Denaro e antisemitismo: follia strutturale nella modernità produttrice di merci
- di Robert Kurz -
1. Il feticismo del denaro
Il denaro costituisce il fluido onnipresente della modernità, il lubrificante generale della società, la forma onnicomprensiva della riproduzione: «Il denaro fa girare il mondo».
Il denaro è anche la forma universale della ricchezza, poiché con il denaro si può (presumibilmente) comprare tutto; esso apre un accesso apparentemente illimitato, per coloro che hanno la capacità di pagare, alle possibilità del mondo, e pertanto rappresenta anche l'oggetto universale del desiderio. Per tutte queste ragioni, il denaro viene elogiato dagli ideologi dell'economia moderna, in quanto sarebbe l'invenzione più intelligente e più benefica per l'umanità. Ma, allo stesso tempo, il denaro è anche la forma di quello che viene vissuto come un terrore universale ed è così, in quanto il contrario della ricchezza, anche la formula di una mostruosa povertà mostruosa, la quale così non nasce più dalle condizioni naturali, ma viene artificialmente prodotta dalla società. Il denaro appare quindi come se fosse un potere sinistro,dal momento che esso è una "cosa astratta", indifferente a tutti i contenuti sensibili, rispetto all'essere umano e alla natura, ai sentimenti e ai legami personali. Il denaro può rappresentare tutto e niente, visto che esso comprende tutte le cose del mondo, eppure è completamente vuoto, come se fosse una sorta di nirvana economico. In questa astrazione sociale del denaro, non appena esso si impone realmente contro il mondo sensibile, si nasconde un enorme potenziale distruttivo: «Far valere le astrazioni sulla realtà significa distruggere la realtà» (Hegel). Nel denaro, in forma paradossale, le relazioni sociali e materiali vengono simultaneamente invertite: in quella che è la loro relazione sociale reciproca, gli esseri umani non rappresentano sé stessi,quanto piuttosto una quantità di pseudo-materia sociale astratta (oro, monete, banconote, impulsi contabili). Marx ha definito questa assurda relazione come "feticismo" della produzione di merci. Il denaro viene prodotto solo grazie a una divisione sociale delle funzioni, nella quale l'attività finalizzata alla riproduzione della vita grazie al «processo di metabolismo con la natura» (Marx), non viene consapevolmente organizzata in comune, ma si verifica come produzione privata separata finalizzata a dei mercati anonimi. La produzione diventa sociale solo più tardi, attraverso gli atti di scambio, il cui cieco mezzo è il denaro (la "merce universale"). Il denaro rappresenta i beni comuni astratti di quelli che sono dei prodotti qualitativamente diversi: il loro cosiddetto valore, il quale a sua volta non rappresenta altro che il dispendio della quantità di energia umana socialmente necessaria alla loro produzione. Socialmente, è necessario astrarre dalla forma concreta di questa spesa, perché essa può riferirsi solo all'equivalenza astratta delle merci. Orientato fin dall'inizio a questa generalità astratta del valore, e alla sua forma di manifestazione, il denaro, vediamo che il lato astratto dell'attività si determina a partire dal cosiddetto "lavoro" (semplice dispendio di energia umana), ivi compresa anche quella che è una "indifferenza universale", da parte dei produttori, relativamente al contenuto della loro produzione. L'importante è "fare soldi". Naturalmente, il lato distruttivo del denaro e la sua "astrazione reale" (Sohn-Rethel) non rimangono nascosti alla società, e ai suoi individui. Fin dalla più tenera età, questa contraddizione ha dato origine al tentativo di distinguere, ideologicamente, tra denaro "buono" e denaro "cattivo". Il momento distruttivo e astratto doveva essere separato, e proiettato su un potere esterno, negativo, come è avvenuto nei confronti delle comunità ebraiche, che sono state così definite, fin dal tardo Medioevo (sulla scia del risentimento religioso contro gli "uccisori di Cristo"). L'antisemitismo cerca pertanto di mantenere la forma del denaro, e tuttavia di definire la sua strana e irrazionale mancanza di contenuto, come se questa fosse una presunta "caratteristica ebraica", e facendo così degli "ebrei" dei capri espiatori. È la reazione irrazionale immanente all'irrazionalità del feticismo della merce e del denaro.
2. La miseria della concorrenza
Tuttavia, questo feticismo diventa una relazione generale e comprensiva solo attraverso la moderna trasformazione del denaro in capitale produttivo: il denaro viene riaccoppiato a sé stesso per "valorizzarsi" (per fare due di uno); e diventare così il "soggetto automatico" (Marx) di un nuovo modo di produzione. «Il mezzo è il messaggio» (McLuhan); il mezzo di scambio si trasforma in un fine in sé, che si impossessa gradualmente di tutta la riproduzione. Nell'interdipendenza tra "il lavoro astratto" e la "valorizzazione del valore", sorge un nuovo tipo di "socializzazione negativa", nella quale l'attività sociale viene individualizzata, e resa assolutamente dipendente dalle leggi autonome del movimento della "cosa astratta", a cui tutti i membri della società devono sottomettersi in quanto "individui isolati". In tal modo, le persone entrano in un rapporto reciproco di concorrenza totale, dove le forze produttive si sviluppano secondo una dinamica mai vista prima, in modo compulsivo, paradossale e distruttivo, che si scarica in delle crisi e delle catastrofi. Ed è logico che questo paradosso sociale dinamico - la cui struttura non è molto diversa dalla follia clinica (sebbene in una forma sociale oggettivata) - produca una miscela esplosiva di paura e di desiderio. La liberazione da questa illusione strutturale potrebbe consistere solo nel sostituire il feticismo del "lavoro", del valore e del denaro con una nuova struttura di autocomprensione sociale cosciente, alla quale tutti gli esseri umani partecipino (ad esempio, sotto forma di un sistema di consigli o di comitati) e decidano insieme l'uso sensato delle loro risorse e delle loro forze produttive. Tuttavia, al di là della modernità produttrice di merci, l'umanità non è ancora riuscita ad arrivare a questa prassi della ragione sociale e materiale-sensibile Le leggi coercitive del "lavoro" e del denaro, sono state interiorizzate in un processo di diversi secoli di oppressione, violenza, "educazione" e "diligenza" astratta (industrializzazione) e, in un certo senso, trasformate in tabù: chiunque critichi direttamente la struttura fondamentale feticista e voglia abolirla è considerato pazzo. Nella storia dell'imposizione di questo sistema di produzione di merci, sono perciò emerse varie idee e forme di reazione immanenti, presumibilmente per porre fine alle contraddizioni e alle crisi del feticismo moderno, però sul suo stesso terreno (senza una vera trasformazione). Contro la razionalità del liberalismo, che propaga (ancora oggi) la corsa cieca della competizione - e, così facendo, accetta l'esclusione di masse sempre più crescenti di persone - la razionalità del socialismo di Stato è stata posizionata, da Bismarck a Lenin, da Keynes a Castro, al fine di superare gli effetti critici della concorrenza in quelli che sono dei diversi sistemi di regolamentazione statale, più o meno estesi (spesa in deficit, Lo Stato sociale, lo Stato come imprenditore generale, ecc.), senza tuttavia mai abolire la produzione di merci, il mercato e la forma monetaria. Ma tutti questi tentativi di socialismo di Stato, nelle loro diverse varianti, hanno dovuto fallire ripetutamente (e oggi, definitivamente), perché lo Stato è sempre e solo l'altro polo della generalità astratta feticistica, e alla fine rimane sempre dipendente dalle leggi cieche della moneta capitalizzata. Sotto il mantello della regolamentazione statale, la concorrenza continua a fermentare, ed esplode con ancora più violenza (sia nell'economia interna che nelle relazioni esterne). Dal momento che il socialismo di Stato, basato sul sistema di produzione di merci che non è stato abolito, è troppo debole per riuscire a essere in grado di superare l'irrazionalità della struttura feticistica, e del sistema di concorrenza ad essa associato, ecco che a partire dal XIX secolo abbiamo visto sorgere, contemporaneamente, diverse correnti socio-politiche di quella che era un irrazionale "proseguimento della concorrenza con altri mezzi", al cui centro ideologico si è posto l'antisemitismo: La proiezione sugli "ebrei", delle caratteristiche astratte e distruttive della forma monetaria, continua definendo l'ebreo in quanto alieno "esterno" della concorrenza. Nella "guerra di tutti contro tutti" (Hobbes), la paura esterna genera il desiderio di un "noi" più chiaro, che malgrado la competizione si ponga al di fuori della competizione, e venga immaginato sotto forma di meta-soggetto contro tutti "gli altri", come se si fosse in un sistema di inclusioni ed esclusioni sociali, dove "l'ebreo" figura come se fosse "l'Altro universale", lo Straniero, che riunisce in sé tutte le qualità negative del denaro e della concorrenza. L'antisemitismo ha pertanto ripetutamente assorbito degli elementi, sia del liberalismo che del socialismo di Stato, in modo da formarsi così socialmente (e storicamente, nella forma del fascismo e del nazionalsocialismo). Ciò rivela sia tanto le differenze quanto le affinità e le sovrapposizioni tra il liberalismo, il socialismo di Stato e l'antisemitismo, che esprimono tutti, in modi diversi, la medesima irrazionalità razionale, ovvero lo stesso irrazionalismo, sul terreno comune del moderno sistema feticistico.
3. La naturalizzazione del sociale
L'auto-movimento cieco e sciolto della "cosa astratta", resa totalmente sociale sotto forma di capitale, ha portato gli ideologhi di questo sistema, fin dall'inizio, non solo a equiparare la "seconda natura" della socializzazione feticistica (priva, nella sua determinazione della forma, della volontà umana ) alla "prima natura"; ma a identificarla direttamente. Del resto, i classici del liberalismo e della "economia politica" consideravano le leggi cieche del denaro e del mercato come leggi naturali. La "macchina del mondo" fisica, dell'universo meccanico di Newton, trovò il suo equivalente nell'altrettanto meccanica "macchina del mondo" economica, ovvero, nella «bella macchina» (Adam Smith) del capitale. La metafisica del denaro è diventata così la fisica del mercato universale. Mentre, nel contesto della sua critica del feticismo, Marx considera ancora negativa questa pseudo-fisica delle categorie di un sistema produttore di merci, e formula la sua presentazione come una critica radicale, il socialismo di Stato (anche nella sua variante "marxista"), è ricaduto invece nel positivismo delle "leggi" feticistiche, le quali - "indipendenti dalla volontà umana" - sembrano essere presupposte come quasi naturali. Ma questa naturalizzazione pseudo-fisica del sociale continuò, poco dopo, in una biologizzazione dello sviluppo sociale e delle caratteristiche sociali. L'epocale scoperta di Darwin dell'evoluzione biologica, venne immediatamente cortocircuitata socialmente (anche da Darwin stesso) e trasferita sulla storia umana, come se si trattasse di un "processo di selezione" pseudo-biologico e come "sopravvivenza del più adatto". Questo "darwinismo sociale", era diretto contro le persone con delle disabilità e contro le cosiddette "vite senza valore", che dovevano essere soffocate alla fonte grazie a una rigorosa "igiene razziale" (controllo statale dell'ereditarietà, ecc.). In tal senso, il darwinismo sociale penetrò in profondità anche nel movimento operaio marxista, e venne difeso apertamente dai suoi principali ideologhi (ad esempio, da Karl Kautsky). Lo stesso socio-biologismo - con il suo slogan della "lotta per la vita" - ha segnato anche l'interpretazione della concorrenza generalizzata, e del conseguente sistema di inclusione ed esclusione sociale. Nel mentre che il liberalismo sosteneva un processo di selezione individuale socio-darwiniana, secondo dei criteri capitalistici, contemporaneamente si sviluppò anche un razzismo biologico onnicomprensivo, che trasformò ideologicamente la sindrome della competizione segnata dalla paura in una lotta tra razze "superiori" e razze "inferiori"; e inventò il mito della "razza ariana" (Graf Gobineau). L'antisemitismo, è stato rapidamente integrato in questa visione biologica e razzista del mondo. Mentre i cosiddetti popoli di colore (Africani, Asiatici, ecc.) erano definiti come razze "inferiori" o "sub-umane", invece "gli Ebrei" figuravano, al contrario, come la "razza superiore del male" e come il grande avversario spettrale degli "Ariani". Proprio allo stesso modo in cui l'antisemitismo aveva già proiettato su un essere "ebreo" la negatività strutturale del "dominio del denaro" e della competizione, gli "ebrei" erano ora diventati semplicemente gli "altri" biologici per natura; ai quali è inerente il male della socializzazione negativa e astratta, non solo storicamente o culturalmente, ma anche direttamente proprio nella loro esistenza fisica, biologica e "di sangue". L'antisemitismo completava così la naturalizzazione del sociale, presente in tutta l'ideologia affermativa del moderno sistema di produzione di merci, portandolo fino alle sue estreme conseguenze.
4. L'obbligo di lavorare e l'ossessione per la prestazione
La base, e in un certo senso il fuoco interiore, la forza motrice dell'incessante "valorizzazione del valore", rimane il "lavoro" astratto, vale a dire, quello che è l'altrettanto instancabile dispendio di energia umana, indifferente non solo al contenuto concreto di tale dispendio (in linea di principio, al capitale e ai suoi produttori non importa se producono torte di cioccolato o mine anticarro), ma anche alle conseguenze, ai "rischi" e agli effetti collaterali della razionalità (economica) a esso associata. I fini umani coscienti, non si traducono in attività ugualmente coscienti e organizzate in comunità, ma piuttosto, al contrario, i fini umani dipendono dal fine in sé del processo di valore e di "lavoro", in quanto come sua forma astratta di movimento. Nonostante una simile assurdità, fin dall'inizio dell'era moderna, il concetto astratto di "lavoro" è stato visto come un nobile obiettivo etico. Mentre in tutti i modi di produzione premoderni il fatto di sussumere delle persone all'astrazione di un'attività determinata da altri, veniva considerata negativa e inferiore, nell'"etica protestante", invece, il "lavoro" è asceso al traguardo, paradossalmente positivo, di quella che viene vista come un'autorealizzazione umana sotto lo sguardo di Dio.Tutto ciò, annunciava la secolarizzazione della religione, sotto forma di sottomissione alla "macchina mondiale" capitalistica. Sia il liberalismo che il socialismo di Stato (marxista), hanno dimostrato di essere gli eredi di questa "etica protestante". Con lo sviluppo progressivo del sistema produttore di merci, il "lavoro" astratto, e le altrettanto astratte "virtù secondarie" a esso associate (diligenza, disciplina, puntualità, ecc.), si sono propagate secondo quello che era il fine in sé della "cosa astratta", e pertanto la definizione di "benessere" è stata fatta dipendere da esse, senza tuttavia tener alcun conto del significato sociale, e del benessere reale degli individui. L'obbligo di lavorare, e l'ossessione per la prestazione, finalizzati a delle "costruzioni piramidali" sempre più assurde, fatte in nome del denaro - il quale è diventato fine a sé stesso - hanno determinato che le possibilità positive di sviluppo delle forze produttive siano state ripetutamente sperperate. Invece di attaccare questa relazione feticistica, e il suo concetto astratto di attività, il movimento operaio storico è riuscito ad arrivare solamente a quella che è rimasta una critica immanente del sistema, e ha fatto proprio il punto di vista del "lavoro". Benché, fosse esso stesso un'astrazione e, come tale, era realmente determinato solo dal fine, astratto in sé, del denaro, il "lavoro" (in particolare l'attività produttiva immediata) appariva piuttosto come "concreto" e significativo, in opposizione al mondo astratto della forma monetaria. "Capitale" e "lavoro" non erano, pertanto, intesi come se fossero le due facce della stessa medaglia, ma erano invece visti come se fossero esternamente in opposizione. Anziché una critica della forma feticistica della società, quella che è sorta, è stata la critica del "non lavoro", oppure quella del "lavoro improduttivo", del "reddito senza lavoro", del "parassitismo", dei "fannulloni", dei "profittatori", ecc. Ironia della sorte, il liberalismo ha sviluppato dei criteri assi simili, sebbene usando altri attori (in questo caso, i lavoratori salariati ribelli, che lottavano per la riduzione della giornata lavorativa, venivano visti come un "gruppo pigro"). Sebbene August Bebel definisse l'ideologia antisemita come "l'anticapitalismo degli imbecilli", l'antisemitismo riuscì a collegarsi sia alla "etica protestante" di base, e all'ossessione liberale per la performance, che alla critica riduttiva al capitalismo, da parte del movimento operaio. Non a caso, sul cancello di Auschwitz c'era scritto «Il lavoro rende liberi». Alla positivizzazione del "lavoro" e alla stigmatizzazione del "non lavoro", dell'"ozio", ecc. - per adattarsi alla visione antisemita del mondo - mancava solo di ricevere, insieme ai rispettivi attributi, anche una connotazione biologica. In tal modo, veniva ripetuta l'attribuzione naturalizzante del negativo: gli africani, gli slavi, ecc., venivano tutti definiti come gli «inferiori avversi al lavoro», mentre gli "ebrei" erano invece definiti come i «superiori negativi, avversi al lavoro», e come i veri antagonisti del principio "ariano" del "lavoro onesto". E in quanto presunti puntelli al "malvagio" denaro, e alla reale astrazione sociale in generale, "gli ebrei" venivano identificati, non solo con l'immagine nemica che corrispondeva alla sofisticata "oziosità parassitaria", ma anche con le astrazioni della ragione riflessiva. Non a caso Marx definiva la logica chiamandola il «denaro dello spirito». E così come non si può parlare di corda nella casa dell'impiccato, anche nella società produttrice di merci, basata sulle astrazioni reali, non si può - a partire dalla riflessione - chiamare inavvertitamente la forma feticista astratta con il suo proprio nome. Anche se è proprio il banale senso comune delle persone "che guadagnano denaro" a pensare astrattamente - fino alla stupidità, come ha già dimostrato Hegel - che il "pensatore astratto", nella sua forma riflessiva e quindi un po' pericolosa, viene disapprovato proprio perché, a causa dell'imposizione crescente di "fare soldi", la coscienza sociale è diventata sempre più positivista . Sia il pragmatismo liberale che il marxismo volgare del movimento operaio, svilupparono così entrambi - insieme al sentimento contro le rispettive definizioni di "non lavoro" e di "improduttività" - un corrispondente grado di ostilità verso l'intellettuale, che l'antisemitismo a suo modo avrebbe assorbito: l'"improduttivo" e ozioso "flâneur ebreo", o l'elegante bon vivant "Ebreo" è diventato così quasi sinonimo della figura dell'"intellettuale ebreo sovversivo", nel quale la forza negativa dell'astrazione si rivolge, di riflesso, contro il principio "buono" del "lavoro".
5. Capitale "creativo" e capitale "stupratore"
L'affermazione del "denaro buono" contro il "denaro cattivo", l'elogio del "concreto" (che, in realtà, non è altro che l'incarnazione della medesima socializzazione moderna realmente astratta) contro "l'astratto", e l'apoteosi del "lavoro" contro l'ozio e contro il "parassitismo" nel sistema dell'economia politica possono portare a una sola cosa: a una critica tronca del capitale fruttifero. identificato con la negatività dell'intero modo di produzione. Sebbene il capitale finanziario sia logicamente solo una forma derivata di capitale produttivo, e l'interesse sia solo una componente della creazione industriale di plusvalore, in questa comprensione superficiale vediamo che è solo l'interesse, il quale dev'essere pagato sul denaro preso in prestito o sul capitale monetario, ad apparire come "estorsione di plusvalore", e come "reddito senza lavoro" moralmente ingiustificato. Da un punto di vista economico, sono considerati "capitalisti" solo i proprietari del capitale monetario, banchieri, ecc., mentre gli imprenditori industriali vengono visti come se fossero una sorta di "lavoratori leader", con un salario imprenditoriale leggermente più alto, ovvero, con un "premio di rischio". Gli stessi imprenditori industriali, così come le piccole imprese familiari e artigiane, i quali dipendono dai prestiti bancari, e possono in qualsiasi momento cadere nella "trappola del debito", visti dal punto di vista dei loro interessi immanenti, tendono facilmente a essere oggetto di questa visione. In tal senso, diventa concepibile persino una critica liberale del capitalismo finanziario; e nel movimento operaio fu perciò l'ala quasi liberale, nella sua forma di una parte degli anarchici, che, da una posizione più incline alla piccola impresa, o nel senso di cooperative di produzione di merci, esigeva la «rottura della servitù dell'interesse» (Proudhon). Il marxismo del movimento operaio ha respinto tale posizione in quanto piccolo-borghese; ma la sua ideologia socialista di Stato, che non mirava all'abolizione del rapporto feticistico e del lavoro salariato in esso incluso - ma solo alla nazionalizzazione e alla regolamentazione burocratica del capitale produttivo privato - non era poi così tanto lontana da essa. Nella pratica dell'agitazione marxista di massa - specialmente sotto il segno di una "politica di alleanze" con i vari "piccoli produttori di merci" che lavorano - il capitalismo finanziario è passato come se fosse stato, esso da solo, al centro della critica, essendo gonfiato nella sua immagine di cattivo, in generale. L'antisemitismo potrebbe facilmente trarre vantaggio dalla critica tronca del capitale fruttifero, dal momento che già dalla fine del Medioevo "gli ebrei" venivano considerati usurai (ad esempio, in modo aggressivo e quasi fomentatore del pogrom, da Martin Lutero). Questa classificazione era dovuta al fatto che, secondo la Bibbia, ai cristiani era stato ufficialmente proibito addebitare interessi, mentre nel commercio c'era bisogno di credito. In molte città, alle comunità ebraiche, per motivi di concorrenza, veniva proibito di impegnarsi in attività commerciali. Così, alcuni cittadini ebrei furono costretti a impegnarsi nel commercio e nel prestito di denaro (sebbene l'Antico Testamento proibisse anche l'addebito di interessi). Lo straccione e il rottamatore ebreo, divennero così proverbiali, mentre l'esistenza storicamente consolidata di alcune famiglie di banchieri ebrei (tra cui i famosi Rothschild) potrebbe invece essere collegata a un odioso mito del "capitale finanziario ebraico". Il fatto che la stragrande maggioranza degli ebrei fosse tutt'altro che finanziariamente potente, be' questo non dava fastidio a nessuno. Così, a partire dai tempi di Lutero, e fino al XX secolo, la critica errata all'essenza del moderno feticismo della "schiavitù dell'interesse" si è mescolata con i toni antisemiti. A partire da questo, la regola generale è quella secondo cui non tutti i critici del capitale fruttifero sono (apertamente) antisemiti, ma tutti gli antisemiti sono critici del capitale fruttifero. Si tratta, in un certo senso, di una "economia politica dell'antisemitismo", la quale si presenta come se allo stesso tempo fosse anche una visione irrazionale del mondo. Questa ideologia si diffuse ampiamente, a partire da Proudhon, e si ritrova anche negli antroposofi di Rudolf Steiner così come nei seguaci del ciarlatano economico Silvio Gesell (e in tutti i movimenti settari del periodo pre e post guerra); per poi essere sintetizzata dai nazionalsocialisti e portata all'estremo. Nella contrapposizione tra capitale "creativo" e capitale "stupratore", l'ideologia nazista riassumeva tutti i momenti della sindrome antisemita. In tutto questo si trova inclusa anche l'astrusa idea della "cospirazione ebraica mondiale", che dalla fine dell'Ottocento aleggerà come un fantasma: l'anonimato e le leggi sovranazionali del mercato mondiale venivano demonizzati insieme, a partire da un'analogia tra le relazioni finanziarie transnazionali e l'esistenza "sospetta" dei ghetti ebraici sparsi per il mondo, identificati come sleali in senso nazionalista, col fine di identificare un diabolico "responsabile" che aveva tirato le fila dietro le quinte causando gli effetti incomprensibili e insoggettivi delle relazioni competitive, dei flussi di capitale e dei flussi commerciali globali (in un certo senso, la mania per la "cospirazione ebraica mondiale" è una caricatura della filosofia illuminista, che si riferisce anche alla storia vista come fatta da dei soggetti che agiscono consapevolmente, senza sospettare affatto delle strutture feticistiche). Allo stesso modo, l'irrazionale "economia politica dell'antisemitismo" spiega anche le crisi capitaliste. Il vero limite interno dell'accumulazione è da ricercare nel capitale produttivo stesso: quando, per una data struttura industriale, la capacità di espansione dei mercati si esaurisce e la razionalizzazione consuma più posti di lavoro di quanti ne vengano creati, i profitti realizzati nei precedenti periodi di produzione non possono più essere investiti in modo sufficientemente redditizio in investimenti produttivi aggiuntivi. Questa situazione di "sovraccumulazione" (Marx) del capitale porta, da un lato, a una spirale negativa di crisi, licenziamenti, contrazione dei mercati, ecc. D'altra parte, il capitale monetario che non può più essere reinvestito in modo redditizio fluisce nei mercati finanziari e, sotto la pressione delle valutazioni, genera una bolla speculativa (la creazione di valori fittizi), il cui scoppio alimenta ulteriormente la crisi. La teoria irrazionale della crisi, che si fissa unilateralmente solo sul capitale finanziario, in questo dispiegarsi della crisi non fa altro che invertire la causa e l'effetto: la speculazione, che è sorta dalla crisi del capitale produttivo stesso, appare inversamente come se ne fosse la sua causa, e gli "speculatori" vengono pertanto dichiarati essere i soggetti maligni della crisi. E poiché il capitale finanziario è già stato definito come "ebraico", ecco che vediamo che non ci vuole troppa deduzione per posizionare correttamente quale ruolo specifico giochi nella crisi, lo "speculatore". Questo è il modo in cui i nazisti interpretarono con notevole successo propagandistico la crisi economica mondiale del 1929-33 .
6. Auschwitz – la rivoluzione tedesca
La sindrome antisemita ha accompagnato il capitalismo fin dall'inizio, ed è sempre rimasta presente in tutti i paesi del moderno sistema di produzione di merci, anche laddove non ci sono ebrei. Ed è proprio "l'antisemitismo senza ebrei" a dimostrare il carattere di questa ideologia aggressiva, in quanto visione irrazionale del mondo che non è nata da dei conflitti empirici. Tuttavia, tutto questo non spiega il perché della presenza universale dell'antisemitismo nel mondo moderno, e perché solo in Germania sia stata in grado di intensificarsi fino a quel crimine contro l'umanità che è stato l'Olocausto. Auschwitz, probabilmente manterrà per sempre un momento di inspiegabilità che non è accessibile alla ragione riflessiva. Tuttavia, è possibile indicare le ragioni per cui il Reich tedesco divenne l'organizzatore di questo orrore universale. Innanzitutto, va detto che nel XIX secolo, tra i grandi paesi capitalistici, la Germania era il ritardatario storico, la "nazione arretrata". Mentre in Inghilterra, in Francia e negli Stati Uniti la modernizzazione veniva a essere ancora associata a un'enfasi borghese rivoluzionaria, e alle speranze repubblicane, in Germania essa iniziò invece solo a metà del secolo, insieme alla grande crisi della trasformazione dell'industrializzazione. Ideologicamente, in Germania, la formazione del moderno stato-nazione capitalista era pertanto meno legata al pensiero superficialmente razionalista dell'Illuminismo, ed era invece più legata al contro-movimento romantico irrazionale, il quale si manifestava in una sorta di miscela contraddittoria tra quello che erano i diversi elementi modernizzanti, da una parte, e una critica reazionaria e fantasmatica della"economia monetaria astratta", dall'altra. Una conseguenza di tutto questo fu che la nazione tedesca, in contrasto con il concetto occidentale di Legge e di Stato, venne biologicamente legittimata a partire da da alcune teorie "etniciste" e razziali della discendenza (fino ad oggi, tuttora la cittadinanza della Repubblica Federale di Germania viene definita come «per linea di sangue»!). Questa base ideologica, e persino giuridica, dello Stato nazionale tedesco ha favorito in particolare una teoria sociale e di crisi irrazionale, biologica e, più precisamente, antisemita. Le élite tedesche ne furono quasi tutte contaminate, ivi comprese persone che oggi non sarebbero sospettate (ad esempio, Thomas Mann). In secondo luogo, la Germania era nota per essere l'unico dei grandi paesi capitalistici a non aver subito una rivoluzione borghese (si può dimenticare il ridicolo e fallito episodio del 1848). La modernizzazione e la formazione dello Stato nazionale furono effettuate "dall'alto", dal vecchio apparato assolutista guidato dalla Prussia, particolarmente autoritario e militarista. La storia della modernizzazione tedesca non è stata perciò segnata da rivolte e rivoluzioni, ma piuttosto da una "cieca obbedienza", in quanto fenomeno di massa interiorizzato nella famiglia, nella scuola, nella fabbrica e nell'esercito. Va detto anche che il movimento operaio socialista era il più imbevuto dello spirito di questa disciplina prussiana, rispetto a quello degli altri paesi. A partire dall'incontro tra l'autolegittimazione irrazionale della "nazione tedesca" "etnicista" e la tradizione autoritaria prussiana, è sorto, sotto forma di nazionalsocialismo, un tentativo di "liberare" il mondo capitalistico dal "lavoro" dalla violenza dell'astrazione reale, assumendo l'antisemitismo come dottrina di Stato; ma non attraverso la resistenza sociale, le rivolte o la rivoluzione, bensì attraverso l'annientamento fisico dei presunti portatori biologici del male "astratto", del "non-lavoro" parassitario, dell'"intellettualismo sovversivo", del capitale finanziario "rapace" e della "speculazione", la quale causa crisi, ecc. In una parola: il "capitalismo tedesco" (e il capitalismo in generale) avrebbe dovuto essere trasformato, attraverso la morte degli ebrei nelle camere a gas, in una società totalmente "concreta", nella quale il "lavoro" sarebbe così diventato una generalità biologicamente pura, senza la legge coercitiva della valorizzazione astratta. Il teorico nord-americano Moishe Postone ha formulato accuratamente questa mostruosa assurdità del nazionalsocialismo: «Auschwitz era una fabbrica di distruzione del valore». Lì non veniva prodotto nulla, ma si eliminava in serie l'astrazione reale sociale della modernità, senza però superarla in maniera emancipatrice. Non è stato solo il numero di milioni di vittime, ad aver reso l'Olocausto una singolarità storica, quanto invece la completa assenza di un punto di vista che possa essere definito a partire da degli interessi, come lo si trova, in un modo o nell'altro, dietro tutti gli altri genocidi e omicidi di massa avvenuti nella storia della modernizzazione. L'Olocausto, ha rappresentato un fine in sé che è stato eseguito con fanatismo (a esso, sono state sacrificate persino delle risorse che erano importanti per la guerra), e tutto questo per sbarazzarsi del fine in sé del capitale. Il capitalismo, che non è stato sostituito, doveva essere trasformato, con l'aiuto delle camere a gas, in una forma che non sarebbe stata, in sé, capitalista. In tal senso, Auschwitz ha costituito la "rivoluzione tedesca"; l'unica che sia mai stata "realizzata" in questo paese. I tedeschi, obbedienti fino alla morte, difesero strenuamente questa "rivoluzione", e la portarono avanti con la precisione di un orologio, disciplinati com'erano in tutte le loro virtù secondarie. Solo in questo paese, e con questa storia specifica, la sindrome antisemita avrebbe potuto intensificarsi in quanto pseudo-rivoluzione "dall'alto", fino all'ultima barbarie immaginabile.
7. Crisi del lavoro e capitalismo da casinò
Nella storia tedesca del dopoguerra, la vera essenza di Auschwitz non è mai stata né discussa né rivista, poiché ciò avrebbe immediatamente portato alla luce la questione fondamentale relativa al sistema della modernità. Non solo le élite capitaliste della RFT (che si presentava come lo Stato successore, ufficiale, del "Terzo Reich") non avevano alcun interesse a farlo, ma per le potenze occidentali, con gli Stati Uniti in testa, una rivelazione sulle radici della sindrome antisemita sarebbe stata solo una seccatura in quella che allora era la nuova era di integrazione capitalistica del mercato mondiale. Ma anche nella DDR - che coltivava le infelici tradizioni prussiane, non solo esteriormente attraverso la marcia militare del suo "Esercito Nazionale del Popolo" - la revisione dell'antisemitismo rimase estremamente superficiale, e senza alcuna convinzione, e ben presto venne sostituita dalla propaganda "antisionista", guidata dalla politica di alleanza dell'Unione Sovietica con gli Stati arabi. Naturalmente, l'antisemitismo non poteva essere identificato come il nucleo dell'ideologia nazista, perché la critica tronca del capitalismo, fatta dal marxismo del movimento operaio, non affrontava la problematica dell'astrazione reale feticista, che veniva tematizzata in maniera irrazionale e omicida dall'ideologia antisemita. I partiti socialisti e comunisti (così come le correnti anarchiche) non sono mai stati i principali portatori della sindrome antisemita, ma però hanno sempre avuto dei punti di contatto, e dei rapporti poco chiari con essa (e questo costituisce la storia segreta del socialismo tradizionale). La visione del mondo, e l'interpretazione antisemita della crisi sono pertanto rimaste invariate, dal momento che all'epoca della "ricostruzione" e del "miracolo economico" hanno continuato a essere "dormienti" nel subconscio sociale. A partire dagli anni '80, il capitalismo mondiale, sotto il segno della rivoluzione microelettronica, è entrato di nuovo in un'epoca di crisi, caratterizzata da una qualità storicamente nuova dell'automazione, della razionalizzazione e della globalizzazione del capitale. Per la prima volta, "l'esercito industriale di riserva" (Marx) non ha potuto più essere riassorbito ciclicamente; lo sviluppo ciclico si è trasformato in sovraccumulazione strutturale di capitale, accompagnata da una massiccia disoccupazione strutturale, e in costante crescita in tutto il mondo. Sebbene la "crisi della società del lavoro" fosse stata proclamata, mettendo così in discussione una categoria fondamentale della modernità e della sua socializzazione veramente astratta, negli anni '80 si riteneva ancora che tuttavia sarebbe stato possibile uscire facilmente da questa situazione. La critica pseudo-edonistica del "lavoro", rimase superficiale e si nutrì degli echi del "miracolo economico"; la speranza di un'espansione del "tempo libero" capitalistico, con alti redditi e alti standard di consumo, mostrava solo come la relazione tra "lavoro" e forma monetaria non fosse stata compresa. Negli anni '90, arriva la grande sbornia. Dopo il crollo del socialismo di Stato, che fu solo un momento della nuova crisi mondiale, tutte le critiche fondamentali al sistema competitivo si zittirono, mentre simultaneamente veniva alla ribalta il rapporto represso esistente tra le diverse categorie capitalistiche: la critica superficiale e consumistica del "lavoro", venne sostituita dal clamore per i "posti di lavoro", e da un dibattito frenetico sulla "localizzazione degli investimenti". Contro la globalizzazione, è ora proprio la sinistra a volersi rifugiare nel keynesismo ormai da tempo obsoleto e legato alla regolamentazione nazionale. Questa nostalgia keynesiana, che spazia dalla socialdemocrazia di destra fino ai residui del radicalismo di sinistra, non vuole ammettere il carattere fondamentale della crisi. La speranza che «ci saranno abbastanza soldi», è una richiesta irrealistica allo Stato che tenta di riportare alla comunità nazionale i mercati finanziari in libera uscita. Contro il capitalismo da casinò di quella che è una sovrastruttura speculativa senza precedenti nella storia, e che è sorta dalla sovraccumulazione strutturale del capitale, ora si invocano in maniera impotente "investimenti produttivi". Al congresso della SPD, all'inizio del dicembre 1997, il presidente Lafontaine chiede un'azione «contro gli speculatori». In tutta Europa (e in tutto il mondo), i sindacati, i Verdi, i socialisti, i comunisti, ecc. suonano la stessa canzone. Certamente, non sono (ancora) antisemiti, ma mobilitano tutti, ma proprio tutti, i motivi della "economia politica dell'antisemitismo"; anziché abbandonare il paradigma debole e obsoleto del socialismo di Stato, e passare a una critica abolizionista emancipatrice dell'astrazione reale feticista. Così, la nostalgia keynesiana della sinistra diventa il motore inconsapevole di una nuova ondata antisemita di interpretazione fantasmatica della crisi, che nella sua forma rimane ancora poco chiara. All'estrema destra del conservatorismo e nello spettro della destra radicale, delle bande di skinhead, dell'esercito tedesco, ecc., stanno già fiorendo apertamente gli slogan antisemiti e si verificano gli "incidenti". Mai negli ultimi 50 anni è apparso così chiaro come oggi che l'antisemitismo ormai potrà scomparire solo insieme al capitalismo. Nella crisi, quella che viene evocata è proprio questa verità elementare: il "dormiente" si risveglia e i demoni ritornano.
- Robert Kurz - Pubblicato il 29/6/2025 - Fonte: História e Desamparo
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