sabato 17 gennaio 2015

Riflessi

riflessi

Dominio senza soggetto
- Sul superamento di una critica sociale riduttiva -
di Robert Kurz

9.
La forma universale della coscienza e delle sue categorie non va intesa in modo ontologico, ma semmai in maniera storico-genetica. Ad ogni grado di formazione corrisponde una specifica forma inconscia della coscienza con una "regolarità" e codici specifici. La (rispettiva) forma di coscienza costituisce una griglia universale di percezione, così come di relazioni sociali e relazioni tra i sessi; la percezione del mondo o la percezione della natura e la percezione delle relazioni sociali tra gli uomini vengono pertanto comprese nella stessa ed inconscia matrice formale, la quale è sempre allo stesso tempo sia forma universale del soggetto che forma universale di riproduzione della vita umana. Questa forma sorge inconsciamente nel processo storico con l'accumularsi degli effetti collaterali imprevisti e con la loro concentrazione - e questo fin da quando l'essere umano ha lasciato il regno animale.
Questo concetto può essere ampliato tanto "dall'alto" quanto "dal basso". Infatti, in primo luogo, per quanto riguarda questo concetto si possono avanzare le definizioni universali della "costituzione del feticcio in generale" valide per tutta la storia umana fino ad oggi, come è stato appena suggerito; la rottura si situerebbe prevalentemente nella transizione verso la cosiddetta cultura elevata, che potrebbe corrispondere, per esempio, alla separazione marxista fra società primitiva - o "comunismo primitivo" - ed inizio della società divisa in classi. Il problema di fondo allora non sarebbe più la questione sociologica ed utilitarista della "distribuzione diseguale dei proventi", ma la questione di come la costituzione sociale del feticcio si modifica in presenza di un plus-prodotto sociale (nuovi obiettivi feticistici, come per esempio la costruzione di piramidi, ossia, "esplosioni di sviluppo" guidate ciecamente). In secondo luogo, però, le rispettive costituzioni del feticcio devono poi essere rappresentate dentro i propri termini storici, cioè, nella loro storia di formazione e di ascesa, da un lato, e nella loro storia di declino e decomposizione, dall'altro.
Su tutti i piani, le definizioni - costituite dal feticcio - di "vero" e "falso", di "morale" e "immorale", di "giusto" ed "ingiusto", devono essere decifrate (ed anche relativizzate, è chiaro) nel loro rispettivo condizionamento. Questo vale anche per l'inconscio freudiano, ossia, per quelle "province" psichiche situate oltre la coscienza apparente dell'ego. Il problema formale, non tematizzato in maniera storico-sociale da Freud, si estende anche fino a tali "province" remote, cioè, fino alla matrice della rispettiva forma universale di riproduzione e coscienza, ivi incluso anche l'Id ed il Superego. La forma di coscienza della rispettiva costituzione del feticcio abbraccia tutti gli aspetti della vita umana. Abbiamo a che fare, perciò, con una struttura - o canalizzazione - sia  della riproduzione sociale (socio-economica) che delle relazioni sociali e sessuali, sia della coscienza dell'ego e della percezione esterna che degli strati della psiche profonda (Id) e del Superego. E dal momento che questo processo dura da almeno centomila anni, tutte le diverse formazioni storiche si sono sedimentate, "geologicamente", in un certo modo, ai diversi gradi della decomposizione e dell'assestamento. "Sopra" quello che è il substrato originale - biologico ed animalesco - giacciono gli innumerevoli strati delle costituzioni passate del feticcio su tutti i piani della vita sociale, dominati e determinati però dalla rispettiva costituzione più recente e più "valida" del feticcio.
La decifrazione della costituzione del feticcio in generale può essere effettuata, secondo l'espressione di Marx già accennata - che parla della ricostruzione dell'anatomia della scimmia in base a quella dell'uomo - a partire dalla sua forma più recente ed elevata; e cioè - come si è detto - la nostra, ossia, quella del sistema produttore di merci della modernità. Quello che Marx, seppure con l'inflessione sociologistica del suo stesso principio di conoscenza, disse delle "relazioni di classe" può essere ancora riferito alle relazioni di feticcio: solo che la modernità ha secolarizzato e semplificato tale relazioni fino al punto di renderle trasparenti e rivelarne così il principio soggiacente. A tutti i livelli della teoria sociale, della teoria della conoscenza, della teoria della coscienza, della teoria sessuale e della psicoterapia, ora si può intraprendere il viaggio di ritorno attraverso la storia umana delle formazioni, dal momento che ora appare possibile una nuova fase di storicizzazione; il presupposto pertanto è, senza dubbio, la conoscenza e la critica della nostra stessa formazione, la cui crisi costituisce il pretesto definitivo. Solamente su questo meta-piano si può realizzare l'unificazione fra prassi e storia.
Le conseguenze per quanto riguarda i concetti di dominio e di soggettività sono ora a portata di mano. L'uomo diventa soggetto nel processo della propria formazione nei confronti della prima natura; la forma del soggetto, tuttavia, in principio è debole ed embrionale, finché il soggetto, dopo una lunga e contraddittoria storia di sviluppo attraverso molte formazioni, si rivela in forma pura (davanti alla prima natura) nel sistema produttore di merci della modernità e dà voce così alla pretesa illuminista. Ma l'illuminismo, la scienza naturale e l'industrializzazione non sono altro che dei momenti della forma merce universale e della sua costituzione del feticcio, la quale comprende in sé tutta la storia dell'umanità fino ad oggi e - per la prima volta - la generalizza globalmente. Il soggetto della modernità, che ha superato in sé tutte le forma del soggetto fino ad allora, possiede talmente poca coscienza della sua propria forma quanto ne ha delle formazioni precedenti; esso rappresenta, per così dire, la forma più elevata dell'incoscienza della forma.
Con questo viene formulata la definizione universale: un soggetto è un attore cosciente che non ha coscienza della sua propria forma. Ora, è proprio questa incoscienza della forma che impone alle azioni coscienti, in  relazione alla prima natura e agli altri soggetti, un carattere oggettivo ed opaco: l'oggettivazione ottenuta attraverso la catena delle azioni passate è già presupposta ciecamente dal soggetto. La coscienza si restringe quindi ad un'azione isolata che - a differenza degli animali - non è guidata ciecamente dall'istinto, ma piuttosto "deve passare per la testa". D'altra parte, la coscienza non coglie il quadro delle azioni sociali ed universali, quadro che "sorge" storicamente e viene ciecamente presupposto. La coscienza è dunque una semplice coscienza interna ad una costituzione del feticcio che però - e questo segna la differenza decisiva con lo strutturalismo e con la teoria dei sistemi o con le concezioni riduttrici del problema del feticcio - non è qualcosa di esterno, ma è la forma della coscienza stessa.
Questo ha come conseguenza il miscelarsi, nelle azioni coscienti, di un fattore sconosciuto, un fattore che non accede alla coscienza. Questa estraneità a quello che gli è proprio appare di nuovo come estraneità al legame con la prima natura e con gli altri soggetti. D'altra parte, una tale estraneità - che è condizionata dall'incoscienza della forma - scinde in maniera necessariamente dicotomica l'insieme delle azioni e delle percezioni. Il soggetto - poiché non tiene coscienza della sua forma e quindi di sé stesso - deve sperimentare la natura e gli altri soggetti come mero mondo esterno. Il limite della coscienza attiva e percettiva non gli permette né di porsi su un meta-piano né di percepire sé stesso (il soggetto) nella sua relazione col mondo esterno e comprendere così, pertanto, tutto il complesso in cui il soggetto ed i suoi oggetti di azione e percezione si trovano rinchiusi. L'incoscienza della forma del soggetto - la quale costituisce una semplice dicotomia tra soggetto e mondo esterno - abbassa gli oggetti di azione e percezione (natura ed altri soggetti) a puri e semplici oggetti. Il dualismo soggetto-oggetto è il risultato del fatto per cui il meta-piano - a partire dal quale l'attore ed i suoi oggetti appaiono come un tutto comune - non è, per così dire, "occupato"; questo meta-piano assume quindi proprio la forma senza soggetto del soggetto *, con il che si produce quel dualismo apparentemente inevitabile ed insormontabile. Da qui si rende possibile una seconda definizione complementare del soggetto: un soggetto è un attore che deve abbassare i suoi oggetti (Gegenstände) a meri oggetti (Objekten) esterni. E' chiaro che anche una tale definizione dev'essere inquadrata storicamente, ossia, anche la dicotomia soggetto-oggetto deve svilupparsi a partire da rudimenti embrionali nel corso della lunga storia delle formazioni, fino a quando non incontra nel sistema produttore di merci della modernità la sua espressione più pura ed elevata.**
In realtà, questo problema della dicotomia soggetto-oggetto compare, in un certo modo, in Niklas Luhmann, seppur irrimediabilmente curvato da una franca affermatività. In un'intervista ad una rivista italiana, egli ebbe ad esprimersi in maniera chiaramente critica circa l'esteriorizzazione del soggetto in relazione ai suoi oggetti:
"Ritengo che questa figura di auto-referenza, ossia, l'inclusione dell'osservatore e degli strumenti di osservazione fra gli stessi oggetti di osservazione sia una qualità specifica delle teorie universali, non percepita dalla vecchia tradizione europea. Si tratta sempre, in ultima analisi, di una descrizione dal di fuori, ab extra, attraverso per esempio la mediazione di un soggetto. Quello che intendo dire è che la logica classica o l'ontologia classica suppongono sempre un osservatore esterno in condizione di osservare in maniera falsa o corretta, ossia, con valori bipartiti; ma essi non pensavano che tale osservatore, per poter osservare la realtà, dovesse guardare a sé stesso" (Niklas Luhmann - Archimede e noi - 1987).
Qui, Luhmann si avvicina parecchio al problema, ma non lo riconosce. Infatti, agisce in forma ontologica, cioè, illuminista, sullo stesso meta-piano dell'autoreferenza dell'osservatore. L'auto-osservazione dell'osservatore, in Luhmann, non può osservare altro che la propria immanenza. La contraddizione nella realtà non esiste, se non tutt'al più come errore nella testa dell'osservatore, ossia, la realtà si ridurrebbe al fatto che l'osservatore non osserva sé stesso, ma si limita agli oggetti esterni che "esamina", senza rendersi conto della propria partecipazione. Con ciò si sottrae anche ad ogni protesta contro le relazioni, proteste che per Luhmann possono provenire solamente dalla posizione "ab extra". Luhmann riproduce quindi la concezione illuminista della critica sociale, e precisamente per questo l'ascesa al meta-piano dell'auto-referenzialità gli appare identica all'eliminazione della critica fondamentale della società.***
L'auto-osservazione luhmanniana dell'osservatore rimane tuttavia incompleta nella misura in cui è incapace di riconoscere l'immanenza sistemica oggettiva della dicotomia soggetto-oggetto. Sul meta-piano della supposta auto-referenzialità, torna ad essere illuminista (e questo è l'altro aspetto dell'ontologizzazione) e cade anche lui nello schema del "giusto e sbagliato", e nel cercare di qualificare "il punto di vista ab extra" come semplice "errore" ideologico o come immanente alla teoria. Bisognerebbe invece, al contrario di Luhmann, occupare in maniera più conseguente un meta-piano (o mantenere in maniera più coerente il meta-piano dell'auto-referenzialità) al fine di poter comprendere la dicotomia soggetto-oggetto - o il proprio "punto di vista ab extra" - come elemento genuino della struttura sistemica e come funzionalità sistemica delle moderne società (occidentali), invece che assumerlo come semplice errore dell'osservatore. Solo allora non si avrà più una semplice duplicazione valutativa di "giusto" e "sbagliato", ed il suppostamente "errato" verrà riconosciuto nel suo proprio condizionamento sistemico. Questo, è chiaro, non vale solo per l'ideologia del soggetto illuminista, ma vale anche per il suo critico Luhmann, la cui teoria, a sua volta, può essere decifrata come prodotto del sistema e funzionale al sistema (e, in questo senso, non semplicemente "errata").
Quest'attacco, insufficiente, di "auto-riflessività" luhmanniana (come auto-referenzialità) nei confronti dell'Io per quel che riguarda l'auto-osservazione dell'osservatore, procede dall'ottusità di questa osservazione, contenuta nell'affermazione banale per cui anche l'osservatore, o il sistema osservatore (in sociologia, per esempio), dev'essere considerato, e riflesso, come sistema o sottosistema dentro un sistema, oppure come ambiente di un sistema. L'auto-riflessione si dà sempre in relazione ad un determinato sistema, o "sistema in generale", ma non in riferimento ad una certa forma storica del sistema, nella quale si possa avanzare un concetto di sistema - ed ancor meno in riferimento alla "forma in generale" (che è qualcosa di diverso dal sistema in generale). Precisamente, la stessa forma della coscienza non consta di oggetti auto-referenziali dell'osservatore luhmanniano, che deve prima partire da una "coscienza in generale". La destoricizzazione e l'ontologizzazione aderiscono a questa cecità sistematica della forma, come viene esposto in modo esemplare da Luhmann (insistendo quindi nella cecità formale del pensiero illuminista, ed in un certo modo perfezionandolo).
Ora, lo sviluppo teorico (compreso quello di Luhmann) e la distruzione teorica del pensiero illuminista indicano una crescente auto-contraddizione del sistema, che si trova così spinto non solo a manifestare e quindi alla semplice riflessione teorica, ma anche al superamento pratico. Luhmann crede che tanto il "punto di vista ab extra" quanto la critica pratica e superatrice del sistema siano estinti. Ma proprio in seguito all'auto-riferimento dilatato dell'osservatore - che include anche la forma stessa della coscienza e quindi il carattere sistemico oggettivato della dicotomia soggetto-oggetto ovvero l'autocontraddizione oggettiva del sistema (produttore di merci) - sarà possibile riformulare, a partire da un meta-piano, non solo la storia, ma anche la prassi radicale.
Il superamento pratico, allora non sarà più un superamento del "punto di vista ab extra", nel quale il "soggetto garante" non è compreso, come suppone l'ideologia illuminista della ragione e del soggetto e la sua appendice marxista, con il "punto di vista di classe" basato sul lavoro ontologico. Ma se l'auto-conoscimento dell'osservatore, che abbraccia sé stesso nell'osservazione, include anche l'osservazione dell'auto-contraddizione del sistema, e quindi dell'osservatore stesso (della sua stessa forma), allora si fa avanti un altro concetto di superamento pratico, ossia, l'identità fra l'auto-superamento pratico e l'auto-superamento dell'osservatore, che proprio per questo fatto smette di essere un mero osservatore, e abbandona così per la prima volta, di fatto, il "punto di vista ab extra".
Mentre se rimane mero osservatore, anche la descrizione stessa rimane, in ultima analisi, "da fuori". Il momento contemplativo affermato sia da Luhmann che da Hegel si rivela nella realtà non un "eccesso", bensì una mancanza di immanenza (critico-superatrice), ossia, esso è un riparo o un rifugio del "punto di vista ab extra", dove l'auto-contraddizione pratica fra sistema ed osservatore non si riflette****. La stessa auto-riflessività, mantenuta dalla forma conseguente, porta così, in opposizione a Luhmann, alla critica radicale del sistema, pur con l'inclusione dell'osservatore/critico, il quale non parte più da un "punto di vista ab extra" - che sia un'ontologia del "lavoro", o un'ontologia del "soggetto", o (molto meno) un'ontologia dei "sistemi senza soggetto". A questo punto, per prima cosa, la stessa dicotomia soggetto-oggetto verrà sistematicamente storicizzata, invece di essere solamente scartata.

* nota: I concetti (proprio della teoria dei sistemi) di "autopoiesi" (autocreazione o autoproduzione) e di "auto-referenza" non assumono il punto di vista del meta-piano, poiché, secondo questo gergo, "autopoietico" ed "auto-referente" non è il soggetto, che viene inteso come semplice errore, ma il sistema senza soggetto. Con ciò la teoria dei sistemi fa solo riprodurre la logica dei sistemi senza soggetto, senza poter criticarli. Il fatto per cui la stessa coscienza umana si ponga su questo meta-piano di "autopoiesi" e di "auto-referenza" e riesca così a superare la cecità del sistema, appare impossibile ai teorici affermativi del sistema o non viene neppure preso in considerazione. Del resto, è sintomatico che il concetto di "autopoiesi" sia stato introdotto dal biologo Humberto Maturana sul piano delle scienze naturali e reinterpretato senza modifiche da (fra gli altri) Niklas Luhmann nel campo delle scienze sociali.

** nota: La "impurità" dell'immaturità del dualismo soggetto-oggetto nel passato premoderno è stata un'eterna fonte seduttrice per mezzo della quale si placava la sofferenza e la crisi di questa scissione in termini passatisti e si supponeva, nelle società premoderne (specialmente nei cosiddetti popoli selvaggi), un'agognata relazione puramente simpatetica con la natura. Questo romanticismo non vede che la dicotomia soggetto-oggetto non era del tutto assente nelle formazioni primitive, seppure fosse molto meno differenziata. L'uomo primitivo era meno capace di percepirsi separato dal proprio ambiente rispetto all'uomo moderno, e perciò era incapace di percepire i suoi oggetti come separati da determinate situazioni o costellazioni, ossia, la sua capacità di astrazione era (e lo è ancora oggi in molte regioni del mondo ed in certe popolazioni) meno sviluppata. Questa carenza nella capacità di differenziazione è comunque assolutamente l'inverso della capacità di porsi su quel meta-piano a partire dal quale la dicotomia soggetto-oggetto può essere superata, e tutto il complesso può essere percepito consciamente. Abbiamo quindi meno a che fare con un crescente "non più" rispetto ad un decrescente "non ancora" (Bloch), fino a che si raggiunga la soglia il cui attraversamento significa il superamento della costituzione in generale del feticcio. Il minor grado di sviluppo della dicotomia soggetto-oggetto implica ovviamente però maggior incoscienza nelle relazioni naturali e sociali. Il che appare come una relazione simpatetica ed in realtà come un'azione costituita dal feticcio. Con ciò, questo non esclude in alcun modo il fatto per cui, con lo sviluppo della capacità di astrazione, si perdano anche i punti di riferimento e la capacità di conoscenza.

*** nota: In un certo senso, si può anche dire che su questo punto Luhmann torna ad essere hegeliano. Per Hegel, infatti, il "superamento" non avviene in pratica, ma semplicemente nella testa dell'osservatore cognitivo. La storia come farsi dello spirito universale deve pertanto finire nel concetto immanente, di modo che Hegel, del tutto innocentemente, possa dire che tutta la filosofia finisce con lui e la prassi finisca con lo Stato prussiano. Implicitamente, anche Luhmann pone questa pretesa (seppure in maniera apparentemente più modesta) ad un determinato piano cognitivo della funzionalità sistemica. A differenza di Hegel, e nel solco della tradizione positivista, il "senso" e la storia vengono eliminati da Luhmann (o ribassati a meri oggetti di una meta-riflessione funzionalista). Si riconcilia così con la Fine della storia di Fukuyama, proprio per il fatto che egli, in teoria, non insiste in maniera enfatica e "piena di sentimento" sulla democrazia e sull'economia di mercato, ma accetta piuttosto con fine ironia il vuoto funzionalista di senso nelle istituzioni occidentali.

**** nota: No è per caso che Luhmann tenti di ridefinire il concetto di contraddizione sistemica nella società per renderlo inoffensivo, riferendolo per esempio alla contraddizione fra il concetto logico e quello tradizionale (o sociologico) di contraddizione, asserendo che, nel senso logico, né la concorrenza né l'antagonismo fra "capitale" e "lavoro" sarebbero una contraddizione. Ma così distrugge solamente l'ideologia immanente del soggetto, senza tuttavia liberarsi di essa. Infatti sul meta-piano del "auto-riferimento sistemico" (a differenza della contraddizione di classe immanente e funzionale al sistema) si può perfettamente formulare un'auto-contraddizione logica e pratica non più "differenziata" della relazione capitalistica, ossia, l'auto-distruzione del "valore" da parte del cieco processo sistemico della concorrenza e della scientificazione - processo questo che, senza soggetto usurpatore o proprio come "soggetto automatico", conduce al collasso storico e alla necessità dell'auto-superamento pratico del sistema (riflesso fenomenologicamente in termini riduttivi nel discorso della "crisi della società del lavoro"). Tutta la forza di Luhmann sta solo nel fatto che utilizza la contraddizione sociale immanente al capitale come sacco da boxe, e con questo vuole distorcere il concetto di contraddizione sistemica sul piano della socialità in generale in semplice "forma di auto-referenza specifica ed immanente" alla funzionalità del sistema.

- Robert Kurz -

- 9 di 12 - continua ...

fonte: EXIT!

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