martedì 27 gennaio 2015

Il mulino ad acqua e l'albero che nasconde la foresta

propulsore mulino

Una piccola discussione sul materialismo storico
di Christophe Darmangeat

Il precedente post su "Arco, Nordamerica e complessità sociale" mi ha fatto guadagnare la mail di un amico. Troppo lunga per inserirla nei commenti, apro un nuovo post:

Buongiorno,
Come sempre, i problemi sollevati nel tuo blog sono di primaria importanza e questo - che si concentra soprattutto sulle relazioni fra tecnica e società - non fa eccezione. Il fatto che il post cominci con un libero "adattamento" della famosa frase di Marx - "Il mulino a braccia vi darà la società col signore feudale; il mulino a vapore, la società col capitalista industriale" - non è evidentemente un caso.
Senza entrare in una discussione generale di questa frase, direi che l'acutezza della formula ha portato a volte un po' lontano Marx... e noi. E' semplicemente un abuso, associare il Medioevo al mulino a braccia, quando fra esso ed il mulino a vapore si trova il mulino ad acqua ed il mulino a vento che sono molto più emblematici di quella società di quanto lo sia il mulino a braccia (che si associa piuttosto ad uno stadio molto più primitivo delle forze produttive). Mulini ad acqua ed a vento vengono, insieme, associati al Medioevo. Evidentemente, una discussione generale di questi punti ci porterebbe lontano.
Perciò torniamo a questo post e a questa prima frase. Essa oppone le società senza ricchezza alle società complesse (quando si dovrebbe parlare di società tecnicamente complesse) e stratificate. Una tale opposizione mi sembra molto bizzarra, e francamente aberrante; anche gli sviluppi di questa critica ci porterebbero lontano. Alain Testart rifiutava con forza il concetto stesso di società complessa (in opposizione a società semplice, cioè a dire primitiva).
L'idea di base del tuo scritto è quella di opporre la lancia col propulsore, all'arco, essendo il secondo associato ad uno stadio di sviluppo "superiore" della società. Noto innanzitutto che, malgrado i bei dipinti di Catlin, i tuoi riferimenti sono i popoli del sud del Nordamerica, e non tanto quegli Indiani della Pianure e delle Praterie che cacciano il bisonte, a cavallo ed armati di arco. Questi popoli hanno fatto un "tragitto storico" un po' bizzarro poiché sono ripassati da uno stadio di cacciatori che praticavano anche l'agricoltura ad uno stadio di cacciatori che conoscevano la ricchezza ed utilizzavano il cavallo. Sappiamo come questi Indiani cacciassero quelle bestie enormi che sono i bisonti quando non conoscevano il cavallo e si muovevano per mezzo di slitte trainate dai cani? Si trovavano nelle medesime condizioni dei cacciatori della preistoria europea che, per affrontare delle bestie imponenti, cacciavano per mezzo di lance con propulsori. Ma nei paesi dove non c'erano animali di grossa taglia, non era necessariamente così. Inoltre, mi sembra piuttosto che il cavallo favorisca l'uso dell'arco: è vero per gli Indiani delle pianure come è vero per tutti i popoli delle steppe (Mongoli, ecc.). Conosciamo, inoltre, numerosi esempi per cui dei popoli estremamente primitivi utilizzavano l'arco (Andamani, Boscimani, ecc.). E’ vero, al contrario, che pochi (forse nessuno?) popoli conoscevano la ricchezza utilizzando esclusivamente la lancia col propulsore.
Per riassumere, se la lancia col propulsore si trova, per cacciare, solo presso i popoli senza ricchezza, l'arco si trova sia nelle società del mondo I, che in quelle del mondo II (o III).
L'opposizione propulsore/arco sembra essere associata piuttosto ad una doppia opposizione: caccia/guerra e scarsa mobilità/cavallo. Non sono uno specialista di tali questioni, ma mi pare che la lancia col propulsore venisse utilizzata solo per la caccia, quando la lancia soltanto veniva utilizzata anche in guerra; mi sembra evidente che in guerra, la lancia col propulsore sia meno "efficace" dell'arco, anche solo per la lentezza ad essa associata - lentezza nel portare una serie di colpi. Una lancia ucciderà un avversario... se lo tocca, ma in un lasso di tempo molto lungo. Poiché dev'essere chiaro che le due cose messe in opposizione non si riferiscono alla stessa realtà: la caccia e la caccia-e-la-guerra. Gli archi sono anche delle armi da guerra, e possono essere temibili. Si sa che i cavalieri mongolo scoccavano delle frecce ad una cadenza assolutamente eccezionale (diverse decine al minuto) e prima dell'invenzione del Winchester a caricamento automatico, l'utilizzo del fucile era più lento di quello dell'arco.

Resta il fatto che, contrariamente a quanto ho detto sul Medioevo che conosceva diversi tipi di mulini, non conosco delle società dove si trovino utilizzati insieme sia la lancia col propulsore che l'arco. Forse era così nel Neolitico; può darsi che il propulsore sia stato "detronizzato" dall'arco che è stato in grado di adattarsi a situazioni differenti - visto che l'arco è uno strumento che si è enormemente evoluto ed è diventato rapidamente estremamente complesso tecnicamente, adatto sia alla fanteria che alla cavalleria...
Per tornare all'arco, rimane ancora un mistero: quello dell'Australia. L'arco non viene utilizzato affatto; sia la caccia che la  guerra si fanno con le lance. Alain Testar difendeva l'idea di un rifiuto puro e semplice dell'arco, idea sorprendente ma logica per poter spiegare il basso livello di forze produttive che ha permesso il mantenimento del comunismo primitivo. Si potrebbe credere che gli Aborigeni non conoscessero affatto l'arco e non avessero mai avuto l'idea (per stupidità?) di inventarlo. Ora, anche se non avessero mai avuto tale idea (ignoranza generale delle proprietà elastiche dei corpi * ?), i vicini Australiani dello Stretto di Torres avevano visto degli archi all'opera, eppure non avevano mai adottato una tale tecnica. Mancanza di un legno adeguato da usare per costruire archi? Condizioni ecologiche inadatte alla caccia con l'arco? Si possono fare innumerevoli ipotesi ma rimane una domanda: per quel che riguardava le guerre fra le tribù (e sono state numerose), perché non aver fatto di tutto per avere degli archi, che sono di gran lunga più letali delle lance? In una società dove non c'erano schiavi o servi, dove non si facevano prigionieri, immaginiamo i danni (e gli stermini) che avrebbe fatto una tale arma; e poi, che ne sarebbe stato dei genitori, dove avrebbero trovato le loro mogli, i guerrieri? Ma i combattimenti erano assai più spesso dei duelli, e i duelli non si fanno con gli archi...
Associare un tipo di strumento, o uno stato di forze produttive, ad un modo di produzione o ad una formazione sociale è un'idea semplice, ma che può rapidamente diventare semplicistica. Il mulino ad acqua che ha giocato un ruolo (tecnico) assolutamente fondamentale per la "rivoluzione" del XI secolo, era già conosciuto e usato già dal secolo precedente (ed anche prima). I propulsori coesistevano con differenti tipi di arco in società molto simili. Un dato stato di forze produttive permette l'evoluzione da un modo di produzione ad un altro ma, reciprocamente, il passaggio da un modo di produzione ad un altro può permettere lo sviluppo di certe forze produttive. Non c'è un passaggio brutale da un modo di produzione ad un altro; c'è un passaggio di una società (formazione sociale, struttura complessa dei modi di produzione articolati gli uni sugli altri) ad un'altra dove le relazioni di dominio dei modi di produzione cambiano. Ma questa è un'altra storia...
 
* nota: Questa questione, da sola, merita una seria riflessione: alcuni popoli sembrano ignorare alcune proprietà della realtà che pertanto non appaiono loro "evidenti". E' così per la ruota per quanto riguarda il mondo sudamericano che ha portato ad un evidente blocco delle forze produttive (ma non della capacità di produrre oggetti di qualità, le ceramiche inca sono lì a dimostrarlo); è probabilmente così anche per quel che riguarda le proprietà elastiche dei corpi per il mondo australiano. Il problema ora è sapere il perché di tali blocchi cognitivi: mancanza di materiali adeguati, mancanza di interesse (vengono trovate altre soluzioni a dei problemi pratici che si sono rivelate essere dei freni per l'adozione di soluzioni più avanzate), ecc..


Questa lettera mi ispira molte cose, a cominciare dalla constatazione di come l'umorismo di secondo grado (N.d.T.: umorismo tipicamente francese, ironico e spesso discreto, nel senso che non viene esercitato come battuta, ma fa parte del tono con cui si parla) sia un'arte difficile da padroneggiare, soprattutto per iscritto. Il détournement della frase di Marx, che apriva il mio post, coleva essere largamente ironico; il seguito del testo mostrava il mio scetticismo circa il nesso di causalità che intercorrerebbe fra arco e trasformazioni sociali - scetticismo tanto maggiore alla luce dei meccanismi invocati, che si riferiscono non alla produttività del lavoro, ma alla possibilità di controllo sociale. Quindi per risponderti, sono convinto che la filosofia della storia proposta da Marx sia la cosa migliore, e che il cambiamento sociale sia in ultima analisi condizionato dal progresso tecnico, sono anche convinto che si può facilmente andare a finire nello schematismo e che ogni progresso tecnico non sia direttamente e meccanicamente sinonimo di trasformazioni sociali.
Riguardo l'arco, la mia ironia proveniva proprio dalla tua stessa constatazione, ossia che l'arco esiste in numerose società senza ricchezze. Aggiungerei a questo che certe società di ricchezza, o statali, hanno conservato il propulsore; è il caso dei soldati Maya e Aztechi. Presso i primi, a quanto pare è stata l'arma da lancio esclusiva, mentre presso i secondi veniva considerata l'arma nobile, ed era appannaggio delle unità d'élite, le altre unità erano equipaggiate con l'arco.
E' difficile stabilire con certezza i vantaggi dell'arco sul propulsore. Questo articolo di Pierre Catelain fa una diagnosi abbastanza sfumata. Seppure siano noti un certo numero di famosi inconvenienti, il propulsore possiede nondimeno due vantaggi innegabili (e troppo spesso dimenticati) sull'arco: 1) la quantità di movimento del suo proiettile, molto più letale quando viene lanciato. 2) il fatto che può essere maneggiato con una mano sola, permettendo quindi all'altra mano di reggere uno scudo... o una pala, come avviene presso gli Inuit, i quali sono un altro esempio delle società dove coesistono arco e propulsore, a seconda che si tratti di caccia terrestre o marina.
Un altro elemento attiene al fatto che il propulsore non possiede un margine importante di progresso tecnico, contrariamente all'arco; tra l'arco moderno, a pulegge e fatto di materiale sintetico, e l'arco mesolitico, c'è una considerevole differenza di efficacia. E non mi sorprenderebbe se la sostituzione relativamente rapida del propulsore, da parte dell'arco, in Nordamerica, si potesse attribuire in buona parte al fatto che l'arco in questione, importato dall'Asia, era direttamente un arco composito (ma credo che manchino elementi sufficienti per ragionare su questo punto). Inoltre, non so molto su come cacciassero il bisonte prima di possedere l'arco, ma chiaramente lo facevano (i siti archeologici abbondano di resti di bisonti nei millenni). Senza dubbio utilizzavano altre armi da lancio... in particolare il propulsore, la difficoltà consisteva nell'avvicinarsi (e, forse, nel non essere calpestati una volta individuati dal branco).

propulsore azteco

Il "mistero" del "rifiuto dell'arco" in Australia è, come sai, una questione che mi assilla da molto tempo e sulla quale non mi sono mai fatto convinto delle tesi di Alain Testart. Ho riunito degli elementi per tentare di scrivere qualcosa sul soggetto. Inizierò il prima possibile, a condizione che le feste di fine anno e le ultime modifiche del mio prossimo libro me ne lascino il tempo.
Infine, vorrei tornare sull'idea di Alain Testart, che tu riprendi, secondo la quale, contrariamente all'opinione corrente (riflessa nel vocabolario dei neo-evoluzionisti americani), l'evoluzione sociale non avverrebbe da forme semplici verso forme più complesse. Se non ricordo male, è negli "Elementi di classificazione delle società" che viene esposta quest'idea. Ora, gli argomenti presentati non mi appaiono sufficienti per arrivare ad un'adesione su questo punto.
Testart spiega soprattutto come le società primitiva, anche quelle senza ricchezza, non sono poi così semplici quanto spesso si crede ( e lo illustra con degli esempi di discussioni politico-giuridiche dove si verifica in effetti la complessità dei problemi e la sottigliezza sia delle rappresentazioni mentali che delle decisioni). Tutto questo è incontestabile, ma non prova affatto che tali società siano complesse come le nostre; solo che sono meno semplici di quanto si voglia credere per un pregiudizio corrente. La cosa è assai diversa. Sarebbe esattamente come se, per negare che l'evoluzione biologica ha prodotto delle complessità, si insistesse a lungo sulla complessità del funzionamento di una cellula. Quest'insistenza, per quanto legittima sia, non prova niente, poiché semplicità e complessità sono delle nozioni relative: il problema non è sapere se le forme primitive sono anche semplici, ma se esse sono più semplici (meno complesse) delle forme evolute.
Su questo piano, il solo argomento presentato da Testart è che il progresso della complessità non concerne altro che certe dimensioni della vita sociale (ad esempio, e soprattutto, la tecnica); se si considerano altre dimensioni, per esempio la parentela, l'evoluzione al contrario è avvenuta verso una maggiore semplicità. E' innegabile, ma credo che sia un argomento del tipo "l'albero che nasconde la foresta". L'evoluzione della complessità sociale di certo non concerne necessariamente sempre, e in tutti i luoghi, ogni dimensione della vita sociale; l'evoluzione biologica, anch'essa a volte ha semplificato alcune funzioni o certi organi. Questo non prova affatto, ad un livello più generale, l'assenza della tendenza all'accrescimento della complessità (quando compariamo un essere umano ad una singola cellula). Parimenti, la semplificazione cui l'evoluzione sociale talvolta ha dato luogo non deve nascondere che, globalmente, le società moderne sono più complesse, perché più differenziate, delle società di cacciatori-raccoglitori.
Infatti, la confusione deriva dal fatto che la nozione di complessità non viene chiaramente definita e che ci si può mettere o levare quel che si vuole a misura del ragionamento. Ora, anche se non ignoro affatto il dibattito acceso che ha avuto luogo su questo punto, continuo a pensare che sia lecito intendere la complessità sociale alla stessa maniera in cui si intende la complessità biologica, vale a dire che essa esprime la diversità delle parti (organi) che costituiscono il tutto e, di conseguenza, il grado di coordinazione necessaria al loro funzionamento collettivo.
Ma c'è almeno un punto a proposito del quale Alain Testart è stato costretto a riconoscere, per quanto implicitamente, la crescita tendenziale della complessità dell'organizzazione sociale: parlo dell'organizzazione politica, che egli ha qualificato come "minimale" in tutte le società senza ricchezza e che si sa che sono statali (quindi costituite da organi ed istanze specifiche) nelle società di classe.
che nel corso dei secoli, il coincidere del progresso della complessità sociale con quello della complessità tecnica, non siano semplicemente un caso, credo sia una banalità per chiunque non sia un idealista senza speranza. Rimane il fatto, e siamo d'accordo su questo, che la comprensione dettagliata delle interazioni fra queste due linee di progresso sollevi delle formidabili difficoltà, che non devono essere risolte con un colpo di mano dogmatico, ma considerate interamente, studiandone attentamente i diversi casi (in particolare, penso, quelli che sembrano i più paradossali ed intriganti... come il "rifiuto dell'arco" in Australia. Al lavoro, quindi...

- Christophe Darmangeat -

fonte: Blog de Christophe Darmangeat

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