domenica 24 giugno 2018

Esaurimento

antropocene

Antropocene? Piuttosto, direi Capitalocene!
- Intervista a Jason W. Moore - 14/06/2018 -

Nella discussione sulla crisi ecologica globale, si parla sempre più di Antropocene - termine derivante dalla combinazione delle parole greche "anthropos" (umano) e "kainos" (nuovo). Questo concetto fa riferimento alla scala globale dell'impatto che ha l'attività umana sulla composizione ed il funzionamento del "sistema del pianeta Terra". Nella sua versione più comune, l'idea dell'Antropocene si basa principalmente su considerazioni ecologiche. Sottolineando in particolare l'estinzione accelerato di un grande numero di specie, la riduzione progressiva della disponibilità di combustibili fossili e l'aumento delle emissioni di gas serra, inclusi anidride carbonica e metano. Sebbene, su scala geologica, si tratti di un fenomeno assai recente, è già stato dimostrato che l'attività antropica (vale a dire, di origine umana) è la causa diretta di questi fenomeni ed ha influito profondamente nelle trasformazioni dell'ambiente su scala globale. La prospettiva di una "ecologia-mondo", sviluppata da Jason W. Moore, non affronta in alcun modo questo quadro da un punto di vista descrittivo; tuttavia, cattura alcuni degli altri aspetti, supportati fra l'altro da alcuni dati indiscutibili. Il sociologo nordamericano critica la narrazione "antropocenica", in quanto essa si concentra solo sugli effetti di degrado ecologico. In questo modo, in realtà stiamo trascurando l'analisi delle cause di un tale degrado, cosa che rende ancora più difficile identificare i responsabili della crisi ecologica e cercare soluzioni politiche al problema. Al contrario, dobbiamo andare alla radice della questione, riconoscendo che il capitalismo, sebbene non abbia delle norme che lo facciano essere un sistema rispetto dell'ambiente, è di per sé, inevitabilmente, un sistema ecologico. Visto in un simile contesto, l'impulso all'insostenibilità ambientale da parte del capitalismo, può essere visto come qualcosa di inerente all'organizzazione del lavoro che mira all'accumulazione illimitata. Ed è grazie a questo tempestivo aggiornamento di quello che è un concetto contemporaneo, che l'armamentario teorico sta dimostrando la sua continua adeguatezza, segnalando che è la coazione forzata del lavoro (sia umano che non umano), subordinato all'imperativo del profitto a qualsiasi costo - e pertanto all'imperativo dell'accumulazione illimitata - che sta provocando la rottura dell'equilibrio dell'ecosistema. Quindi, non parliamo di Antropocene, ma piuttosto di "Capitalocene".

Incontriamo Moore a Ragusa [Sicilia], dove Salvo Torre, professore dell'Università di Catania, ha organizzato un seminario intensivo sulla "ecologia-mondo" e l'attuale crisi globale, previsto prima del congresso di Napoli del 9 giugno, dal titolo "Ecologia politica del presente", cui parteciperanno anche altri specialisti accademici implicati nella ricerca di questioni legate all'ecologia politica e conflitti socio-economici. Dialogano con Moore, Gennaro Avallone [Università di Salerno] e Emanuele Leonardi [Università di Coimbra].

Domanda: Secondo la sua prospettiva, il lavoro e la natura sono due facce della stessa medaglia, soprattutto se consideriamo la necessità capitalistica di produrre grandi quantità di merci ad un costo sempre più inferiore. Dunque, come si costituisce la relazione fra natura a basso costo e lavoro a basso costo?

Moore: «Il mio punto di partenza è la consapevolezza del fatto che il capitalismo non è solo una pratica di sfruttamento economico del lavoro, ma è anche - e più fondamentalmente - una forma storica di dominio che si estende al lavoro domestico, al lavoro servile ed al lavoro che implica la natura. In questo senso, il capitale ha sempre bisogno di produrre natura a buon mercato, al fine di rilanciare continuamente il processo di accumulazione. Questa parola, "a buon mercato", non si riferisce solamente al suo basso costo. Dev'essere intesa piuttosto come una strategia globale, onnicomprensiva, in cui la riduzione del prezzo è subordinata ad un deterioramento più generale, nei termini di "minor" dignità e rispetto, assegnati ai soggetti dominati: le donne, le popolazioni colonizzate e l'ambiente. Secondo questo punto di vista, il lavoro a buon mercato è l'unico elemento di una natura che viene ad essere sottomessa alla violenza del capitale, e la cosa andrebbe pensata sia nei termini di una dinamica economica volta a ridurre i costi salariali - vale a dire, il costo, così come il valore, della manodopera - sia nei termini di un progetto di espansione del lavoro non pagato, il quale, anche se è diventato invisibile, si verifica sul terreno della riproduzione umana.»

Domanda: Nel suo libro, sostiene che nell'attuale situazione economica, il capitalismo ha esaurito la sua capacità stessa di produrre natura a buon mercato. Da dove le proviene questa convinzione?

Moore: «Ogni ciclo di accumulazione di ricchezza, ha richiesto almeno quattro elementi a buon mercato. Questi cosiddetti "i quattro a buon mercato", che si riducono ad essere i beni necessari all'accumulazione di ricchezza, sono stati la manodopera, gli alimenti, l'energia e le materie prime. Ciascuna delle grandi ondate di accumulazione di ricchezza su scala globale, si è sviluppata basandosi su ampie ricostruzioni della "ecologia-mondo", che si sono concentrate sulle rivoluzioni agricole. Il momento attuale, è l'ultimo di una lunga storia di limitazioni e di crisi che il capitale ha dovuto affrontare. Tuttavia, credo che oggi le condizioni che possano riprodurre questo genere di processo non siano più presenti, innanzi tutto a causa del cambiamento climatico, che produce l'effetto di aumentare i costi e ridurre la disponibilità di ciascuno di questi elementi. La natura ci sta presentando il conto, ed esige il pagamento di tutto quello che abbiamo estratto da essa nel corso dei secoli.
Un chiaro esempio recente di questo, è costituito dal costo sempre più elevato dell'agricoltura, sia in termini di energia che in termini di biologia. Il consumo di riserve su scala planetaria è talmente elevato che, per il 2050, le colture piantate produrranno considerevolmente al di sotto di qualsiasi probabile aspettativa del mercato alimentare globale.
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Domanda: Il suo campo di ricerca ha un'esplicita dimensione militante. Quali sono gli strumenti principali di mobilitazione offerti da questa prospettiva della "ecologia-mondo"?

Moore: «La mia speranza è che questa ricerca teorica possa fornire conoscenze che siano utili per i movimenti sociali di tutto il mondo che lottano non solo contro gli effetti, ma anche contro le cause profonde dei cambiamenti climatici. Naomi Klein ha fatto ricorso ad un termine molto appropriato, "Blockadia", per fare riferimento a questa zona di conflitto transnazionale ed itinerante, la quale include e collega le comuni lotte sindacali, i movimenti ecologici per la giustizia climatica ed i movimenti popolari di straordinaria potenza, come "Black Lives Matter", come "Idle No More", e come "Standing Rock". Credi che sia arrivato il momento di porsi la domanda su come possiamo costruire una contro-egemonia post-capitalista, che possa contrastare in maniera efficace le disastrose politiche ambientali imposte dal neoliberismo.
Nel libro che ho scritto insieme a Raj Patel, Una Storia del mondo a buon mercato" (Feltrinelli), cerchiamo di dare alcune indicazioni per poter arrivare a questo obiettivo, parlando dell'ecologia dei risarcimenti, che include compensazioni monetarie per il debito ecologico, ma che, naturalmente, non si riducono a questo. Soprattutto, identifichiamo forme diverse di redistribuzione della ricchezza - sia sociale che ambientale - ugualmente indispensabili, così come la reinvenzione del lavoro al di là della sua forma salariata.
Dopo tutto, chi ha detto che il lavoro dev'essere solo un lavoro quotidiano, e non una forma allegra di condivisione? A questo punto, è importante essere chiari: la rivoluzione ecologica è assolutamente incompatibile con la cosiddetta "etica del lavoro", la quale non è altro che una dolorosa eredità del colonialismo.
Detto in sintesi, non sosteniamo che si richiede duro lavoro, e sforzo, per produrre tutto quello che è necessario per il benessere sociale, ma chiediamo che il lavoro venga svolto, per quanto possibile, con maggior senso e gradevolezza. Soprattutto, abbiamo la speranza che le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici possono cambiare radicalmente l'attuale relazione perversa fra lavoro, vita e gioco, e che il capitalismo sta imponendo in maniera violenta.
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fonte: Il manifesto global, 10 giugno 2018

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