La Fine dell'Economia Nazionale
- di Robert Kurz -
Che, alla fine del ventesimo secolo, il cosiddetto capitalismo speculativo della simulazione si trovasse nel bel mezzo di un rapido processo di decomposizione e di dissoluzione categorica, era già chiaro sotto molti aspetti. Non solo il contesto sociale si era dissolto in un'atomizzazione mai vista prima, e non solo c’erano intere parti del mondo che stavano già sperimentando un collasso della civiltà per mezzo di grandi crolli economici; ma stava vacillando anche la nazione borghese, categoria essenziale della socializzazione capitalistica. Se la nazione era stata inventata solo nel corso della storia della modernizzazione capitalistica, ecco che ora, alla fine di questa storia, essa esplodeva anche al proprio interno: e anche sotto questo aspetto, l'economia fuori controllo del capitalismo in crisi, faceva saltare in aria la "bella macchina", e distruggeva il suo stesso sistema di riferimento. È chiaro che, naturalmente, non c'è alcun bisogno di versare lacrime per la nazione. Fin dall'inizio, essa è sempre stata un costrutto macchiatosi del sangue della competizione capitalistica, della repressione sociale, e dell'esclusione in tutti i sensi. Questa forma distorta di un falso "noi", è sempre servita a disorientare e ad addomesticare i movimenti sociali, al fine di legare a essa le vittime della "bella macchina", per mezzo di una lealtà irrazionale. Tuttavia, il ritrarsi dello Stato, vale a dire, il decomporsi della nazione in un cieco "processo naturale" di capitalismo in crisi, non porta alla libertà sociale, ma piuttosto agli orrori della desocializzazione. Al posto del distruttivo "noi" nazionale, non emerge alcuna nuova forma sociale, ma quel che vediamo è solo il regime di terrore economico dell'economia imprenditoriale e delle sue conseguenze. La nazione non scompare, così semplicemente; se non altro perché non esiste nessuna struttura più sviluppata che ne prenda il posto. Nella sua assenza di struttura, la società si mostra selvaggia. La nazione non viene superata positivamente, grazie a una coscienza sociale della società mondiale, la quale in gran misura esplode a fronte a di enormi shock che avvengono a tutti i livelli sociali, come se si trattasse della rottura di una diga, di una grande frana o di un terremoto. Pertanto, la cosiddetta "globalizzazione" - una parola chiave degli anni '90 - descrive effettivamente quello che è un processo reale, a livello del suo manifestarsi. Si tratta, tuttavia, di un concetto falso nel momento in cui si vuole designare, con essa, un mero cambiamento strutturale del capitalismo "eterno"; quando invece, in realtà, la crisi categorica della nazione distrugge la struttura della modernizzazione. Dato che il capitalismo non può vivere senza che ci sia quella coerenza nazionale - che ora invece sta venendo dissolta dalla "mano invisibile" - ecco che le diverse spiegazioni ingenue dei [suoi] sostenitori non possono fare altro che riconoscere quello che sarebbe un nuovo progresso borghese in un mondo apparentemente "senza limiti": «In passato, si studiava la "economia nazionale". L'oggetto di tale studio era un sistema economico regolato da valute, imposte e politiche nazionali isolate, le cui reazioni ai cambiamenti provenienti dal mondo esterno venivano studiate e interpretate. L'epoca della "economia nazionale" è giunta al termine. Gli economisti nazionali sono diventati economisti mondiali. […] Il globalismo è il risultato necessario di un'economia di mercato, o di una società capitalistica. L'economia di mercato non si lascia intrappolare entro i confini nazionali, ma si diffonde. Essa attrae le industrie e le valute nazionali, e le respinge per mezzo delle nuove forme di manifestazioni economiche. È pertanto inevitabile che le aziende tedesche e i loro concorrenti in altri paesi diventino attori globali, fondendosi tra loro e assumendo una nuova identità sovranazionale. […] Così, se Daimler, BMW, Deutsche Bank, e quasi tutte le grandi aziende tedesche cercano sedi al di fuori dei confini tedeschi, e se, al contrario, le società straniere rafforzano le loro basi in Germania, mentre le valute nazionali vengono sostituite da un sistema monetario posizionato a un livello superiore, ecco che allora questo cosmopolitismo dell'economia diventa il risultato, prevedibile e desiderabile, di un paradigma produttivo superiore di quella che è la politica economica, e che, da sola, «si rende garante del progresso dell'umanità» (Mundorf, 1999).
Questo argomento, fenomenologicamente limitato, che qui viene presentato con intento apologetico, lo si incontra anche, a sua volta, in tutti coloro che sono i superficiali "allarmisti" e critici della globalizzazione, i quali non vogliono riconoscere nemmeno alcuna crisi categoriale, ma intendono solo leggere nei fondi di caffè dei "mercati" chi saranno i nuovi arrivati, e chi i perdenti, nel "futuro del capitalismo" (Thurow, 1996b). In entrambi i casi, l'essenza della globalizzazione non viene nemmeno vista, a causa della mancanza di conoscenze teoriche sulla crisi. In effetti, il "paradigma altamente produttivo" della Terza Rivoluzione Industriale porta al "cosmopolitismo dell'economia"; ma lo fa solo per l'economia, o per dirla più precisamente: per una certa parte dell'economia, la quale però rappresenta una forma di decadimento del tutto. La trasformazione in atto, non è il prolungamento di una tendenza secolare, ma costituisce una rottura strutturale. Non si tratta affatto di una semplice espansione del commercio internazionale sul mercato mondiale, né di un semplice aumento quantitativo dell'esportazione di capitali tra le diverse economie nazionali, quanto piuttosto della dissoluzione di queste stesse economie nazionali. In altre parole: il centro economico di questo costrutto moderno - la "nazione" - viene a essere devastato dalla crisi del capitalismo. Con la ritirata degli Stati, o (in parallelo) con la virtualizzazione capitalistica finanziaria dell'economia, la globalizzazione appare come, da un lato, un prodotto immediato della Terza Rivoluzione Industriale e della sua "razionalizzazione delle persone"; dall'altra parte, però, i tre successivi processi di ritrattazione statale, di virtualizzazione e di globalizzazione hanno delle ripercussioni e si scontrano tra loro, anche se, sotto questo aspetto, l'economia reale costituisce solo un'appendice delle dinamiche speculative globalizzate. Che cosa differenziava il precedente spazio di riferimento dell'economia nazionale, dal mercato mondiale? Fondamentalmente, la forma dell'economia nazionale consisteva in un sistema di filtri, come se fosse, in una certa misura, una sorta di "strato di ozono" politico-economico che proteggeva doppiamente ogni spazio nazionale; sia verso l'interno che verso l'esterno: verso l'interno, c'era il filtro dalle "radiazioni pesanti" della competizione economica interna e della razionalità economica delle imprese a un livello compatibile con il sistema; verso l'esterno, il filtro dalle "radiazioni pesanti" di un mercato mondiale essenzialmente non regolamentato. Tali filtri erano, ovviamente e in primo luogo, i sistemi fiscali nazionali, giuridici e sociali, la moneta nazionale, e molti altri meccanismi di regolamentazione, i quali, come gli aggregati infrastrutturali, venivano tutti garantiti dallo Stato nazionale. La globalizzazione non è stata altro che una conseguenza logica del processo di disoccupazione strutturale di massa, e di deregolamentazione statale, scatenato dalla Terza Rivoluzione Industriale. È stato un vero e proprio processo di escalation. La razionalizzazione e l'automazione portano a una nuova qualità della disoccupazione strutturale di massa e, insieme a essa, a una riduzione del potere d'acquisto e delle entrate statali. Lo Stato, da parte sua, reagisce a questo con delle restrizioni sociali, che riducono ulteriormente il potere d'acquisto. Le aziende, a loro volta, reagiscono a questo inaridimento del mercato interno per mezzo della loro "fuga in avanti" nel mercato mondiale. E poiché fanno tutti la stessa cosa, avviene, naturalmente, una competizione fatta di annientamento reciproco, accompagnata da una concentrazione globale del capitale. Lo Stato reagisce, da parte sua, con una sorta di panico della deregolamentazione, al fine di mantenere il capitale all'interno della "localizzazione" nazionale; cosa che, al contrario, porta le aziende a mettere uno Stato contro l'altro, perseguendo una strategia globale di diversificazione in quella che è la corsa alla riduzione dei costi. Allo stesso tempo, questo "decomporsi" degli elementi dell'economia imprenditoriale al di fuori dei confini nazionali e continentali, viene reso possibile - e tecnologicamente guidato - da quella stessa rivoluzione microelettronica, la quale, a sua volta, automatizza il processo produttivo e "razionalizza" la forza lavoro umana. Già alla fine degli anni '80, l'ex capo della Volkswagen Carl H. Hahn sottolineava questo sviluppo: «Per i sottoprocessi di produzione, sono possibili diverse sedi. E così la realizzazione, a loro volta, di una serie di vantaggi per i paesi specifici – come salari bassi, sindacati cooperativi, una minore densità di regolamentazione o l'esenzione fiscale – che possono essere combinati con dei vantaggi per delle aziende specifiche. Nel corso del progresso tecnico, i processi di produzione della maggior parte dei beni sono diventati sempre più frammentati, il che ha reso possibile una più ampia internazionalizzazione della produzione. Ciò è stato facilitato dal fatto che le moderne tecniche di comunicazione hanno sostanzialmente ridotto il flusso di informazioni all'interno delle società transnazionali. La produzione estera delle grandi imprese industriali del mondo deve rappresentare un terzo di tutto il commercio mondiale» (Hahn, 1989).
Secondo le informazioni provenienti dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, otto anni dopo, nel 1987, i due terzi del commercio mondiale consistevano già in transazioni di questo tipo. La medesima società poteva suddividere le proprie attività a livello globale: la sede ufficiale dell'azienda può essere a Francoforte e l'attività finanziaria può essere a Londra, mentre il contabilità operativa viene svolta da un team di elaboratori elettronici di dati a basso costo in India e i prodotti preliminari possono essere realizzati da dei "dipendenti a contratto temporaneo" e a basso costo in Ungheria; invece le indagini (a causa delle basse imposte) verranno effettuate negli Stati Uniti, e i profitti contabilizzati in "paradisi fiscali" come l'Irlanda, ecc. In parte, si può trattare anche di società di capitali, e in parte di fornitori indipendenti dei relativi "servizi" nell'ambito del cosiddetto outsourcing. Prima dell'era della tecnologia microelettronica, un simile sfruttamento dei differenziali di costo su scala mondiale, il quale rimane in uno stato "liquido" permanente, sarebbe stato del tutto impossibile. Ciò dimostra che in realtà una parte ampia e crescente del mercato mondiale non consiste più in uno scambio tra economie nazionali coerenti, ma costituisce piuttosto parte di una divisione delle funzioni interne delle corporazioni, le quali agiscono su un piano immediatamente globale. Queste imprese o, meglio, questi agglomerati di imprese non agiscono più "a livello internazionale", e non sono più strutturate come delle "multinazionali", ma appartengono a una dimensione "transnazionale" finora sconosciuta. L'economia delle imprese, che fino ad ora era incorporata nello spazio di regolamentazione dell'economia nazionale, ora lo rompe agendo immediatamente sul terreno del mercato mondiale, libero da regolamenti, che sta appena oltre l'economia nazionale (trans-nazionale). Questo processo non è altro che la conseguenza di una radicalizzazione micro-economica: il punto di vista macroeconomico non viene semplicemente liquidato all'interno del campo dell'economia nazionale, ma a essere liquidato è proprio questo settore stesso. E mentre la distruzione dei meccanismi di filtraggio dell'economia nazionale sortisce l'effetto di aumentare ulteriormente la disoccupazione di massa, e innesca l'estinzione di massa delle imprese, vediamo che invece i giganti trans-nazionali si uniscono, per la battaglia in un mercato mondiale senza filtri, nel quale la razionalità imprenditoriale, ormai divenuta sfrenata, si apre la strada. L'economia delle imprese è ormai "degradata"; è lo stesso spazio economico che ora si trova al di fuori, o "oltre" la civiltà borghese e le sue istituzioni, laddove la vita comincia a fuggire. È proprio su questa nuova qualità della globalizzazione, rispetto ai precedenti sviluppi del mercato mondiale, che a partire dall'Ottocento si sono sempre basati gli spazi coerenti dell'economia nazionale. Al di sopra di questo livello della globalizzazione del business industriale, si trova un secondo livello della globalizzazione della finanza capitalistica, ed è quello che è effettivamente in carica. È stato così facendo, che la virtualizzazione dell'accumulazione del capitale, a causa della mancanza di sostanza di lavoro aggiuntivo, ha completamente ribaltato, su scala mondiale il rapporto tra flusso di merci e flusso della finanza: il movimento della finanza globale non è più l'espressione dei rispettivi flussi di beni e di servizi, ma, al contrario, è il flusso di beni reali (e, all'inverso, il flusso di beni e servizi, quindi, della riproduzione materiale dell'umanità) che ora consistono in quella che è solo un'espressione - e persino un sottoprodotto - di una "accumulazione fantasma" autonoma di capitale monetario speculativo. Il fine in sé capitalistico, acquista qui la sua forma più pura, ma anche una forma di irrealtà, la quale sembra ora dominare la vita reale, fino a quando non sia ancora avvenuto il collasso nei centri occidentali. Il simulatore di accumulazione fantasma della speculazione sul capitale, non solo regola il flusso delle merci ai bisogni fantasma della merce stessa; ma esso è anche, logicamente, il centro della globalizzazione, perché, in senso lato, può essere, allo stesso modo della produzione effettiva di merci, immediatamente globale. Mentre, infatti, le merci e le strutture produttive rimangono delle cose tangibili del mondo macro, e quindi non possono essere davvero "senza luogo", ma devono rimanere nei luoghi, o muoversi attraverso essi; i flussi finanziari di moneta elettronica sono invece come le particelle subatomiche della fisica, i cui luoghi non possono essere determinabili con precisione. Con l'aiuto della tecnologia della comunicazione, una massa di denaro - tanto mostruosa quanto irreale - si muove alla velocità della luce e in "tempo reale", sfruttando, 24 ore su 24, i micro-vantaggi nell'insieme delle finanze mondiali. Nel senso comune, non si può parlare di "investimenti". Ed è proprio qui che si rivela l'impotente dipendenza dell'economia reale da quelli che sono i "complessi finanziario-industriali" trans-nazionali, le cui imprese industriali trans-nazionali si sono formate a loro immagine. Naturalmente, le vecchie istituzioni economiche nazionali e, soprattutto, gli Stati nazionali non stanno semplicemente scomparendo dalla scena. Ma sono stati indeboliti tanto quanto lo sono stati i sindacati o le associazioni dei datori di lavoro. In questo modo, nella maggior parte degli stati del mondo, la "moneta" - l'unità monetaria di ogni economia nazionale - è completamente scomparsa, o è sprofondata diventando un insignificante "denaro dei poveri", mentre la connessione reale nell'economia globale, laddove ancora ha luogo, avviene attraverso una valuta estera con elementi di una funzione monetaria mondiale (dollaro, Marzo, yen, ecc.). Anche l'esperimento kamikaze della politica monetaria dell'Euro - in cui una moneta trans-nazionale artificiale viene collocata su un intero spazio nazional-economico del tutto eterogeneo, con dei diversi modelli di produttività, sistemi giuridici, ecc. - non è altro che un fenomeno di dissoluzione dell'economia nazionale. Queste politiche monetarie "fuggenti in avanti", che avvengono nell'interesse degli attori globali europei, e che nella loro strategia di flessibilità globale, attraverso l'abolizione di varie aree monetarie all'interno dell'Unione Europea, risparmiano sui costi di transazione, si svolgono sulle spalle del resto delle economie "sub-globali", con le loro strutture regionali e con le loro relazioni di lavoro. Non solo la politica monetaria, ma anche - sotto tutti gli altri diversi aspetti - la politica, che per definizione è limitata al quadro nazionale-statale, non può che reagire solo in modo debole e ristretto alla modalità invariabilmente rozza della microeconomia transnazionale.
«I manager esprimono sempre più disprezzo per i loro governi eletti. Si sta diffondendo un nuovo atteggiamento. Gli autoproclamati "attori globali" del mercato mondiale guardano dall'alto in basso i capi di governo nazionali, sempre più indifesi e impotenti. La globalizzazione dell'economia rende le grandi imprese indipendenti dal mercato interno e dai governi locali. I manager spesso vedono la politica come un'azienda di servizi [...]. Secondo il Kiel Institute for the World Economy, sono gli Stati nazionali che devono attrarre a sé il capitale mobile. Per gli imprenditori - scrive la professoressa di Harvard Rosabeth Moss Kanter - il mondo è solo "un'unica grande corsia di negozi commerciali". I rappresentanti di tutti i partiti sono irritati. Anche il primo ministro bavarese, Edmund Stroiber, ha criticato aspramente e apertamente i doppi standard dei manager, che "vogliono giocare a golf in Germania e investire all'estero". Alcuni manager esibiscono apertamente la propria nuova consapevolezza di potere. Gli esperti di bilancio del Bundestag sono stati sorpresi, ad esempio, da un gioviale capo della Daimler-Benz, Jürgen Schrempp, durante un tour alla fine di aprile. A cena si vantava che la sua azienda fino alla fine del secolo non avrebbe pagato un centesimo di tasse sul reddito: "Non otterrete nulla di più da noi". Imbarazzati, a loro volta, i deputati fissarono i piatti [...] Anche quando gli uomini d'affari invitano i ministri, questo non dà alcuna garanzia che verranno trattati bene. Ingenuamente, il ministro dell'Ambiente Angela Merkel era andata a una tavola rotonda dell'associazione dei grossisti e dei commercianti stranieri, e si è ritrovata in un'aula di tribunale. Al posto di clausole ecologiche sul mercato mondiale, il capo dell'associazione, Michael Fuchs, ha discusso con il ministro il problema dell'ubicazione. Se riuscisse a rimuovere il trucco del suo "protezionismo verde", il piano per il trattamento dei rifiuti dovrebbe essere dimenticato. "Non siamo mai stati pubblicamente sfiorati dall'economia", si è lamentato un assistente. "Non si umiliano gli ospiti". Ci vuole un po' di tempo per abituarsi allo stile grossolano [...] »(Der Spiegel 26, 1996). In questo schizzo della metà degli anni '90, possiamo ancora notare un certo disagio, e persino come una sorta di un certo tipo di "indignazione democratica", relativa all'autonomia del capitale transnazionale. Tale commozione è tanto inutile quanto inappropriata, poiché la democrazia non è altro che un episodio che, in linea di principio, ha danzato al ritmo del fischietto del “quarto potere” economico, così come, nella sua forma soggettiva, il cittadino era stato intrinsecamente creato in quanto soggetto economico capitalista e schiavo del sistema del mercato del lavoro. L'economia aziendale transnazionale del capitalismo in crisi. rende tutti questi fatti chiari a tutti, e tuttavia limita drasticamente i processi elettorali democratici, rendendoli quasi privi di significato. Pertanto, le “contese politiche” sono diventate deplorevolmente squallide e noiose, dal momento che la politica, in attesa di un’economia nazionale che “mendichi” di fronte all’economia aziendale transnazionale, non può più formulare alcuna alternativa, nemmeno nella forma precedentemente sfrondata dal sistema. Analogamente alla cosiddetta politica estera, la politica non ha più alcuna grande rilevanza, e la tensione sociale è passata dai mercati finanziari e dai loro attori al circo mediatico. Ogni tentativo di trasformare la funzione, e la sfera della politica, in qualcosa che vada oltre la struttura degli Stati-nazione, e concepisca i rispettivi organismi globali come se fossero un contrappeso all'economia economica transnazionale, è fallito miseramente. Il ruolo dell'ONU - che non rappresenta più la somma di tutti gli Stati-nazione del mondo - è diventato ancora più piccolo, e non più grande. Negli ultimi anni, nulla è stato più ridicolo della retorica di una critica sociale disarmata, da parte dell'intellighenzia verde-sinistra del '68, circa la cosiddetta "politica interna del mondo", o a proposito di una "democratizzazione" delle istituzioni economiche internazionali, come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale. Dopo che il governo "rosso-verde" ha assunto un progetto, quantomeno poco chiaro, di una "riforma ecologico-sociale della società industriale" – dall'energia atomica alla gestione dei rifiuti, passando per i requisiti legali di protezione ambientale – esso si è sciolto; non dopo una legislatura, o nel giro di pochi mesi, ma in poche settimane. Sotto il dettato dell'economia economica transnazionale, la corsa autodistruttiva della competizione statale e regionale delle "localizzazioni" (di ogni genere di dumping sociale, fiscale ed ecologico) accelera sempre più, di mese in mese. Una "politica mondiale interna" presuppone sempre - in tutte le sfere - uno "Stato mondiale"; e questa non è altro che una cattiva utopia, dal momento che gli Stati, per loro stessa essenza, così come le imprese capitalistiche, possono esistere solo al plurale. Uno “Stato senza frontiere” sarebbe una contraddizione in termini, così come lo sarebbe una “economia imprenditoriale a livello sociale generale”. Tuttavia, gli accordi bilaterali e multilaterali tra organismi concorrenti non possono mai produrre un quadro vincolante per tutti; vale a dire, una meta-istanza socialmente generale (ora: socialmente globale). Con la Terza Rivoluzione Industriale, la macroeconomia e la microeconomia diventano incompatibili tra di loro e collassano, e si comportano proprio come (nelle loro logiche conseguenze) si comportano l'economia e la politica aziendale. La politica, che dovrebbe rappresentare il tutto, e confrontarsi con la sfera dell'economia economica transnazionale, è degenerata fino a diventare un particolare soggetto di concorrenza; l'economia delle imprese, la quale rappresenta gli interessi particolari delle imprese, agisce ora a un livello superiore, sotto forma di "interesse generale" (in termini capitalistici, e non in vista dell'interesse economico-nazionale dello Stato-nazione). Questo paradossale capovolgimento, mostra chiaramente come non si tratti affatto di una nuova struttura con capacità di riprodursi, quanto piuttosto di una rottura della polarità strutturale tra mercato e Stato, tra economia e politica, tra microeconomia e macroeconomia, tra individuo e società, ecc., che rende così possibile il capitalismo nel suo insieme. Il soggetto borghese, di per sé schizofrenico - che in linea di principio si costituisce nella forma contraddittoria del "burgeois" (borghese) e del "citoyen" (cittadino) - non è più in grado di integrare definitivamente la sua identità contraddittoria di dottor Jekyll e di mister Hyde in una "persona totale" ragionevolmente vitale. L'individuo totalmente astratto, è "socialmente incapace", e il "borghese" transnazionale non è più mediato dal "citoyen" statale-nazionale. La "scissione di personalità" del rapporto capitalistico manifesta una nuova qualità, che non può trovare sbocco nelle forme capitalistiche. Il soggetto dell'economia imprenditoriale transnazionale, sempre più dissociato dalla sua cittadinanza, non rappresenta più alcun "progresso" capitalistico. Quest'ultima forma di “modernizzazione” è, simultaneamente, autodissoluzione e autodistruzione della modernità, e sotto molti aspetti è anche disumanizzazione, che si trova a essere arretrata anche rispetto alle società arcaiche, e pertanto agli stessi standard della propria civiltà. Di conseguenza, la globalizzazione non può essere rivendicata e appropriata da parte di una critica sociale anticapitalista che abbia una qualche “ idea di progresso”; essa costituisce la proprio la smentita di quel vecchio marxismo che assume, in termini generali, la concezione filosofica borghese dell’Illuminismo. Nella globalizzazione, il capitalismo non si eleva a nessun nuovo stadio di sviluppo, ma conduce una vita apparente oltre quelli che sono i limiti della propria vita; un po' come nel "Waldemar" della storia di Edgar Allan Poe, che ipnotizzato in punto di morte, e rimanendo tale per molto tempo sull'orlo tra la vita e la morte, fino a che, risvegliato dal sonno dell'ipnosi, si disintegrò istantaneamente in una massa informe di carne in putrefazione. Ad agire come attori nell'economia economica transnazionale, non sono più gli allegri e gioviali "cosmopoliti" , ma si tratta piuttosto dei fantasmi di un irreale sradicamento sociale, che corrisponde allo sradicamento del capitale monetario simulato elettronicamente.
«I membri di questa nuova classe di giocatori globali che, tra l'altro, comprende anche accademici del jet-set e un certo gruppo di atleti d'élite, oltre a esperti di media e artisti dell'intrattenimento, si concentrano principalmente su quelli che Marc Auge chiama i non-luoghi del sistema di comunicazione globale: aeroporti, catene alberghiere, aree VIP, supermercati duty-free e treni ad alta velocità. L'etnologo parla di sale di transito, dove loro, che da tempo hanno familiarità con le macchinette automatiche e le carte di credito, seguono i gesti del traffico silenzioso. Poiché un luogo è caratterizzato da identità, relazione e storia, uno spazio che è ovunque e da nessuna parte e che è caratterizzato dall'essere né relazionale né storico è definito come un non-luogo. Strutturalmente, un World-Traveller-Suit, come il minibar, la Pay-TV e il Manager-Magazin illustrati, non è diverso da un campo profughi secondo quelli che sono gli standard stabiliti dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. In entrambi i casi, si tratta di un domicilio temporaneo, che ci fa sentire soli, ma proprio come gli altri. Uno è solo lussuoso e l'altro abominevole» (Bude 1995). In un contesto simile non si può parlare di una "cultura mondiale"; poiché la cultura, anche quella capitalistica di massa, intesa come compenetrazione reciproca, come amalgama creativa e come creazione di nuove forme espressive, è sempre legata al luogo, alla relazione e alla storicità. Né lo spazio sociale è sganciato dall'economia delle imprese, globalizzata e illimitata. Gli spazi di transito senza luogo dell'economia imprenditoriale transnazionale, che si trova in rigoroso isolamento dal mondo realmente sociale, culturale e persino geografico, lo attraversano allo stesso modo in cui i paesaggi sono tagliati da autostrade, cavi in fibra ottica, gasdotti o tratti di treni ad alta velocità. Proprio come i vagabondi della miseria si trovano rigorosamente rinchiusi nei campi d'asilo, di deportazione o profughi, così i vagabondi di lusso dell'economia aziendale globalizzata vivono in luoghi altrettanto delimitati e in stanze quasi ermeticamente sigillate. Ma è proprio lì - laddove si trovano i blocchi tra la coerenza moribonda e dissolvente del mondo della riproduzione nazional-economica e statale-nazionale, tra le regioni orrendamente de-civilizzate del collasso e i non-luoghi dell'economia imprenditoriale globalizzata - che si trova un nuovo tipo di demarcazione che oggi è ancora più decisiva di quanto lo sia stata in tutte le precedenti frontiere politiche. Ad esempio, nel suo Manifesto del Futuro, l'esegeta postmoderno dello Zeitgeist e ricercatore di tendenze, Matthias Horx, il quale pretende di segnalare "l'uscita dalla cultura della lamentela", chiarisce il significato di "apertura cosmopolita":
«Qual è il quadro di riferimento del nostro concetto di uguaglianza? Il nostro confortevole benessere nazionale? O un pianeta dove c'è un denso flusso di merci, idee e traffici, dove c'è miseria (!), ma anche vitalità (!), creatività e voglia di ascendere? A un certo punto dobbiamo scegliere. Tra un modello di uguaglianza, che, nel migliore dei casi, equivale ad una "auto-provincializzazione" [...] e un modello aperto, più contraddittorio, ma anche più "onesto", solo su scala planetaria [...] Coloro che accettano la globalizzazione devono riconoscere che tutto questo aumenta la disuguaglianza nella società. Se lasciamo i poveri nel paese, essi possono anche diventare criminali ed esecrabili (!). O ci supererà [...] La nostra cultura e la nostra società possono impegnarsi in un'utopia (!), che va di pari passo con la perdita di sicurezza e con la minaccia di vecchie pretese e implicazioni? […] Una certa quantità di disuguaglianza "dinamica" è come un soffio di vento in una stanza soffocante, o un ruscello di acqua dolce in uno stagno stagnante» (Hox, 1999, 241). Qui la domanda verte su Quale forma di nuova demarcazione sia più disgustosa: lo sciovinismo assistenziale e il sinistro nazionalismo xenofobo della deportazione reazionaria della "maggioranza silenziosa" reazionaria? Oppure l'ideologia del terrore economico di questo "nuovo centro" dei vincitori della globalizzazione. Un afflusso rigorosamente dosato di poveri, provenienti dalle regioni devastate dal collasso dell'economia di mercato globale, dovrebbe essere permesso solo al fine di forzare l'accettazione sociale della "crescente disuguaglianza", ivi compresa la "miseria", vista come una cosa ovvia; e per mettere le persone l'una contro l'altra, in quanto concorrenti della loro stessa esistenza. Ciò che viene sostenuto qui è la "parità di opportunità" dei combattimenti tra gladiatori. Ciò che viene gioiosamente celebrato è l'antica differenza tra il razzismo collettivo europeo-continentale e il razzismo individualista anglosassone nel contesto della globalizzazione. In entrambi i casi, sia l'assunto che il risultato continua a essere la dottrina malthusiana secondo cui, se misurata con dei criteri capitalistici, c'è sempre "troppa gente", e pertanto ci deve essere una selezione esistenziale, la quale corrisponde sempre a un cordone sociale insormontabile. Non tutti i filtri economico-nazionali o statali-nazionali sono stati rimossi, ma la pressione dell'economia imprenditoriale transnazionale deregolamentata continua ad aumentare. Le chiacchiere dei politici democratici a proposito della "mancanza di alternative" alle loro misure restrittive e antisociali, dimostrano solo che da tempo hanno finito con il loro latino, e che ora sono guidati da dei poteri che vanno oltre le istituzioni borghesi. Da un punto di vista superficiale e, in modo tradizionale, secondo categorie meramente sociologiche (piuttosto che critiche del sistema), sembra che lo Stato e la politica siano stati degradati a "camerieri del capitale" (Der Spiegel 26/1996). Ma questo non fa che confermare l'idea del vecchio marxismo, secondo cui lo Stato-nazione non sarebbe altro che il "comitato esecutivo della borghesia". Tuttavia, nel senso di una classe-soggetto socialmente coerente, questa "borghesia" non esiste più. Come soggetto economico capitalista formale, come "homo oeconomicus" e come "imprenditore della propria forza lavoro", visto secondo il concetto rigoroso di proprietario del capitale della totalità dei membri della società - ivi compresi i salariati - il "borghese" si è volatilizzato. Fino alla Terza Rivoluzione Industriale, si poteva ancora parlare dello Stato nazionale come del "capitalista totale ideale" (Marx), se non della totalità sociologica dei proprietari del capitale, almeno come l'istanza del sistema di produzione di merci che sintetizza formalmente tutti i soggetti formali dell'economia. Ma è proprio questa funzione sistemica che lo Stato nazionale perde, nella globalizzazione, come conseguenza della Terza Rivoluzione Industriale. Egli non può più essere il "capitalista totale ideale"! Naturalmente, questo sviluppo può essere descritto anche a livello sociologico: le élite funzionali sono ancora una volta divise, a tutti i livelli della riproduzione capitalistica, in una nuova e ulteriore dimensione.
Dal momento che le élite dell'economia economica transnazionale non possono, né sviluppare un interesse economico comune con il resto delle gestioni tradizionali incentrate sull'economia nazionale (nei vecchi termini della sociologia di classe: la "borghesia nazionale"), né sostenere un interesse politico-strategico comune con la "classe politica" nazionale-statale. Il momento "strategico" non solo è passato dalla politica ai mercati finanziari transnazionali, e a questo livello non produce più alcuna istanza di sintesi, ma coincide immediatamente con il calcolo microeconomico dell'economia imprenditoriale, che ormai opera al di là di tutte le vecchie istanze "di sintesi". Internamente, lo Stato-nazione cessa di essere - come organismo di regolamentazione - il "capitalista totale ideale"; allo stesso modo in cui cessa di essere il soggetto strategico all'esterno. "Interno" ed "esterno" smettono di essere chiaramente definibili, visto che il sistema di riferimento di queste relazioni è dissolto. Tutto questo, significa anche la fine del vecchio imperialismo nazionale, il quale aveva dato inizio al suo declino già nell'era della "Pax Americana" occidentale, dopo la seconda guerra mondiale; e questo nella misura in cui il carattere totalitario del capitalismo, nella fase finale della seconda rivoluzione industriale, era passato dalla politica all'economia, e con la lotta degli stati-nazione per il controllo delle "zone di influenza" si era ritirato. Invece, gli Stati Uniti, con il sostegno delle potenze secondarie occidentali, hanno assunto il ruolo di "poliziotto mondiale" in nome dei principi generali del capitalismo e (anche allora) di un mercato mondiale "libero". Nella Terza Rivoluzione Industriale, la globalizzazione rende ormai la lotta degli Stati-nazione per la "spartizione del mondo" come qualcosa di completamente anacronistico. Il "capitalista totale ideale" non solo è escluso in senso economico-sociale, in quanto istanza di aggregazione strategica di interessi, ma rappresenta quel campo di riferimento delle strategie imperiali, che in un mondo dominato dall'economia delle imprese transnazionali cessa di esistere. Nella sfera dissociata del "non luogo", il dominio territoriale non ha più alcun senso, qualunque sia la sua forma. Laddove gli interessi strategici orientati alla microeconomia possono esistere solo essendo "presenti" ovunque e in nessun luogo, anche il mondo territoriale cessa di essere un oggetto strategico, per diventare un mero luogo in cui si svolgono le scene. Naturalmente, in qualità di fornitori di servizi dell'economia economica transnazionale, gli Stati nazionali sono adatti solo condizionatamente e temporaneamente. Poiché in questo sviluppo, i due poli della socializzazione capitalistica in crisi crollano a tutti i livelli e dimensioni, e non possono più essere uniti in uno stesso denominatore, rendendo così obsoleta l'idea di un nuovo e duraturo ruolo ridotto dello Stato-nazione in quanto "nuovo stato-commerciale" (Rosecrance 1987) o in quanto "stato di competizione nazionale" (Hirsch 1995). Tale concettualizzazione continua ad essere inserita all'interno di un cambiamento strutturale del capitalismo, o di un processo di trasformazione che viene assunto come una nuova tappa nello sviluppo di una "modernizzazione eterna", mentre invece, di fatto, è stata a lungo una crisi categoriale della forma sociale capitalistica in quanto tale che segna la fine definitiva della "modernizzazione". In questo senso, l'economia transnazionale delle imprese non costituisce - né in senso sociologico né strutturale - una nuova istanza di potere economico che rappresenti un'altra epoca della storia capitalistica, o che subordini lo Stato-nazione solo in un altro modo. Piuttosto, la globalizzazione è la forma di una manifestazione della crisi stessa, e i "decisori", che fanno parte delle élite funzionali transnazionali dissociate e senza luogo, vengono essi stessi diretti. E' chiaro che lo sforzo dello Stato, per gestire la crisi nella competizione delle "localizzazioni" nazionali, si limita alle infrastrutture e alle altre condizioni strutturali, nel modo puntuale e "insulare", richiesto dal capitale globalizzato, mentre nelle parti desolate ed economicamente dissociate di ogni territorio, sono le stesse cose, dall'acqua alla polizia, quelle che subiscono un processo di abbandono. Gli spazi nazionali vengono scomposti in regioni (ancora) accoppiate e in regioni paria, dove le vecchie e le nuove disuguaglianze di sviluppo vengono a essere ulteriormente aggravate. È visibile anche lo sforzo da parte del "Leviatano democratico unito", sotto la direzione della "polizia mondiale" degli Stati Uniti, con azioni militari congiunte, fatte per contenere le guerre civili che scoppiano in tutte le regioni di collasso. Non si tratta più di "zone di influenza", nel vecchio stile, ma di una sorta di "imperialismo della sicurezza"; l'obiettivo non è la conquista, quanto piuttosto la "rassicurazione" che i circuiti dell'economia aziendale non vengano disturbati. Ma gli Stati-nazione sono sempre meno in grado di soddisfare tutte queste esigenze. Il capitale globalizzato, per il quale si suppone che servano, toglie dalle loro mani tutti i mezzi necessari, e lo fa con crescente ferocia, mentre allo stesso tempo i focolai di crisi si moltiplicano a passi da gigante. A ogni nuovo collasso finanziario, si avvicina la fine dell'economia monetaria, la quale, naturalmente, alla fine prenderà il sopravvento anche sullo spazio transnazionale senza luogo del capitale. E l'economia industriale globale, con le sue isole sparse di produttività, di certo non opera a un nuovo livello praticabile, ma il suo spazio di manovra si restringe a ogni impulso della globalizzazione. La concentrazione senza precedenti di capitali, che si è forgiata negli spazi transnazionali nel corso della "fuga in avanti" dell'economia delle imprese, preannuncia un cannibalismo economico nel mercato mondiale non regolamentato. I cosiddetti nuovi padroni del mondo, nella loro caccia alla diminuzione del potere d'acquisto e della redditività globale, possono solo divorarsi l'un l'altro, e quindi distruggere le "sovraccapacità" economiche reali, facendo sparire da questo mondo le ultime vestigia della "normalità" capitalista.
- Robert Kurz, dallo "Schwarzbuch Kapitalismus" [Il Libro nero del capitalismo], 1999 -
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