marx, a loro dire, e vengono a metterci in guardia sull'ecologia come «il nuovo oppio delle masse» [*1], o che hanno affermato che «la natura non esiste» [*2] oppure che ci hanno spiegato che «la sostenibilità, in quanto tale, non è un tema di sinistra» [*3]. In questa sua attuale dissertazione, Kohei Saito fa pulizia di queste eccentricità, mostrando che alle volte vale la pena dare un'altra occhiata all'opera incompiuta di Karl Marx. Ed inoltre è anche in grado di dimostrare come il «matrimonio infelice» fra marxismo ed ecologia non possa essere sancito a partire dall'opera dello stesso Marx. Non solo Marx non era un modernista ingenuo, che possa essere considerato come il il portavoce di un produttivismo senza riserve che glorificava l'era industriale, ma «il vero bersaglio della critica dell'economia di Marx non può essere compreso correttamente [...] se si trascura l'aspetto dell'ecologia» (p.14). Saito è riuscito a realizzare il suo ambizioso progetto: rappresentare così in dettaglio il pensiero ecologico di Marx, sulla base della sua critica dell'economia, è una novità. [*4]
Nella prima parte del libro (capitoli da 1 a 3), Saito traccia lo sviluppo dell'ecologia in Marx, a partire dai suoi primi lavori fino a Il Capitale. Dopo aver evidenziato, nel primo capitolo, l'importanza che ha la relazione uomo-natura nella teoria dell'alienazione di Marx, più filosofica-antropologica ("umanismo = naturalismo"), nel secondo capitolo sviluppa l'idea secondo la quale il concetto scientifico-naturale del metabolismo sia stato una categoria centrale per Marx. Ponendosi contro l'interpretazione influente di Alfred Schmidt (pp.87-96), utilizza il "metabolismo" di Marx, non come se fosse un concetto "speculativo", ma nella sua dimensione filosofica e di scienza sociale: Marx intende la "natura", non come se fosse un'entità ontologica, separata, "indissolubile" e "non determinabile", ma la comprende nella sua interrelazione storicamente mutevole con la società [*5], di modo che il ritorno ad una "natura in quanto tale", presunta come non toccata dall'essere umano, è del tutto illusorio. Ma da questo proviene anche l'esigenza di esplorare e comprendere come la natura concreta (il suolo, le piante, l'aria) potrebbe finire per essere alterata e distrutta, oppure preservata ed elevata ad un livello superiore dall'influenza sociale. Schmidt, però, associò senza alcuna ragione Marx ai materialisti della filosofia naturale ed ai meccanicisti, come Jacob Moleschott e Ludwig Feuerbach, minimizzando quello che è stato il suo comprovato studio intensivo delle scienze della natura, come a proposito di Justus von Liebig.
Saito non si limita a compilare le numerose osservazioni di Marx, sparse per tutta la sua opera, sul degrado dell'ambiente, ma, nel terzo capitolo, stabilisce una connessione interna fra l'ecologia e la critica dell'economia di Marx. A tal proposito, si basa sull'interpretazione "giapponese" di Marx, quella di Samezō Kuruma [*6] e di Teinosuke Ōtani, purtroppo poco nota fra noi, per i quali sono centrali alcuni concetti come "lavoro privato", "soggettivazione del valore in quanto capitale" e "cosificazione della persona", e vi aggiunge una dimensione ecologica. Così, il dominio oggettivato del capitale dovrà mediare in maniera lacunosa il metabolismo fra esseri umani e natura, rivelandosi così incapace di prestare attenzione al lato materiale, sebbene questo contribuisca alla produzione. Una società di produttori privati - producendo per sé in maniera cieca ed indipendentemente l'uno dall'altro, e i cui prodotti del lavoro, dato il loro reciproco isolamento, assumono la forma di merce, e la cui sociabilità pertanto si costruisce solamente sul mercato dove portano la merce - esige il valore come regolatore della produzione. Costretti a produrre per il mercato, il comportamento dei produttori viene determinato dai loro stessi propri prodotti, dalle cose, ed il valore ottiene un potere sociale reale, che nessuna volontà umana o dello Stato potrà mai rompere. In quanto oggettivizzazione del lavoro astratto, la forza lavoro e le risorse naturali sono per il valore semplicemente dei "costi superflui" che devono essere minimizzati (p.122).
Più tardi, dal momento che il valore smette di presentarsi soltanto come mediatore della produzione, ma è stato soggettivato come capitale, vale a dire, dal momento in cui si è passati a produrre per amore del valore e della sua massima valorizzazione quantitativa, tutti gli aspetti materiali della produzione sono diventati secondari, ed il metabolismo sociale con la natura è stato riorganizzato sotto l'unico punto di vista di spremere il massimo di lavoro astratto (p.137-138). Appare convincente l'interpretazione del primo libro del Capitale, in cui Marx ha mostrato in maniera dettagliata come il capitale, in quanto "soggetto automatico" (p.138), perturba il metabolismo ecologico (Marx parla di «estensione "crudele ed incredibile" della giornata di lavoro» [*7], che esaurisce il lavoratore fisicamente e mentalmente); e quindi, dal lato della natura, sotto forma dell'esaurimento del suolo e della della distruzione delle risorse naturali. L'esposizione di Marx culmina con le ultime parole del capitolo sulla "Grande Industria e Macchinari", che non fanno l'elogio dello sviluppo delle forze produttive da parte della borghesia, ma sobriamente afferma: «Ogni progresso dell'agricoltura capitalista non è solo un progresso nell'arte di saccheggiare il lavoratore, ma è allo stesso tempo un progresso nell'arte di saccheggiare il suolo, poiché ciascun progresso nell'aumento della fertilità per un certo periodo, è allo stesso tempo un progresso nella rovina delle fonti permanenti di quella fertilità. [...] Per questo, la produzione capitalista sviluppa solo la tecnica e la combinazione del processo di produzione sociale, indebolendo allo stesso tempo le fonti di ogni ricchezza: la terra ed il lavoratore» [*8]. Contro ogni sogno di un "capitalismo verde", dicono Saito e Marx, non si dà nessuna riabilitazione del metabolismo fra l'essere umano e la natura, finché persiste il dominio reificato del capitale, e la produzione della ricchezza materiale è solo un effetto collaterale della vera finalità della produzione.
Oltre ad incorporare la comprensione, espressa da Marx nella sua teoria del valore, della distruzione capitalistica della natura, il secondo grande nuovo contributo di Saito è quello di ricostruire - nella seconda parte (capitoli 4-6) - estesi passaggi inediti di Marx sulla chimica agricola, elaborati fra il 1865 ed il 1868. Anziché lamentarsi astrattamente del fatto che l'essere umano domina o distrugge "la natura", Marx si rivolge alle scienze naturali, al fine di comprendere, con il loro aiuto, come avvenga esattamente che le determinazioni formali economiche del modo di produzione capitalista destabilizzino il metabolismo sociale con la natura concreta. Gli studi di scienze naturali di Marx, dopo il 1867, non indicavano alcuna «fuga da "Il Capitale"», ma, al contrario, era proprio la sua critica dell'economia politica ad aver richiesto tali studi. Pertanto non si trattava di una deviazione rispetto ad "Il Capitale", bensì di un approfondimento.[*9]
Come sottolinea Saito, poco prima della pubblicazione de "Il Capitale", Marx aveva letto la settima edizione della "Agricultural Chemistry" (1862) di Justus von Liebig, della quale aveva ricevuto la quarta edizione. Liebig, che era stato il primo a credere che si potesse fermare l'esaurimento del suolo (argomento che all'epoca era considerato progressista e veniva ampiamente discusso) per mezzo dell'uso dei fertilizzanti chimici - il "laboratorio mondiale" britannico dipendeva dalle importazioni massicce di escrementi di uccelli del Perù (guano) [*10] - ora, invece, nella settima edizione, irradiava pessimismo in proposito: considerando la moderna "economia predatoria" (Liebig), la quale viola le leggi naturali della fertilità del suolo, a causa dell'espansione urbana e dello svilupparsi dell'opposizione città-campagna, il suolo si esaurirebbe inevitabilmente. Dal momento che i componenti del suolo usati nella città non ritornavano al suolo, ma finivano come rifiuti nelle fogne della metropoli, Liebig prevedeva un periodo di carestia, di guerra per le risorse e perfino la caduta della civiltà, se il problema dell'esaurimento del suolo non fosse stato posto sotto controllo.
Ben presto in tutto il mondo si sviluppa un'accalorata discussione sulle tesi di Liebig. Questa costellazione discorsiva a proposito della chimica agricola di Liebig, ricostruita da Saito, consente di riconoscere, nel suo sviluppo, quasi tutte le posizioni che ancora oggi si incontrano nella "questione ambientale". Ci ritroviamo le varie visioni del mondo borghese: l'antropologismo, nella figura di John Stuart Mill (p.180/181), che vede ora confermata da Liebig la "legge del rendimento decrescente del suolo" formulata da David Ricardo, la quale afferma la retrocessione lineare della produttività del suolo, diventata sempre meno redditizia, come legge naturale valida per tutte le società; poi, il "fantasma malthusiano", per il quale la popolazione è sempre di più e le risorse sono sempre più scarse, e che intende il "consumo" come il principio e la fine di tutti i problemi ambientali; e, infine, chi, come Wilhelm Roscher, per cui, nonostante l'esaurimento, tutto è in perfetto ordine, poiché con il declino delle rendite del suolo anche i prezzi dei prodotti agricoli aumenteranno, ragion per cui affluirà più capitale per l'agricoltura ed aumenterà la sua produttività - vale a dire, il mercato sta già regolando tutto quanto (p.187/188)
Contro l'ignoranza borghese, si ergono l'americano Henry Carey, critico dell'Inghilterra, ed il suo seguace Eugen Dühring, nazionalista tedesco ed antisemita: entrambi vedevano, riguardo al commercio dei loro paesi, la Gran Bretagna come la causa ultima di rottura dei circuiti materiali, che pretendevano di fermare per mezzo di uno "sviluppo armonioso" del "lavoro patrio" (Dühring), promosso attraverso una politica doganale protezionistica (pp.256-260). Attraverso questo affascinante panoramica delle teorie ecologiche del XIX secolo, Saito chiarisce quali erano le insidie che Marx volle evitare - egli aveva letto in maniera dettagliata tutti questi autori - e quali le posizioni che non sono di Marx.
Il fatto che Marx, nella seconda edizione de "Il Capitale" (1872), abbia riconsiderato il suo precedente apprezzamento di Liebig, e si sia espresso con più cautela a proposito dei suoi «meriti immortali» [*11], viene spiegato da Saito dicendo che Marx aveva sviluppato il suo campo di ricerca sulla teoria di Liebig, relativizzandola. Qui sarebbe stata decisiva, la teoria delle alterazioni climatiche dell'agronomo di Monaco e critico di Liebig, Carl Fraas [*12]. Marx ha parlato delle sue relazioni con Fraas [*13] solo una volta in maniera diretta e quasi euforica, ma ha lasciato un'infinità di estratti delle sue opere. Per Marx, Fraas sembra avere un duplice significato.
Sulla base della sua critica a Liebig, per cui l'analisi chimica di quelli che sono i costituenti del suolo, da sola non avrebbe potuto spiegare le condizioni di crescita delle piante, dato che l'erosione del suolo verrebbe in gran parte determinata dal clima locale, Fraas riconosce nell'alluvione (terra, sabbia e masse rocciose trasportate dall'acqua) un meccanismo di autoconservazione della natura e della sua fertilità. Fraas propone un alluvione artificiale, mediante la costruzione di dighe e la regolazione dell'acqua dei fiumi, che servirebbe a non fare esaurire violentemente le forze della natura, ma a regolare quest'ultima. Attraverso questa delicata organizzazione del metabolismo sociale con la natura, Fraaz mostra che questa non è necessariamente distruttiva, ma può essere configurata in maniera sostenibile (pp.276/277).
In secondo luogo, Fraas è «darwinista prima di Darwin» [*14]. Questo è un complimento, dal momento che all'inizio Marx era rimasto entusiasta di Darwin, per aver provato che nella natura esisteva una storia ed una dinamica storica. Tuttavia, mentre la natura in Darwin (sebbene egli proietti su di essa la lotta hobbesiana di tutti contro tutti) è altrettanto stabile del "gold standard" e nel suo sviluppo tende all'adattamento e all'equilibrio armonioso (nonostante la concorrenza), come avviene nei modelli economici per l'economia di mercato, in Fraas c'è una consapevolezza della crisi, che dimostra che nel corso dei secoli la mutazione climatica può essere prodotta dall'attività umana, anche se non intenzionalmente. Il suo studio su "Il clima e la flora nel corso del tempo" (1847) rivela che l'area mediterranea, dalla Persia fino al sud dell'Italia, è stata rovinata dalle civiltà antiche, dal momento che la sua deforestazione generalizzata ha distrutto il clima locale e, quindi, il suolo e la fornitura d'acqua - cosa che ha lasciato dietro di sé il deserto ed ha costretto le piante locali a migrare verso nord (p.277ss.). Secondo Fraas, questo avrebbe potuto ripetersi in qualsiasi momento ed in qualsiasi luogo; allo stesso modo di Liebig, egli avverte a proposito del rischio del decadimento della civiltà dovuto all'esaurimento del suolo.
Il fatto che Marx attribuisca a Fraas una «tendenza socialista inconscia» viene interpretato da Saito nel senso che successivamente Marx definisce la riabilitazione del metabolismo sociale con la natura come un compito centrale del comunismo: "inconscio", perché «egli [Fraas], in quanto borghese, è chiaro che non ci arriva» [*15] a comprendere la necessità di questa riabilitazione. Marx conferma così Fraas, nel senso che nelle società premoderne non esisteva alcuna unità non contraddittoria dell'essere umano con la natura, ma questa perturbazione si trasforma e si rafforza nel capitalismo, una volta che questo riorganizza radicalmente il metabolismo dal punto di vista della valorizzazione. La perturbazione del metabolismo non è una costante antropologica, ma, senza un programma agrario comunista - già descritto da Marx come se fosse «l'Alfa e l'Omega della rivoluzione ventura» - «il padre Malthus finisce per avere ragione» [*16].
Le principali linee argomentative, presentate con chiarezza, rendono l'opera di Saito uno dei libri su Marx più importanti degli ultimi anni, costituendo in tal modo una nuova opera di riferimento sul tema dell'ecologia in Marx, e certamente uno dei migliori libri sulla massa dei brani che hanno visto la luce grazie alla MEGA [Marx-Engels-Gesamtausgabe], e che potrebbero aprire una nuova prospettiva sugli scritti tardivi di Marx riguardo la geologia e la chimica, ancora del tutto inesplorati. Vale anche la pena di evidenziare le conoscenze di Saito: egli esamina le sottolineature a margine nelle copie personali della biblioteca di Marx (p.284-286), segue la traccia delle alterazioni del testo nelle diverse edizioni de "Il Capitale" (p.252), dimostra che ci sono errori di decifrazione nella MEW [Marx-Engels-Werke] (p.264), scopre, nelle analisi storiche del concetto, che Marx ha incontrato per la prima volta il termine "metabolismo" nel libro "Microcosmos" (1851) del suo collega di Colonia, Roland Daniels (p.79), e che trae da Liebig la metafora, ricca di conseguenze, di «composizione organica» del suolo. Tali scoperte non sono per lui fini a sé stesse, ma si trovano coerentemente inserite nella sua tesi secondo la quale l'ecologia non è un aspetto secondario della critica di Marx all'economia.
Questa valutazione non viene oscurata da alcune peculiarità interpretative. Ad esempio, Saito ignora quelle che sono delle antinomie quanto meno altrettanto fondamentali delle società capitaliste. Se finora abbiamo compreso come contraddizione fra "materia" e "forma", la divergenza fra ricchezza materiale e valore, con il crescente sviluppo delle forze produttive avvenuto nel corso dell'accumulazione del capitale, di modo che ogni volta sia necessario meno lavoro per produrre un'unità materiale, e questa, pertanto, contiene ogni volta meno valore, cosa che dovrebbe così tanto far precipitare il modo di produzione capitalista in una crisi fondamentale, così come dovrebbe anche rendere possibile un'associazione di individui liberi, per poter andare oltre la pressione di «tutta la merda economica» (Marx) ed al di là della carenza generalizzata; a tutto questo, da parte di Saito, non si fa alcun riferimento. Egli dice, «che Marx tematizza tutta la natura, o il "mondo materiale", come punto di resistenza contro il capitale, nel quale la contraddizione della produzione capitalista si manifesta più chiaramente» (p.14). Sarà forse ora la natura, il soggetto rivoluzionario, quando si dice che, secondo Marx, «la perturbazione del metabolismo naturale affronta in ultima analisi, come limite materiale, la pulsione sfrenata all'accumulazione del capitale» e che sarebbe «qui possibile far saltare in aria il capitalismo»? È l'autore stesso ad escluderlo, ma non riesce a spiegare perché dovrebbe essere la contraddizione ecologica ad evocare la coscienza critica (e non la critica del fatto che il capitalismo produce scarsità in mezzo all'abbondanza) [*17].
Dal momento che Saito non affronta la dinamica dell'accumulazione del capitale, egli (ancora) non vede che a partire da qui si può pensare una nuova teoria dello sviluppo storico della distruzione della natura. Egli arriva a verificare che il metabolismo sociale con la natura viene necessariamente rovinato dal capitale, ma non riesce ad indicare una tendenza al danno. È vero che solo un'indagine scientifica precisa può determinare come funzione questa perturbazione [*18], ma, in rapporto all'importanza crescente della produzione del plusvalore relativo, se ne può far derivare una tendenza. Lo stesso Marx aveva esposto le considerazioni relative alla nota 7 - riguardo l'estensione crudele ed incredibile della giornata lavorativa - nel contesto della «produzione del plusvalore relativo», vale a dire, della generazione di plusvalore attraverso la riduzione del tempo di lavoro necessario. L'aumento della produttività porta ad una riduzione nel valore per unità materiale, che dev'essere compensata attraverso l'aumento della produzione e, pertanto, attraverso l'aumento del consumo di materiale, accelerando la distruzione ambientale. Questa è anche la ragione dei vari effetti di rimbalzo: le risorse messe a disposizione attraverso la riduzione del consumo o per mezzo del riciclaggio, aumentano solamente il plusvalore relativo - economizzare risorse sarebbe ecologicamente vantaggioso solo in una produzione sociale cosciente [*19].
La tesi di Saito, secondo la quale Marx, che ancora nel Manifesto del Partito Comunista celebrava la borghesia per la sua «sottomissione delle forze della natura» e per la «coltivazione di interi continenti» [*20], si è allontanato sempre di più, insieme allo sviluppo della sua critica dell'economia politica, dall'irrimediabile ottimismo del progresso e del feticismo delle forze produttive, ed una tale tesi è una critica feroce al marxismo tradizionale, al quale erano estranee le considerazioni ecologiche. Lo stesso Marx aveva dichiarato, già nel 1845, che le «forze produttive [...] sotto proprietà privata si sarebbero trasformate in forze distruttive» [*21]. Ma anche se Marx era sempre stato scettico sui presunti «effetti civilizzatori» del capitalismo, Saito sottostima il fatto che Marx stesso, a quei tempi, andava in cerca dell'aumento delle forze produttive in agricoltura, per poter avere una base tecnologica alternativa per un'associazione di liberi individui. Nei suoi estratti dal libro di William Hamm, "Macchinari e macchine agricole in Inghilterra", Marx si mostra colpito dal modo in cui molte macchine agricole recenti rendevano superfluo il lavoro umano [*22]. E anche nelle frasi scritte immediatamente prima delle "ultime parole" del capitolo sulle macchine, citato prima, Marx probabilmente non è schizofrenico [*23], ma sostiene al contrario che la scienza e la tecnologia hanno un potenziale che potrebbe essere propizio per l'espansione delle capacità produttive, ma che è distruttivo nella sua forma e nelle sue applicazioni capitalistiche.
Contro una lettura di Marx eccessivamente modernista, Saito chiarisce che questi non ha formulato alcuna teoria della libertà individuale assoluta, e non solo contro «l'idiozia della vita rurale», ma anche contro la distruzione della vita fisica dei residenti urbani. [*24] Il comunismo non sarebbe allora il paese di Cuccagna, ma significherebbe organizzare la sopravvivenza. In che modo potrebbe essere iniziata questa «rivoluzione sociale radicale, nel senso della creazione cosciente di una struttura economica totalmente differente a livello globale, col proposito di regolare in maniera sostenibile il metabolismo naturale e sociale» (p.110/111), viene suggerito da Saito come una «strategia socialista» suggerita da Marx. Così come è stato posto un freno alla distruzione della forza lavoro, attraverso l'introduzione della giornata di lavoro legale di 10 ore, che Marx giustamente elogiò, allo stesso modo Saito richiede una sorta di 10 ore ecologiche (pp. 143/144, 301/302) che potrebbe essere pensata sotto forma di un limite superiore alle emissioni di CO2. Nella regolamentazione statale, Saito vede la possibilità di limitare la reificazione. Tuttavia, così come «sotto la pressione di una giornata lavorativa più breve» [*25], vale a dire, limitando la produzione di plusvalore assoluto, abbiamo solo dato il via alla «marcia tempestosa» della produzione di plusvalore relativo, anche lo sfruttamento del margine di manovra ecologica (se esiste, e non viene ridotto da una crisi) non farebbe altro che accrescere le contraddizioni. Inoltre, appare logicamente impossibile che il moderno «Stato del capitale» (Johannes Agnoli), dipendente esso stesso da un'accumulazione di capitale che abbia successo, possa essere "verde", se, come assume Saito, la distruttività ecologica si annida nella forma della merce e nell'inversione soggetto-oggetto che ad essa soggiace.
Ancora una volta, all'assenza della critica dello Stato corrisponde un'interpretazione ostinata della teoria del valore. Saito considera, quindi, non solo il lavoro concreto, ma anche il lavoro astratto come "materiale" e "sovra-storico". Questo deriva certamente dalla sua legittima critica del marxismo occidentale, che ha male interpretato la dimensione materiale in Marx, o, come in Alfred Schmidt, egli lo ha bandito dal dominio della possibilità della conoscenza, in quanto "ontologia negativa", rimanendo così bloccato l'accesso all'ecologia. Egli sostiene che il «concetto di lavoro astratto come "puramente sociale" ha delle gravi conseguenze, perché sarebbe assai più difficile da spiegare come il dominio, sotto il capitalismo, del lavoro astratto, il quale non possiede alcuna proprietà materiale, dovrebbe perturbare più che mai diversi aspetti del metabolismo fra l'essere umano e la natura» (p.134). Io non vedo niente del genere, si tratta semplicemente del lavoro concreto, che in tutte le società regola il metabolismo con la natura, e che solo nel capitalismo viene riorganizzato con la prospettiva di spremere il massimo di lavoro astratto. Il concetto di lavoro astratto presuppone la divisione della società in produttori di merci separati gli uni dagli altri: «Pertanto, gli uomini non relazionano i loro prodotti del lavoro fra di essi, perché considerano queste cose come meri involucri materiali di lavoro umano della medesima specie. Al contrario. Gli uomini equiparano l'un con l'altro i loro differenti lavori come lavoro umano, equiparando l'uno con l'altro, come valori, nello scambio, i loro prodotti eterogenei. Non sanno di far ciò, ma lo fanno» [*26]. A Saito sembra che solo la mediazione dei lavori spesi come particolari e la distribuzione dei loro prodotti (in un caso e nell'altro, attraverso il mercato, lo scambio, il valore) è specificamente capitalista, e non già un'astrazione delle attività umane dal suo contenuto e dalla sua qualità, consumata per amore della sua scambiabilità.
Il merito di Saito è quello di mostrare che per la critica del valore di Marx - ben al contrario delle affermazioni citate all'inizio - l'ecologia non è una semplice «contraddizione secondaria» delle società capitaliste, e, inoltre, è anche a partire da essa che può essere compresa e spiegata l'attuale distruzione ambientale. Dato che la rottura dei cicli materiali si è ormai globalizzata, diversificata e accelerata (concentrazione di CO2 nell'atmosfera, desertificazione, perdita di biodiversità, acidificazione degli oceani, ecc.), diventa tanto più importante capire che responsabile di questo non è alcuna volontà, nessuna mancanza di tecnologia o di conoscenza, e assai meno nessun "modello di vita" molto alto, ma che questo è la conseguenza inevitabile del principio, che dev'essere preso alla lettera, dell'attuale modo di produzione: «Dopo di me il diluvio»!
- Timm Graßmann - Maggio 2018 - Pubblicato su EXIT!
Recensione del libro di Kohei Saito: Natur gegen Kapital. Marx’ Ökologie in seiner unvollendeten Kritik des Kapitalismus [La natura contro il capitale. L'ecologia di Marx nella sua incompleta critica del capitalismo]. Frankfurt a. M. 2016: Campus. 330 Seiten. ISBN: 978-3-593-50547-3.
NOTE:
[*1] - Intervista con Alain Badiou, Paris, Dezembro de 2007. In: Alain Badiou – Live Theory. Editado por O. Feltham. Londres 2008.
[*2] - Slavoj Žižek: Studenten haben meistens keine Ahnung [La maggioranza degli studenti non ne ha alcuna idea]
[*3] - Chantal Mouffe: Democracy in need of emotion and confrontation.
[*4] - Già Moishe Postone aveva identificato una "tensione" fondamentale fra le considerazioni ecologiche e gli imperativi della valorizzazione del valore. Vedi Moishe Postone, in Tempo, lavoro e dominio sociale.
[*5] - Qui ci si può riferire all'esempio vivo del "ciliegio", il quale «come quasi tutti gli alberi da frutto è stato trapiantato nelle nostre zone grazie al commercio solo pochi secoli fa, com'é noto» e che «pertanto, solo a causa di quest'azione da parte di una determinata società in una determinata epoca gli è stata data la "certezza sensibile" di Feuerbach» (Marx, Engels, "L'ideologia tedesca). Va ricordato anche il fascino subito da Marx circa la trasformazione del paesaggio, come per la campagna di Roma. (ivi, p.21)
[*6] - Kuruma-Archiv: https://www.marxists.org/archive/kuruma/index.htm Così anche: Samezo Kuruma "Marx’s Theory of the Genesis of Money: How, Why and Through What is a Commodity Money". Denver 2008.
[*7] - Karl Marx: Il Capitale. Critica dell'economia politica. Libro 1
[*8] - Ivi p.477
[*9] - A fronte della scoperta dell'ecologia in Marx, ci sono alcuni che buttano via il bambino insieme all'acqua sporca. Come se in Marx non ci fosse mai stata una critica della formula trinitaria - vale a dire, dell'idea feticistica secondo cui la terra, il capitale ed il lavoro sarebbero i tre fattori, di uguale valore, della produzione - recentemente Carl-Erich Vollgraf ha affermato che il Marx tardivo aveva riconosciuto «il ruolo del suolo, oltre a quello del lavoro umano, come un fattore indipendente di creazione di valore», mettendo così in discussione la «validità illimitata della sua teoria del valore-lavoro» (Carl-Erich Vollgraf: Marx über die sukzessive Untergrabung des Stoffwechsels der Gesellschaft bei entfalteter kapitalistischer Massenproduktion [ "Marx sul progressivo indebolimento del metabolismo della società nella produzione capitalista di massa sviluppata], in Beiträge zur Marx-Engels-Forschung. Neue Folge 2014/15. Hamburg 2016. p. 106-132). Come prova, Vollgraf fornisce, fra l'altro, la formulazione svolta da Marx contro il feticcio del lavoro della socialdemocrazia tedesca nella "Critica del programma di Gotha": «Il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. Anche la natura è ugualmente fonte di valori d'uso (sono essi che costituiscono la ricchezza materiale!) [...]». Tuttavia, Marx qui è del tutto coerente con la sua distinzione fra valore, in quanto forma di ricchezza capitalista (creata dal lavoro astratto), e ricchezza oggettiva, concreta o materiale (creata dal lavoro concreto o dalla natura, sotto forma di, ad esempio, aria, acqua, o suolo, materie prime). "Il Capitale" rifiuta di concepire il plus-prodotto sociale in maniera diversa dalla forma valore, e rifiuta di concepire la natura in maniera differente dal dono di regali senza costo e di includerla nel suo calcolo del valore. Se Vollgraf avesse ragione, allora per Marx sarebbe vero quello che questi aveva annotato una volta a proposito di una frase di John Ramsay MacCulloch, "Nel suo status naturale, il materiale è sempre privo di valore": «Si vede come perfino un MacCulloch si ponga al di sopra del feticismo del "pensatore" tedesco che dichiara "il materiale", insieme ad un'altra mezza dozzina di scherzi, come se fosse un elemento del valore» (Karl Marx: Per la critica dell'economia politica, Primo libro).
[*10] - Si veda anche Kurt Jacob: Landwirtschaft und Ökologie im „Kapital“ [Agricoltura ed Ecologia ne "Il Capitale"). In PROKLA Jg 27, 1997. H. 3. pp. 433-450.
[*11] - Marx: Il Capitale. Libro I.
[*12] - Su questo si veda anche: Kohei Saito: Marx’ Fraas-Exzerpt und der neue Horizont des Stoffwechsels [Gli estratti di Fraas in Marx ed il nuovo orizzonte del metabolismo]. n: Marx-Engels-Jahrbuch 2014. p. 117-140.
[*13] - Lettera di Marx ad Engels del 25 marzo 1868.
[*14] - Ivi
[*15] - Lettera di Marx ad Engels del 25 marzo 1868.
[*16] - Lettera di Marx ad Engels del 14 agosto 1851.
[*17] - Come dimostra l'esempio di Dühring, ovviamente, è possibile anche un'elaborazione regressiva di questa contraddizione. Già Ernst Moritz Arndt ha rifiutato la distruzione della natura attraverso delle considerazioni nazionaliste, supponendo che, con le alterazioni climatiche causate della deforestazione, sarebbe mutato anche il "carattere nazionale" tedesco. Si veda: Engelhard Weigl: Wald und Klima: Ein Mythos aus dem 19. Jahrhundert [Foresta e Clima: Un mito del XIX secolo]. In : Humboldt na Net. Bd. 5. 2004. No. 9.
[*18] - Forse un futuro studio potrebbe chiarire, per esempio, se l'esaurimento del suolo è "solamente" la manifestazione della distruzione del metabolismo nel XIX secolo, oppure se questo problema è latente e non è ancora stato risolto. In primo luogo, si potrebbe dire che il collasso ecologico sia peggiorato, perché oggi, non solo gli esseri umani, ma anche gli animali, nel massiccio allevamento di bestiame in gran parte del pianeta, sono separati dal suolo, cosa che ha aumentato la pressione per l'uso di fertilizzanti. Tuttavia, con l'applicazione del processo di Haber-Bosch (fissazione dell'azoto dall'aria ai fini della produzione di fertilizzanti artificiali), è stata messa in moto una produzione apparentemente inesauribile di fertilizzanti, con la quale può essere evitato fin d'ora un esaurimento del suolo a lungo termine. Perciò, il termine "sovra-fertilizzazione" fa carriera e la produzione di fertilizzanti costituisce di gran lunga gran parte del fabbisogno di energia in agricoltura, cosa che ha fatto magicamente aumentare le emissioni di CO2 dell'industria agricola. Quindi, la crisi del suolo sarebbe stata rimandata.
[*19] - Claus-Peter Ortlieb: Uma contradição entre matéria e forma, in: EXIT! nº 6, 2009. pp. 23-54; Postone: Zeit, Arbeit und gesellschaftliche Herrschaft [Tempo, lavoro e dominio sociale] (nota n° 4).
[*20] - Karl Marx, Friedrich Engels: Manifesto del Partito Comunista.
[*21] - Marx, Engels: L'Ideologia Tedesca.
[*22] - Si veda: Karl Marx: Caderno de excertos 1865/66. In: IISG, Espólio de Marx-Engels, Sign. B 98. p. 344: "A máquina ceifeira substitui o trabalho de 30 jornaleiros".
[*23] - «Nella sfera dell'agricoltura, la grande industria agisce in maniera più rivoluzionaria nella misura in cui annichila il baluardo della vecchia società, il "contadino", sostituendolo col lavoratore salariato. Il bisogno di rivoluzionamento sociale e le antitesi della campagna vengono, quindi, conformate a quelle della città. Al posto della produzione più ordinaria ed irrazionale, nasce l'applicazione cosciente e tecnologica della scienza. La rottura del legame familiare originale dell'agricoltura e della manifattura, che implicava la configurazione infantilmente non sviluppata di entrambe, viene completata dal modo di produzione capitalista. Ma essa allo stesso tempo crea i presupposti materiali di una sintesi nuova, più elevata, di un'unione fra agricoltura ed industria sulla base delle configurazioni antiteticamente elaborate» (Marx, Il Capitale, Libro I).
[*24] - «Con la preponderanza sempre crescente della popolazione urbana, che si accumula nei grandi centri, la produzione capitalista, da un lato, accumula la forza motrice storica della società, ma, dall'altro, perturba il metabolismo fra l'uomo e la terra, vale a dire, il ritorno alla terra delle componenti della terra consumate dall'uomo sotto forma di alimenti e vestiario, ossia, l'eterna condizione naturale della fertilità permanente del suolo. Insieme a questo, essa distrugge simultaneamente la salute fisica dei lavoratori urbani e la vita spirituale dei lavoratori rurali» (ivi)
[*25] - Ivi. p.419.
[*26] - Marx, Il Capitale, Libro 1.
fonte: EXIT!