Come uccidere uno zombi: una strategia per la fine del neoliberismo
- di Mark Fisher -
Perché - cinque anni dopo che la più grande crisi del capitalismo ha screditato il neoliberismo - la sinistra ha fatto così pochi progressi? A partire dal 2008, il neoliberismo avrebbe potuto essere privato di quel ritmo febbrile che per forza d'inerzia lo spingeva in avanti, ma invece non si trova affatto vicino al collasso. Oggi, il neoliberismo cammina trascinando i piedi, come fosse uno zombi - ma come ben sanno i fan dei film di zombi, qualche volta è più difficile uccidere uno zombi che una persona vivente.
Durante la conferenza di York, è stata citata più volte la famigerata osservazione di Milton Friedman: «Solo una crisi - reale o percepita - produce un cambiamento reale. Quando tale crisi avviene, le azioni che vengono intraprese dipendono dalle idee che si trovano in giro. Credo sia questa la nostra funzione di base: sviluppare alternative alle politiche esistenti, e quindi mantenerle vive e disponibili fino a quando il politicamente impossibile non diventi politicamente inevitabile.» Il problema sta nel fatto che, sebbene la crisi del 2008 sia stata causata dalle politiche neoliberiste, sono quelle stesse politiche ad essere praticamente le uniche "ad essere in giro". Di conseguenza, il neoliberismo rimane ancora politicamente inevitabile!
Non è affatto chiaro il motivo per cui il pubblico abbia abbracciato le dottrine neoliberiste con così tanto entusiasmo - ma fatto sta che le persone si sono fatte persuase dell'idea che non ci sia alcuna alternativa al neoliberismo. L'accettazione (tipicamente riluttante) di questo stato di cose, è il segno distintivo del realismo capitalista. Può darsi che il neoliberismo non sia riuscito a rendersi più attraente degli altri sistemi, ma fatto sta che è riuscito a vendersi come l'unico modo di governance "realistica". In questo senso, il "realismo" è una conquista politica, ed il neoliberismo é riuscito ad imporre un modello di realtà modellato su pratiche e presupposti che provengono dal mondo degli affari.
Il neoliberismo ha rafforzato il discredito del socialismo di Stato, stabilendo una visione della storia nella quale rivendica il futuro e ha consegnato la sinistra all'obsolescenza. Ha indirizzato il malcontento verso una sinistra centralizzata burocratica, ed ha avuto successo nell'assorbire e metabolizzare i desideri di libertà e di autonomia che erano emersi sulla scia degli anni '60. Ma - ed è questo il punto cruciale - ciò non vuol dire che quei desideri portassero inevitabilmente e necessariamente all'ascesa del neoliberismo. Piuttosto, il successo del neoliberismo può essere visto come un sintomo del fallimento della sinistra nel saper rispondere in maniera adeguata a questi nuovi desideri. Come avevano profeticamente sostenuto Stuart Hall e gli altri coinvolti nel progetto degli anni '80 "New Time", questo fallimento si sarebbe dimostrato catastrofico per la sinistra.
Il realismo capitalista può essere descritto come la fede nel fatto che non ci sia alcuna alternativa al capitalismo. Tuttavia, di solito non si manifesta attraverso grandi dichiarazioni sull'economia politica, ma per mezzo di comportamenti ed aspettative più banali, come ad esempio la stanca accettazione che gli stipendi e le condizioni di vita continueranno a ristagnare o a peggiorare.
Il realismo capitalista ci è stato venduto da dei manager (molti dei quali si considerano di sinistra) che ci vengono a raccontare che ora le cose sono diverse. L'epoca della classe lavoratrice organizzata è finita; il potere sindacale regredisce; ora, a dominare solo le imprese, e dobbiamo stare al passo. Il lavoro di autodisciplina che viene richiesta regolarmente ai lavoratori - tutte quelle auto-valutazioni, rapporti sulle proprie performance, diari di bordo - sono qualcosa per cui - siamo stati persuasi - si tratta solo di un piccolo prezzo da pagare per poter mantenere il nostro lavoro.
Prendiamo il Research Excellence Framework (REF) - un sistema per valutare la produzione scientifica degli accademici nel Regno Unito. Questo massiccio sistema di controllo burocratico viene ampiamente vilipeso da coloro che si trovano assoggettati ad esso, ma non esiste nessuna opposizione ad esso. Questa duplice situazione - nella quale c'è qualcosa che viene detestato, ma allo stesso tempo viene rispettato - è tipica del realismo capitalista, ed è particolarmente intensa nel mondo accademico, una delle presunte roccaforti della sinistra.
Il realismo capitalista è un'espressione della decomposizione di classe, ed è una conseguenza della disintegrazione della coscienza di classe. Fondamentalmente, il neoliberismo dev'essere visto come un progetto che mirava proprio a raggiungere un tale fine. Principalmente, almeno in pratica, non era rivolto a liberare il mercato dal controllo statale. Piuttosto, si trattava di subordinare lo Stato al potere del capitale. Come ha sostenuto instancabilmente David Harvey, il neoliberismo era un progetto che mirava a riaffermare il potere della classe.
Nel mentre che venivano sconfitte o sottomesse le fonti tradizionali del potere della classe operaia, le dottrine neoliberiste funzionavano come se fossero armi in una guerra che veniva sempre più combattuta da una parte sola. Concetti come il "mercato" e la "concorrenza" hanno funzionato non in quanto fini reali della politica neoliberista, ma come se essi fossero miti guida ed alibi ideologici. Il capitale non ha alcun interesse per la salute dei mercati, o per la concorrenza. Come ha sostenuto Manuel DeLanda, sulla scia di Fernand Braudel, il capitalismo - con la sua tendenza al monopolio e all'oligopolio - può essere definito in maniera più accurata come un anti-mercato piuttosto che come un sistema che promuove mercati fiorenti.
Nel suo libro "The Falling Rate of Learning and the Neoliberal Endgame", David Blacker osserva con mordacia che le virtù della "concorrenza" vengono «riservate convenientemente solo alle masse. La concorrenza ed il rischio riguarda solo le piccole imprese e le altre piccole persone, come i dipendenti del settore pubblico e di quello privato.» Il richiamo alla concorrenza ha funzionato come un'arma ideologica: il suo vero obiettivo è la distruzione della solidarietà, e, come tale, ha avuto un notevole successo.
La concorrenza nell'educazione (sia fra le istituzioni che fra gli individui) non è qualcosa che emerge spontaneamente, una volta che è stata rimossa la regolamentazione statale: al contrario, si tratta di qualcosa che viene prodotta attivamente da dei nuovi tipi di controllo statale. Il REF ed il regime di ispezioni scolastiche supervisionato nel Regno Unito da OFSTED, sono entrambi dei classici esempli di questa sindrome.
Dal momento che non esiste alcun modo automatico per "mercatizzare" l'educazione ed altri servizi pubblici, e non esiste alcun modo chiaro e lineare di quantificare la "produttività" di lavoratori come gli insegnanti, l'imposizione della disciplina commerciale ha significato l'installazione di colossali macchinari burocratici. Così, un'ideologia che aveva promesso di liberarci dalla burocrazia socialista di stato, ha invece imposto una burocrazia tutta sua.
Questo potrebbe sembrare solo un paradosso se prendiamo in parola il neoliberismo - ma il neoliberismo non è il liberismo classico. Esso non riguarda il lassez faire. Come ha sostenuto Jeremy Gilbert, sviluppando le preveggenti analisi del neoliberismo di Foucault, il progetto neoliberista riguardava sempre la vigilanza poliziesca di un certo modello di individualismo; i lavoratori devono essere continuamente sorvegliati per paura che possano scivolare nella collettività.
Se ci rifiutiamo di accettare i fondamenti logici e razionali del neoliberismo - quei sistemi di controllo introdotti dalle imprese che miravano a migliorare l'efficienza dei lavoratori - allora diventa chiaro che l'ansia prodotta dal REF e da altri meccanismi manageriali non è un qualche effetto collaterale di questi sistemi, ma si tratta del loro scopo reale.
E se il neoliberismo non collassa di sua iniziativa, da sé solo, cosa possiamo fare per affrettarne la fine?
- Mark Fisher - Pubblicato il 18/7/2013 su OpenDemocracy -
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