sabato 23 agosto 2025

Il primo a raccontarla…

«Sorrido sempre quando qualcuno intervistandomi mi chiede se le recensioni siano un modo per sbarcare il lunario (a differenza dei libri, che sarebbero, si sottintende, la “cosa vera). Per me le recensioni sono il pezzo forte». Cosí si legge nel Manifesto di un critico, un saggio che è una vera, illuminante dichiarazione di poetica. Il critico serio, sostiene Mendelsohn in quelle pagine, non si limita a imporre il suo «mi piace» o «non mi piace» (come malauguratamente i social media ci abituano a fare), ma dà «a te lettore gli strumenti per farti una tua idea», condividendo la sua conoscenza, esplicitando le ragioni su cui si fonda il suo giudizio, e soprattutto cercando di trarre un senso dall’opera di cui si sta parlando. Ed è esattamente ciò che questo critico serio non manca di fare negli scritti raccolti in ognuna delle tre sezioni tematiche di cui si compone Estasi e terrore: «Miti di ieri », dedicata a testi antichi e alla vita dei loro autori, «Miti in technicolor», su film e serie televisive, e «Miti d’oggi», che accoglie temi contemporanei e di stampo autobiografico. Che si tratti del rapporto fra teatro tragico e spazio pubblico nell’antica Atene o della parabola artistica di Almodóvar dagli esordi fino a Volver, della persistenza del mito del Titanic nella cultura contemporanea o di una relazione epistolare intrattenuta per un decennio con la scrittrice Mary Renault, o di qualunque altro tema, Mendelsohn ha sempre qualcosa di nuovo da insegnarci, e riesce a trovare un significato profondo e sorprendente laddove forse non avevamo mai pensato di cercarlo. E allora questi scritti, che si potrebbero anche leggere come frammenti di un’eclettica e proteiforme autobiografia intellettuale, si impongono soprattutto come luminosi esempi di quello che andrebbe considerato un genere letterario a sé stante: la recensione seria, ovvero quella scritta da chi, ogni volta che entra in un cinema o in un teatro, ogni volta che apre un libro o ascolta un brano musicale, sente che «c’è in gioco qualcosa di straordinariamente importante».

(dal risvolto di copertina di: Daniel Mendelsohn, "Estasi e terrore. Dai greci a Mad Men". Einaudi, pagg. 394, € 22)

I miti fanno viaggiare gli uomini e i libri
- di Stefano De Matteis -

Sì, lo dichiaro subito, sono un fan di Daniel Mendelsohn, perché ho trovato “Gli scomparsi” bellissimo e importante con quella intensità linguistica e quella forza letteraria che l’ha trasformato in un libro necessario e indispensabile non solo per quel ricco e altalenante scaffale sull’Olocausto. Ma quando ho aperto “Estasi e terrore”, mi è venuto da storcere il naso. Innanzitutto perché è una raccolta di saggi e queste non sempre hanno la compattezza di un libro. Poi si dichiara apertamente che è frutto di un’idea redazionale e quindi per un verso ho cominciato a sentire puzza di marketing per un altro ci intravedevo il classico “sfruttamento” di un autore di successo. Dichiaro pubblicamente che, appena ho iniziato a leggere, ho dovuto ricredermi: Mendelsohn affina qui le sue migliori armi letterarie e di studioso dei classici, per compiere attraverso i miti uno straordinario viaggio nella storia vissuta dagli uomini o narrata dalla letteratura. E ci fa da guida così nell’officina della mitologia per studiarne il meccanismo che li produce e per analizzare come questi si irrobustiscono nel tempo. Una tecnica che esplicita in uno dei capitoli centrali, che parte da una sua passione, quella per il Titanic.

   Dal 15 gennaio del 1912, quando la più grande metafora della modernità si scontra con la forza della natura incarnata in un iceberg, l’umanità non ha mai smesso di interrogarsi, facendo ricorso alle più diverse forme della rappresentazione: solo nell’anno successivo al disastro gli furono dedicate più di cento canzoni, cui seguirono ricostruzioni, biografie e analisi (da cui lascia fuori lo straordinario poema di Enzensberger) fino ai notissimi colossal cinematografici. Tutte interpretazioni legittime, ci dice Mendelsohn, ma nessuna del tutto convincente: se vogliamo comprendere davvero perché questa storia non riusciamo a dimenticarla, bisogna voltare le spalle ai fatti e inquadrare il Titanic nell’ambito a cui realmente appartiene, quello del mito. Questo intreccia più piani e riferimenti a costruire nuclei di azione che sono, nello stesso tempo, emotivi e ideologici, sociali e culturali, materiali, come le classi, e “spirituali”, come l’amore, a costruire una trama che ci pone interrogativi sul passato e sul presente, su loro (ieri) e su noi (oggi). Lo stesso vale per l’11 settembre, dove la domanda riguarda come la storia possa diventare dramma e quanto i film nati dalla strage siano all’altezza del compito. Appare evidente che la cultura di massa, presa com’è a rendere credibili e veritiere, lineari e semplificate le sue produzioni, toglie ai temi affrontati quella complessità che è propria del mito, a partire dallo sfondo che li sostiene e che riguarda il più ampio schema morale cui si riferisce. Forse, il confronto con i classici ci dice di più, infatti l’autore individua nel parallelo con i Persiani di Eschilo assonanze significative. «Non sarebbe affatto impossibile scrivere una vera tragedia, una tragedia greca, sull’11 settembre e le sue conseguenze…», a partire «dal destino in apparenza inevitabile che può precipitare nel caos i più grandi imperi per l’azione di un manipolo di nemici resi immuni dalla paura della morte dal proprio fervore ideologico. O potrebbe parlare di un impero reso profondamente vulnerabile dal rifiuto di prendere sul serio i propri nemici… oppure potrebbe parlare dell’apparentemente irriducibile estraneità dell’Occidente all’Oriente…».

  Sebbene l’autore sia sempre interessato a confrontarsi con i miti d’oggi cui dedica tra l’altro uno spassosissimo capitolo sulla nascita e, soprattutto, sull’inondazione attuale del memoir la linea che accomuna i saggi è il continuo e ripetuto riferimento ai classici, ai miti di ieri di cui la prima parte rappresenta non solo l’esercizio di una conoscenza approfondita, ma anche il piacere didattico e divulgativo nel rileggere il passato per ritrovarne l’attualità, andandola a cercare nel confronto lì dove meno ce lo si aspetti. Da giovane universitario l’impatto con Erodoto fu scioccante: un credulone che si dilunga nei dettagli più astrusi da cui derivava la «sensazione che provi quando ti trovi in vacanza con un genitore di cui ti vergogni. L’unica cosa che desideri è mettere un po’ di distanza fra te e lui, col suo carico di guide turistiche, vecchie macchine fotografiche e souvenir pacchiani – per non parlare della sua camicia hawaiana». Ovviamente il tempo e il corpo a corpo con l’autore gli farà cambiare opinione: ne apprezzerà lo stile sofisticato, la ricerca e la capacità del mostrare i conflitti. Ed ecco che così l’opera apre numerosi link, creando un circuito fittissimo di collegamenti ipertestuali e che sembrano seguire la regola della libera associazione. (Sì, c’è molto Freud in queste pagine, dichiarato e citato, come un bastone a cui sorreggersi e un metodo per capire anche se stessi e le scelte che compiamo). Segue il confronto con Tucidide, sottoposto da una parte della critica recente a diverse forme di manipolazione interpretativa. Non mancano occasioni per misurare avvenimenti odierni, come la sepoltura dell’uomo considerato il responsabile dell’attentato alla maratona di Boston, con Antigone o ragionamenti sull’attualità delle Baccanti o sulla necessità dell’Eneide. A mano a mano che si va avanti, affiora sempre più precisa la chiave dell’intero volume. Innanzitutto il critico «serio» è quello che sa mescolare competenza e gusto, ed è capace «di mediare con intelligenza ed eleganza fra un’opera e il suo pubblico; educare e istruire in modo appassionante e, se possibile, divertente»: il suo ruolo è quello di chi ci aiuta a capire, non solo l’opera, ma il mondo di ieri assieme a quello di oggi e viceversa. Ed è per questo che le sue recensioni non sono un modo per sbarcare il lunario, ma «il pezzo forte». C’è comunque un filo ulteriore che unisce i testi: capiamo (anche grazie a Freud) che nelle sue passioni ha continuato ad occuparsi principalmente di conflitti che trasformano coloro che sono coinvolti rendendoli irriconoscibili a sé stessi, ma è attratto soprattutto da «bande di reietti sopravvissuti a una terribile persecuzione…» e che ci narrano «una storia che sia il vecchio sia il nuovo mondo conoscono fin troppo bene e Virgilio è stato il primo a raccontarla».

- Stefano De Matteis - Pubblicato su La Domenica del 28/7/2024 -

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