Prefazione a "L'onore perduto del lavoro" di Robert Kurz
- di Bruno Lamas -
«"Chi non lavora non mangia" - è questo il comandamento pratico del socialismo» [*1], ha scritto Lenin. «Nella civiltà non c'è spazio per i pigri» [*2], ha scritto Henry Ford. Non è difficile capire come in realtà queste affermazioni siano vere e proprie minacce di morte. A queste frasi, ne potremmo aggiungere innumerevoli altre, altrettanto o più sinistre, pronunciate da personaggi importanti del secolo scorso, che evidenziano in maniera inequivocabile come l'ex blocco dell'Est e le società capitaliste occidentali, nonostante tutte le differenze, di maggior o minore entità, in realtà erano solamente due varianti di un'unica complessiva forma sociale fondamentale che, sebbene in stato di decomposizione, è anche ancora la nostra: la «Società del Lavoro».
L'espressione venne coniata da Hanna Arendt - erano ancora gli anni '50 - ma nonostante il suo potenziale radicale, che permetteva che si potesse guardare a quelle che erano le forme comuni al capitalismo ed al socialismo reale, la concezione ad essa soggiacente ebbe ben poca eco nella teoria critica sociale ancora per molto tempo. Ma, agli inizi degli anni '80, cominciava a delinearsi una nuova situazione storica. Nei paesi occidentali più avanzati, la terza rivoluzione industriale della microelettronica stava già facendo degli importanti passi in avanti, e cominciavano ad emergere segni di una disoccupazione strutturale. Nella Germania Occidentale, il nuovo contesto aveva stimolato la nascita di un dibattito relativamente allargato sulla cosiddetta «crisi della società del lavoro» (Krise der Arbeitgesellschaft). Era già il titolo stesso del dibattito, ad essere indicativo di una vaga percezione di una profonda trasformazione strutturale, ma l'incapacità di saper riflettere sui nuovi problemi a partire da una reale comprensione della traiettoria storica del capitalismo, finì per ridurre il dibattito ai suoi aspetti politici, sociologici e culturali della «società post-industriale» e al declino del movimento operaio in quanto soggetto storico, associato alla fine del suo carattere omogeneo, classista e largamente sindacalizzato, ed alla concomitante e crescente eterogeneità ed individualizzazione sociale.
Fu nel contesto di queste trasformazioni sociali - di fronte all'esaurirsi dei vecchi paradigmi teorici ed alla crescente superficialità di quelli nuovi, mentre dappertutto il marxismo del movimento operaio si istituzionalizzava politicamente, o si integrava nell'ambito accademico, incantato dal nuovo filone postmoderno della svolta culturale - che Robert Kurz (1943-2012) cominciò a sottolineare la necessità urgente di tornare a ricorrere alle categorie fondamentali della critica dell'economia politica di Karl Marx (merce, valore, lavoro astratto, feticismo, ecc.), e di approfondirle radicalmente in funzione della nuova situazione storica. Il saggio, "L'onore perduto del lavoro" [*3], pubblicato nel 1991, e qui tradotto in portoghese, [che può essere letto qui, in italiano] è uno dei testi di questa prima fase della cosiddetta «critica del valore». Ed è importante capire un po' meglio il posto che esso occupa nella vasta opera di Robert Kurz.
La prima riflessione rilevante, ad essere stata realizzata in questo primo periodo, era un saggio che assai spesso è stato considerato come fondante della «critica del valore»: "La Crisi del Valore di Scambio" [*4]. In questo testo, Kurz esplorava le implicazioni che aveva una famosa constatazione che Marx aveva fatto nei Grundrisse: «Il capitale stesso è la contraddizione in processo, per il fatto che esso cerca di ridurre ad un minimo il tempo di lavoro, allo stesso tempo in cui, dall'altro lato, pone il tempo di lavoro come l'unica misura e unica fonte di ricchezza» [*5]. Marx mostrava qui come questa fosse una contraddizione insanabile del capitalismo, e che il risultato storicamente percepibile sarebbe stata la crescente contraddizione fra l'importanza della scienza e della conoscenza sociale generale applicate alla produzione materiale, ed una forma di ricchezza sociale astratta fondata sul lavoro. La tesi di Marx a proposito della «contraddizione in processo» implicava il riconoscimento delle tendenze immanenti del capitalismo ad andare verso il suo proprio collasso, e spinsero Kurz a sviluppare la tesi del «limite interno assoluto» della relazione di capitale. Secondo Kurz, la «contraddizione in processo» significa anche che, nel piano del capitale globale, vale a dire, nell'insieme della società intesa come un tutto, non solo l'introduzione crescente del macchinario implica una produzione sempre minore di plusvalore, per ogni lavoratore individuale, ma anche il fatto che questa perdita relativa può essere compensata solo per mezzo di un assorbimento sempre maggiore di un numero assoluto di lavoratori. Ma questo sistema di compensazione funziona solo in quanto lo sviluppo tecnologico crea più posti di lavoro di quanti ne sopprime. Perciò, «collasso» non significa che un bel giorno ci sveglieremo senza più capitalismo, ma significa piuttosto che si entrerà in un processo storico socialmente perturbato e senza ritorno, che possibilmente durerà vari decenni: «Per poter avere inizio, il collasso della relazione di valore non aspetta che avvenga l'eliminazione dell'ultimo lavoratore dalla produzione immediata, ma comincia piuttosto nel momento storico esatto nel quale comincia ad invertirsi la relazione generale fra l'eliminazione ed il riassorbimento del lavoro vivo produttivo immediato.» Ora, secondo Kurz, a partire dalla prima metà degli anni '70, la «forza produttiva scienza» e la «rivoluzione della microelettronica» avevano cominciato ad invertire la relazione compensatoria, e avevano provocato l'ingresso del capitalismo nella situazione potenzialmente esplosiva prevista da Marx. In questo senso, il collasso probabilmente era già cominciato.
Secondo Kurz, il marxismo del movimento operaio era rimasto incapace di cogliere la traiettoria storica globale implicata nella «contraddizione in processo», e di interpretare in maniera adeguata il corso degli eventi, poiché fin dall'inizio era limitato da una profonda incomprensione delle categorie marxiane del valore e del «lavoro astratto», in parte motivato da alcune ambiguità dello stesso Marx.
Era questo l'argomento principale del saggio del 1978, "Il Lavoro Astratto ed il Socialismo" [*6], nel quale Kurz approfondisce in maniera più estesa le categorie fondamentali della critica marxiana dell'economia politica. Marx è assolutamente chiaro riguardo la definizione di valore come «forma di ricchezza astratta» la cui «sostanza» è esclusivamente il «lavoro astratto», ossia, il puro ed indifferenziato «dispendio di cervello, nervi, muscoli», «dispendio di forza lavoro umana senza riguardo per la forma del suo dispendio». Per Kurz, tuttavia, in Marx rimane meno ovvio che il valore ed il «lavoro astratto» siano forme sociali storicamente specifiche del modo di produzione capitalistico, «astrazioni reali» della società moderna, e che solo in essa abbiano pienamente senso. [*7]
Entrambi questi testi di Kurz sembravano indicare con evidenza sempre maggiore che il capitalismo non poteva continuare ad essere criticato dal punto di vista del lavoro, ma che piuttosto doveva essere il lavoro a diventare l'oggetto stesso della critica; una posizione, questa, che ha ottenuto enorme visibilità con la pubblicazione, da parte del gruppo Krisis, nel 1999, del "Manifesto Contro il Lavoro" [*8], del quale Kurz è stato coautore. Ma il saggio "L'Onore Perduto del Lavoro" è, in un certo qual modo, la prima sistematizzazione di questa prospettiva che allora stava cominciando ad aprirsi.
Tratto per lo più da un testo redatto nell'autunno del 1989, quando decine di migliaia di tedeschi scappavano dal socialismo reale, innescando la caduta del Muro di Berlino, avvenuto a novembre, e la fine del blocco orientale, "L'Onore Perduto del Lavoro" sarebbe stato pubblicato nel 1991, nel numero 10 della rivista Krisis. Come rivela l'autore stesso, nell'osservazione preliminare, la pubblicazione del testo aveva lo scopo di promuovere l'approfondimento di un dibattito che fino ad allora era avvenuto in forma ristretta a partire dalla versione originale più lunga, e che pure in quelle circostanze meno pubbliche aveva provocato intense reazioni di sdegno e di condanna.
La questione centrale del saggio è «l'identità tra il concetto di lavoro in generale ed il lavoro astratto nella forma della merce». Secondo l'autore, solo il capitalismo ha prodotto una separazione reale fra il «lavoro» e gli altri momenti della riproduzione sociale, nel senso che, nell'unità organica della prassi nelle società antiche, non esisteva ancora il «lavoro» come sfera separata e autonoma. In tale separazione, il «lavoro» si stabilisce come fine in sé, come «lavoro astratto», «lavoro» vivo che è il solo che produce più «lavoro» sotto le forme morte e feticistiche del valore e del denaro, e che implica così un'indifferenza del soggetto rispetto alla sua attività ed al mondo sensibile che, in fin dei conti, conduce alla sua distruzione.
Di fronte a questa dinamica storica folle e feticista del «lavoro astratto», le idee del giovane Marx a proposito dell'«abolizione» e del «superamento»del «lavoro», che il marxismo tradizionale ha sempre cercato di dimenticare, perdono la parvenza di mere farneticazioni giovanili e assumono l'evidenza di una maturità teorica precoce e sorprendente.
Kurz sviluppa i suoi principali argomenti teorici allo stesso tempo in cui illustra le varie inadeguatezze ed i contenuti ideologici di un marxismo ridotto a critica superficiale della distribuzione di «plusvalore» (pensato come se non avesse relazione alcuna con il «lavoro astratto») e della «proprietà privata» dei mezzi di produzione. Una parte significativa del saggio è dedicata anche per questo alla discussione della categoria dello «scambio» e della sua relazione con il «lavoro astratto». A proposito dello «scambio pianificato» del socialismo reale, Kurz ricorda l'esplicita argomentazione di Marx, elusa dal marxismo tradizionale, secondo la quale una società socialista implicava l'abolizione immediata dello «scambio», e mostra come questa conclusione sia una conseguenza logica del superamento del capitalismo e del «lavoro».
Le principali idee de "L'Onore Perduto del Lavoro" hanno costituito in un certo qual modo un'importante base teorica per il primo libro di Robert Kurz, "Il Collasso della Modernizzazione. Dal crollo del socialismo da caserma alla crisi dell'economia mondiale" [*9] (1991), un'opera che gli diede immediatamente una certa notorietà fuori della Germania, vale a dire in Brasile, e che scatenò dappertutto un insieme di intense polemiche. Attraverso un approccio che era simultaneamente teorico ed empirico, Kurz tentava di mostrare, in primo luogo, come il capitalismo occidentale ed il socialismo reale costituivano solamente due varianti del «moderno sistema produttore di merci», in cui il secondo si distingueva come una dittatura di «modernizzazione ritardata», che aveva la missione storica di impiantare nell'Est le categorie fondamentali del capitalismo, e che «non solo aveva adottato il principio del lavoro astratto, ma lo aveva anche portato fino alle sue estreme conseguenze» [*10]. In secondo luogo, mentre gli ideologhi del capitalismo democratico occidentale festeggiavano la «fine della storia» con una vittoria che in realtà li aveva colti di sorpresa, e i vecchi critici marxisti vedevano collassare il socialismo reale, e insieme ad esso tutto il suo sistema di riferimento concettuale, Robert Kurz, coerente con le idee dei suoi scritti precedenti, difendeva la tesi inaspettata di un principio della fine di un «sistema globale produttore di merci».
Continua a sorprendere il fatto che già ne "L'Onore Perduto del Lavoro" Kurx accenni di passaggio. o tracci brevemente, alcune delle tesi che poi esplorerà in profondità nei decenni successivi, e che finiranno per assegnargli un'importante posizione nell'attuale panorama internazionale della critica del capitalismo. Innanzitutto, la questione del «duplice Marx», il quale è diventato uno dei principi essenziali della «critica del valore». Anche se non veniva svolto con la formulazione con la quale è diventato noto («Marx esoterico» e «Marx essoterico»), Kurz sottolineava, in una nota, l'esistenza di un «duplice carattere della teoria di Marx»: da una parte, una teoria «critica dell'economia politica»; dall'altra. una «teoria leggittimatrice del movimento operaio». In secondo luogo, la critica del soggetto, vale a dire, intendendo qui la soggettività vista come forma sociale storicamente specifica della società della merce, con i suoi «interessi» individuali socialmente costituiti, e in opposizione alla società e al mondo naturale (sotto questo aspetto, ancora non viene fatto riferimento al carattere strutturalmente «maschile, bianco e occidentale» del soggetto, che Kurz svilupperà più tardi). In terzo luogo, la critica dell'Illuminismo, visto non come mero pensiero filosofico del XVIII secolo, ma come espressione ideologica e leggittimatrice delle categorie della socializzazione negativa del capitalismo e, in questo senso, come prassi concreta e viva nella società contemporanea. In quarto luogo, la critica del denaro, in quanto sviluppo indispensabile della critica marxiana del denaro, visto come «merce a parte» ed in opposizione diretta e frontale rispetto alle critiche ideologiche piccolo-borghesi. E, infine, la questione della «crisi ecologica», che qui viene già pensata in connessione con la «crisi della società del lavoro» e con l'indifferenza distruttiva del feticcio del «lavoro astratto».
È naturale che in un «testo di auto-comprensione che si avventura su un terreno non riconosciuto» persistano alcune ambiguità e alcuni aspetti meno consistenti, problemi che noi, oggi - quasi trent'anni dopo e arricchiti dalle stesse riflessioni successive di Kurz - abbiamo assai meno difficoltà ad identificare. Ad essere decisiva, è la questione della storicità delle categorie stesse, che Kurz non ha mai mancato di evidenziare e approfondire (in particolare, nel suo ultimo libro, "Denaro senza valore" [*11], del 2012. Ora, ne "L'Onore Perduto del Lavoro" si possono ancora notare, ad ogni passo, i resti della filosofia della storia del materialismo marxista, la quale è anche l'erede più conseguente della metafisica storica borghese hegeliana, soprattutto per quel che riguarda l'utilizzo in modo storicamente dilatato del concetto di «forma embrionale» e dei suoi derivati, vale a dire, presupponendo già nelle società premoderne l'esistenza «semplice» oppure «ancora non sviluppatisi» delle forme e delle categorie capitalistiche (valore, merce, lavoro, denaro, valore d'uso).
Questo genere di influenza è più evidente nel trattamento ancora più ambiguo dell'astrazione stessa del «lavoro», che Kurz, in maniera significativa, spesso utilizza ponendola fra virgolette. Mentre, lo status eterno ed ontologico del lavoro viene respinto e criticato fin dall'inizio, dall'altro lato, la categoria continua ad apparire come qualcosa di storicamente globale, che può essere applicato, con diversi gradi di validità, alle società pre-capitaliste e capitaliste. Viene presunto che la differenza dovrebbe consistere nel fatto che, nelle prime, il «lavoro» in quanto sfera separata non esisteva ancora, come «lavoro astratto», una condizione questa che si sarebbe manifestata solo nelle moderne società capitaliste. In questo modo, anche il «lavoro astratto» finisce per venire associato in maniera problematica ai momenti positivi della «necessità» storica, l'esecutore di un «compito», in quanto «scala che porta ad uno stadio superiore della prassi della vita».
Ciò che Kurz, successivamente non mancherà di sottolineare, a partire da una comprensione dialettica della totalità sociale, è che se nelle società premoderne il «lavoro» non esiste in quanto «sfera separata», allora esso non esiste proprio del tutto, e si tratta solo di un uso anacronistico dell'astrazione «lavoro», volto a spiegare il passato attraverso un'errata retrospezione di quelle che sono forme moderne di comprensione, determinate esse stesse dalla «astrazione reale» specificamente moderna del «lavoro». Questa critica dell'utilizzo ingannevole dell'astrazione «lavoro», che considera in maniera riflessiva lo stesso posizionamento storico capitalista, ha cominciato ad essere chiarita nel saggio "Il Post-marxismo e il Feticcio del Lavoro" [*12] (1995) e ha ricevuto la sua formulazione teorica più chiara e conclusiva ne "La Sostanza del Capitale" [*13] (2004).
Tuttavia, questi saggi ora sono anche contrassegnati da uno sviluppo molto più riflesso del concetto marxiano di «feticcio», e fanno riferimento al fatto decisivo per cui gli esseri umani non dominano le relazioni sociali che loro stessi hanno creato, e che si riassume in maniera lapidaria nella frase: «Loro lo fanno, ma non lo sanno» (Marx). Quindi il carattere feticista consiste nel fatto che le relazioni sociali sarebbero mediate da ciò che Kurz chiama «matrici sociali aprioristiche», vale a dire, forme di coscienza sociale costituite inconsciamente, per mezzo delle quali vengono determinate le relazioni di potere di dominio empirico. A partire da questo elevato piano di astrazione storicamente complessivo, Kurz porta avanti la tesi secondo la quale tutta la storia passata non è stata «storia della lotta di classe». ma piuttosto «storia delle relazioni feticistiche». Quest'argomento costituisce il nucleo della sua «teoria della storia negativa» ed elimina una volta per tutte i resti di qualsiasi filosofia della storia. A partire da questo punto di vista, non solo il «lavoro» viene esposto come se si trattasse di un feticcio specificamente moderno, ma si riconosce anche il fatto che l'umanità non ha alcuna ineludibile «necessità storica» di sottomettersi masochisticamente alle atrocità del capitalismo e può liberarsi dalle forme sociali feticistiche e prendere coscienza della propria socievolezza. In ogni caso, oggi è questa la sfida.
La «critica categoriale» del lavoro è perciò non solo una delle esigenze fondamentali della critica del capitalismo, ma una condizione di quella che è l'emancipazione dalle relazioni feticistiche, se non vogliamo finire immersi nella barbarie globale. Il fatto che oggi la coscienza sociale della sinistra sia ancora ben lontana dal rendersene conto, è stato dimostrato durante le recenti celebrazioni del centenario di una rivoluzione da lungo tempo sepolta. Le mort saisit le vif!
- Bruno Lamas - (Antígona, Fevereiro de 2018) -
NOTE:
[*1] - Vladimir Ilyich Lenin (scritto nel 1918), "Come organizzare l'emulazione?", Selected Works, volume 2, Lisbona, edizioni «Avante!», 1978, p. 446. Questa non è solamente un'affermazione isolata di Lenin. In realtà, il principio entrò addirittura a far parte, elevato ad Articolo, della costituzione sovietica, nel 1936 (cfr. Articolo 12°). Del resto, il principio di Marx, «Da ciascuno, secondo le sue possibilità; a ciascuno, secondo le sue necessità», ha dato anche origine a: «Da ciascuno, secondo le sue capacità; a ciascuno, secondo il suo lavoro».
[*2] - Henry Ford ed altri, The Expanded and Annotated My Life and Work, CRC Press, 2013, p. XLIII.
[*3] - Robert Kurz, Die verlorene Ehre der Arbeit. Produzentensozialismus als logische Unmöglichkeit [L'onore perduto del lavoro. Il socialismo dei produttori come impossibilità logica], Krisis, n.º 10, 1991.
[*4] - Robert Kurz, Die Krise des Tauschwerts. Produktivkraft Wissenschaft, produktive Arbeit und kapitalistische Reproduktion [La crisi del valore di scambio. Forza produttiva scienza, lavoro produttivo e riproduzione capitalista], Marxistische Kritik, n.º 1, 1986, p. 7-48.
[*5] - Karl Marx, Grundrisse. Manuscritos económicos de 1857-1858. Esboços da crítica da economia política, São Paulo, Boitempo Editorial e Editora UFRJ, 2011, pp. 588-9.
[*6] - Robert Kurz, Abstrakte Arbeit und Sozialismus. Zur Marx’schen Werttheorie und ihrer Geschichte. [ Lavoro astratto e socialismo. Sulla teoria del valore di Marx e la sua storia] Marxistische Kritik, n.º 4, 1987.
[*7] - Va tuttavia riconosciuto che l'indicazione della specificità storica delle categorie «valore» e «lavoro astratto» è stata anticipata di alcuni anni dal canadese Moishe Postone (in "Necessity, labour and time: a reinterpretation of the marxian critique of capitalism"; Social Research, n.º 45, 1978, pp. 739-788), a partire da un'attenta rilettura di Marx, in particolare dei Grundrisse. Il fatto che Kurz e Postone arrivino a conclusioni simili, pur senza conoscere vicendevolmente le loro opere, segnala anche questo il fatto che siamo entrati in una nuova fase del capitalismo, e segnala anche la bancarotta dei paradigmi teorici dominanti della critica sociale.
[*8] - Grupo Krisis, Manifesto Contra o Trabalho, Lisboa, Antígona, 2003 (edição original de 1999).
[*9] - Robert Kurz, O Colapso da Modernização. Da derrocada do socialismo de caserna à crise da economia mundial, Rio de Janeiro, Editora Paz e Terra, 1992.
[*10] - Non è un caso che il socialismo reale dell'Est si distingue come una realizzazione particolarmente violenta della «società del lavoro». Trascorsi pochi mesi dall'inizio della rivoluzione, Lenin guardava ad un orizzonte assolutamente cupo fatto di «disciplina del lavoro», difendendo un insieme di misure del tutto simili a quelle denunciate da Marx a proposito della cosiddetta «accumulazione originale» dell'avvio storico del capitalismo in Europa Occidentale. Fra le altre cose, suggerisce il carcere per i truffatori, i ricchi, gli oziosi e gli «operai che rifuggono dal lavoro», chiede la fornitura di "libretti gialli" per il controllo popolare e la "rapida correzione" per queste "persone dannose" e la «fucilazione immediata di uno su dieci di coloro che si sono resi colpevoli di parassitismo» Cfr. Lénine, op. cit., p. 447.
[*11] - Robert Kurz, Dinheiro sem Valor. Linhas gerais para uma transformação da crítica da economia política, Lisboa, Antígona, 2014.
[*12] - Robert Kurz, "Postmarxismus und Arbeitsfetisch. Zum historischen Widerspruch in der Marxschen Theorie" [Il Post-marxismo e il Feticcio del Lavoro. Sulla contraddizione storica nella teoria di Marx], Krisis, n.º 15, 1995.
[*13] - Robert Kurz, "Die Substanz des Kapitals. Abstrakte Arbeit als gesellschaftliche Realmetaphysik und die absolute innere Schranke der Verwertung. Erster Teil" [La Sostanza del Capitale. Il lavoro astratto come metafisica reale sociale e il limite interno assoluto della valorizzazione], Exit!, n.º 1, 2004.
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