L’uomo è la più tronfia, superba e tracotante delle creature. La necessità di soddisfare i suoi bisogni e la sete di conoscenza lo hanno indotto a esplorare, sperimentare, a spostare il limite sempre un po’ più in là. All’inizio è stata una questione di sopravvivenza, poi è diventato un meccanismo talmente abituale da risultare connaturato, a tratti perverso: competere con gli dèi, sottomettere gli animali, dominare la natura, sconfiggere la morte. Questa è la hybris, il tragico errore di Icaro. Per Carlo Bordoni è alla hybris che va ricondotta la crisi del nostro tempo. Oggi i valori di democrazia, libertà, uguaglianza e progresso appaiono scarnificati, scoloriti e intermittenti, fragili origami privi di autorevolezza e sacrificati al dio dell’eccesso; oggi si profetizza un nuovo declino dell’Occidente. Perché il colmo della tracotanza consiste nell’ignorare deliberatamente il futuro, nel vivere in un eterno presente dominato dalla voracità del benessere e da un’inquietante forma di indifferenza. Ma, paradossalmente, è proprio grazie alla hybris che possiamo riscattare il presente e nutrire speranze per il futuro: avere la spinta a superare i limiti significa saper deviare dal percorso già tracciato, compiere uno scarto e magari trovare una nuova via. Significa riappropriarsi del potere di determinare il futuro, a dispetto di qualsiasi opprimente organismo sovranazionale o orwelliano dispositivo di controllo. Essere disobbedienti significa essere creativi. Essere Icaro significa volare alto, quasi fino al sole.
(dal risvolto di copertina di: Carlo Bordoni, "Il paradosso di Icaro. Ovvero la necessità della disobbedienza", Il Saggiatore)
Senza tracotanza saremmo perduti
- La voglia di osare ci rende umani -
di Gianluca Mercuri
E se in quest'epoca liquida e incerta a salvarci fosse la hybris? Se a soccorrerci fosse la «tracotanza» che abbiamo visto punire nelle tragedie greche e che invece è il motore della storia, la più creativa delle risorse umane, l'unica spinta che ci può restituire speranza e capacità di ribellarci ai guasti del presente? Insomma: l'unica possibile fonte di futuro.
È il filo che Carlo Bordoni lancia nel nostro labirinto quotidiano con "Il paradosso di Icaro. Ovvero la necessità della disobbedienza" (Il Saggiatore), il saggio con cui il sociologo prosegue l'analisi della crisi della modernità avviata nel solco di Zygmunt Bauman. Delle cinque figure mitiche tratte dalla cultura greca su cui si struttura il libro, la hybris è senz'altro la più avvincente, per come Bordoni riesce a svelarne il lato benefico e «progressista», la sua necessità ciclica nel sovvertire l'ordine quando l'ordine si fa oppressione.
«La storia dell'uomo è la storia di una hybris sconfinata», dalla lotta dei primitivi per la sopravvivenza alle ambizioni sempre più smisurate dei loro discendenti: non ci sarebbe conquista, invenzione o scoperta senza quella disposizione a osare, infrangere, superare. Non è la hybris l'origine dell'ingiustizia ma il suo figlio degenere, il kòros, l'«eccesso», la «sazietà insaziabile»che schiaccia gli «inferiori» e porta sfruttamento, dominio e disuguaglianza.
Ecco, è l'uguaglianza il filo conduttore di Bordoni. Se nell'età greca classica la hybris era uno strumento di controllo sociale - punita dagli dei se commessa tra aristocratici, ma consentita nei confronti delle classi subalterne - nell'età moderna diventa la via dell'ascesa borghese. È il trionfo della modernità, con la nascita dello Stato, la più solida istituzione mai sperimentata. La hybris del borghese è ribellione al limite di ogni campo. La sua arroganza cerca l'eccellenza e sovverte l'ordine. Ma l'ordine borghese rivela a sua volta il suo aspetto sopraffattore e la hybris rivoluzionaria lo minaccia fino a costringerlo a una promessa di uguaglianza. Che però è affetta da un'«insanabile ambiguità»: formalmente indiscutibile, non si afferma nella realtà effettuale.
Il filo di Bordoni ci porta così ai giorni nostri, alla società resa liquida dall'incertezza, dall'indebolimento delle istituzioni: lo Stato su tutte. La crisi del 2008, spiega il sociologo, ha ingannato tutti, a cominciare da chi a sinistra vi ha visto l'ennesimo preteso suicidio del capitalismo e non la sua astuzia storica, la sua capacità di reinventarsi falciando costi e risorse senza più investire. Al kòros delle élite non risponde però una hybris feconda: rischiano di trionfare le retrotopie (ennesima intuizione baumaniana), le utopie passatiste spacciate come il biglietto di ritorno a improbabili età dell'oro (o della lira).
Ci troviamo così in un «interregno» refrattario al futuro o in cui, per dirla meravigliosamente con Paul Valéry, «il futuro non è più quello di una volta». Non è più legato all'idea di progresso, di un domani migliore. È annullato dalla frenesia, dalla «resa della speranza», dall'incapacità di aspettare, dunque di lottare. Ma la speranza resta sempre lì, in fondo al vaso di Pandora. E l'esempio resta Prometeo, vero protagonista di questo libro, benefattore dell'umanità col suo atto di hybris e ribelle di successo che non vede la sua sfida squagliarsi al sole (anche per questo, forse, il titolo lo avrebbe meritato lui).
"Il paradosso di Icaro" è un'appassionante storia del pensiero e dell'agire umani che, nell'affrontare la crisi della modernità, ci parla delle nostre vite. Ci spiega perché ogni giornata che affrontiamo è una lotta tra limiti e possibilità, con noi al centro del campo di battaglia e capaci di tutto. Crederlo è già hybris. Ma una hybris necessaria, che ci strappa a ogni forma di rassegnazione.
- Gianluca Mercuri – Pubblicato sul Corriere dell’8 giugno 2018 -
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