domenica 10 agosto 2025

Il Cerotto sul dito del “Capitano” Olivier Lek Lafferrière

Appunti sull'ultima alzata d'ingegno, da parte di Olivier Lek Lafferrière con la sua grandiosa e indigeribile tesi a proposito dell'auto-antisemitismo degli Ebrei
- di Clément Homs -

   Udite, udite, Olivier Lek Lafferrière - della UJFP-Tsedek - ha appena pubblicato sul suo blog un nuovo testo dal titolo: "Il principale fattore di identificazione tra Israele e gli Ebrei, è il Sionismo" [*1]. Detto in altre parole – visto che quando il pensiero balbetta attraverso degli slogan, diviene necessario tradurlo: attraverso questa perversa equazione, «sionismo=antisemitismo», che viene rimaneggiata per essere riproposta con la regolarità di un pappagallo sindacalizzato (come tanti altri prima di lui [*2]), stiamo assistendo a un capovolgimento patologico delle responsabilità, che dev'essere diagnosticato come qualcosa che non può in alcun modo essere definita intellettuale. In questo comodo capovolgimento, l'antisemitismo non sarebbe più colpa e responsabilità di chi lo professa, di chi lo diffonde o lo trasforma in azione, ma piuttosto di alcuni Ebrei europei, forse persino di alcuni loro compagni di merenda, o familiari, allorché hanno avuto la sfortuna di non leggere i testi giusti. Perché il nemico, in questa logica, non è più l'antisemita, bensì l'ebreo politicamente sospetto a causa dei suoi comportamenti socio-politici (il suo "sionismo"!!), il cui sionismo immaginario o supposto – oppure reale, o ereditato, o mal formulato – diventa l'innesco universale dell'odio. E nel mentre che egli viene accusato, il vero antisemita può dormire sonni tranquilli: non c'è più bisogno che esista, è stato sostituito da una figura più pratica: l'Ebreo responsabile della sua propria persecuzione. È questo il bello di questo metodo: la storia viene riscritta a vantaggio del boia, grazie alla penna di Lek Lafferière intinta nella buona coscienza. Per il nostro teorico, di livello mondiale, dell'antisemitismo – autoproclamatosi tale mentre se ne sta seduto sullo sgabello traballante della sua lucidità –  gli antisemiti contemporanei di Issoire, di Châteaudun o di Pétaouchnok, non odiano veramente gli ebrei per convinzione ideologica, ma sarebbero piuttosto vittime di un'ipnosi involontaria, schiavi di una stregoneria narrativa proveniente dal CRIF (Consiglio Rappresentativo delle Istituzioni Ebraiche di Francia), da Netanyahu o - al culmine della loro perfida raffinatezza - dai "sionisti di sinistra" (se non addirittura da Jonas Pardo da sé solo!). Si pensava che l'antisemitismo fosse radicato nella storia e nella coscienza feticizzata delle relazioni sociali capitalistiche (nel senso di Moishe Postone), ma ora viene invece qui ridotto a un fraintendimento mediatico. Rimane da vedere se ora verrà chiesto un risarcimento danni per manipolazione intellettuale! Per questa sorta di professore-formatore (militante, naturalmente, visto che, per l'infallibilità, il diploma non è più sufficiente), l'antisemitismo in quanto ideologia di crisi autonoma rispetto a quello che è contesto delle relazioni sociali capitalistiche, o come loro coscienza feticizzata, insieme alle sue forme fenomeniche, quali sono l'antisemitismo secondario del rifiuto della colpa, l'antisemitismo di sinistra e di destra, gli antisemitismi interclassisti, di crisi e di proiezione risentita, o l'antisemitismo nazionale e quello religioso (ivi compresi tutti gli antisemitismi extra-europei), ecc., non esistono affatto.

   Nel mondo, così come lo sogna Lek Laférière, non si diventa antisemiti né per storia, né per struttura, e nemmeno per convinzione: no, è solo un incidente mediatico. Ti alzi la mattina, leggi una dichiarazione del CRIF, ovvero una dichiarazione di Netanyahu e ... puf! ecco che si diventa antisemiti. La spiegazione è semplice, diretta, comoda: l'antisemita non coltiva odio, non fa parte delle relazioni sociali capitaliste, ma ha solo un abbonamento a delle pessime riviste. Nessuna ideologia della crisi, nessuna proiezione feticistica legata a un trattamento ideologico antiebraico di quelle che sono le proprie sofferenze, e delle insopportabili richieste legate alla storia della modernizzazione, nessuna dinamica sociale del capitalismo di crisi: si tratta solo di un malinteso, di un equivoco intercorso tra un lettore ingenuo e un comunicato mal redatto. Antisemitismo? Una reazione allergica al sionismo, niente di più. Ai suoi occhi, quello che è l'agente dell'azione antisemita contemporanea non è più l'antisemita in carne e ossa, e nemmeno l'ideologia della crisi antisemita autonoma, la quale, tuttavia, la si può vedere solidamente ancorata nella coscienza feticizzata delle relazioni sociali capitalistiche. Piuttosto, secondo questo genere di imbecille aggregato, l'antisemita sarebbe diventato una vittima. Un brav'uomo ingannato. Un poveraccio che si è perso tra due comunicati stampa della CRIF e un reportage su Gaza. Non ha una sua propria volontà, ma solo un telecomando in mano e nelle orecchie i propagandisti del governo israeliano di estrema destra. su BFM-tv. Insomma, un antisemita accidentale, anacronistico, disorientato; come se la coscienza feticizzata si fosse ritirata lasciando il campo a un thread di Twitter letto male. E dal momento che ora l'antisemita è innocente, a causa della confusione geopolitica, ecco che la colpa, naturalmente – ancora una volta, come nei libri cattivi, prima del 1945 – è nuovamente degli Ebrei.

   È questa l'ultima scoperta, sua e della sua galassia: la riabilitazione morale dell'antisemita per mezzo del trasferimento della colpa; un gioco di prestigio dialettico nel quale l'Ebreo viene gettato sotto l'autobus della storia, mentre allo stesso tempo si sostiene che l'autista che lo guida sarebbe egli stesso che invece si è perso. Non si tratta più semplicemente di quella vecchia ginnastica nella quale la vittima diventa a sua volta il carnefice degli altri; no, l'attuale abilità retorica è assai più raffinata: la vittima dell'antisemitismo (Ilan Halimi, Mireille Knoll, i bambini di Tolosa, i clienti dell'Hyper Cacher, ecc.) viene trasformata in un carnefice di sé stesso, in una complice per procura, in un'antisemita di rimbalzo. Viene emessa la sentenza: l'antisemitismo che sostenete di subire, siete voi stessi. Ecco la genialità dialettica a cui si attiene, nell'ambito di una devozione de-coloniale mal ripassata, Olivier Lek Lafferrière. In tal modo, contro l'antisemitismo, ricicla diligentemente il ricatto morale di Bouteldja: «diventate antisionisti, altrimenti noi finiremo per essere tutti antisemiti». Come a dire, trattenetemi, altrimenti -  come Mohamed Merah (di cui dice di aver riconosciuto un po' di sé: “riciclaggio” obbligatorio, capisci a me!!) - sparerò a quel ragazzino con la kippah un colpo in testa. Ma il fatto che Bouteldja affermi di aver riconosciuto una parte di sé in Mohamed Merah ormai non sorprende più; ciò che invece stupisce è che altri se ne facciano portavoce senza battere ciglio.  In tal modo, Lek Lafferrière porta avanti - con lo zelo di un maestro militante bisognoso di una causa pura - il vecchio ritornello dell'UJFP-Tsedek: questa organizzazione sull'orlo della liquefazione riflessiva, la cui storia ci ricorda soprattutto i suoi ripetuti eccessi antisemiti (segnalati dalle organizzazioni di sinistra antisemite dei rivoluzionari ebrei, dalla "Réseau d'Actions contre l'Antisémitisme et tous les Racismes" (RAAR), da Golem France et Belgique, etc.), così come le sue negazioni e l'invenzione di quello che appare come un "concetto miracoloso": l'Auto-Antisemitismo ebraico, come dire, una soluzione definitiva a un problema che nelle conferenze "antisioniste" era troppo imbarazzante. Lo sport preferito di Lek Lafferrière – nel quale egli eccelle con la resistenza di un maratoneta ideologico – consiste nell'attribuire sistematicamente la totale mancanza di responsabilitànella a ogni e qualsiasi antisemita, in Europa e dovuque. Ai suoi occhi, l'antisemita non è mai un autore, ma è sempre e solo un lettore e un ascoltatore fuorviato; non è mai agente, ma sempre e solo reattivo; mai carico d'odio, ma solamente irritato; dagli Ebrei, naturalmente, i quali, come tutti sanno, si ostinano a esistere.

   L'attuale ideologia antisemita autonoma? Un miraggio. La lunga storia dell'odio? Una distrazione. La struttura del capitalismo e delle sue forme feticizzate? Un dettaglio, a condizione però che l'antisemitismo non venga visto come una sua produzione autonoma. Perché sta tutto in questo: per Lek Lafferrière, per l'UJFP e Tsedek, l'Ebreo dev'essere a tutti i costi reso responsabile dell'odio che nutriamo per lui. È questo il più antico Ideologema del bestiario antisemita, riciclato fin dall'antichità a tutt'oggi sotto la forma della "colpa ebraica" – come se la vittima, mostrandosi, parlando o semplicemente essendo, stesse già provocando l'aggressione [*3]. Questo gioco di prestigio intellettuale ha deliziato l'estrema destra del XIX° secolo, ma anche la sinistra virtuosa: l'antisemita non odia, "reagisce": reagisce ai Rothschild, reagisce allo Stato di Israele, reagisce a un presunto atteggiamento, reagisce a un nome pronunciato male, reagisce a una presenza troppo visibile. In altre parole: l'ebreo è il fiammifero, e l'antisemita è solo il fumatore nervoso. E che dire dell'UJFP-Tsedek? È il produttore di accendini. Lek Lafferrière, da buon erede del pensiero a circuito chiuso, non ha inventato assolutamente nulla (non più di quanto abbia fatto Pierre Stambul, il suo gemello nel radicalismo riciclato). La loro scoperta, questa solenne inversione di responsabilità – dove gli ebrei vengono designati come i piromani del fuoco che li consuma – ha già fatto carriera; a partire dal dopoguerra, nell'antisionismo sovietico e nella sua "sionologia" accademica: questa scienza del nemico interno, fabbricata affinché l'antisemitismo possa indossare le vesti della virtù proletaria. In seguito, la ritroviamo poi, in vestaglia e in pantofole ideologiche, nella casa di Roger Garaudy, un negazionista pentito nell'Islam politico, che afferma tranquillamente che, alla fine, l'antisemitismo è stato provocato dagli ebrei stessi: a causa del loro sionismo, della loro presunta arroganza, della loro ostinazione nel voler esistere, e non in silenzio.

   Nel riprendere oggi questa tesi, e additando il comportamento politico-sociale degli ebrei come se fosse la causa del "nuovo incendio" antisemita in corso in Francia e altrove, Lek Lafferrière e il suo "think tank" in decomposizione non fanno altro che rovistare nella pattumiera antisemita della storia, con quel macabro giubilo che ostentano coloro che scoprono un cadavere, credendosi archeologi. Ma a forza di rovistare nei rifiuti dell'ideologia, si finisce  sempre per dare da mangiare ai topi. E qui - come altrove - l'antisemitismo si nutre assai bene degli avanzi che gli vengono serviti, mentre spiega che questa volta non è proprio così. E così ora Lek Lafferrière non può che contorcersi morbosamente nella cattiva coscienza accumulata dai «Ceci dit» (sic), rivolgendosi alle sue stesse truppe che non riesce più a tenere a bada: la spiegazione antisemita dell'antisemitismo, è parte integrante di lui. E per anni, tutti questi problemi, che con altri contribuisce a creare nel suo pubblico, li ha trascinati in giro come fosse il miserabile cerotto incollato al dito del capitano Haddock: sempre lì, grottesco, imbarazzante e impossibile da strappare via, sempre pronto a erigere dighe contro l'insensatezza, l'assurdità e i boomerang delle proprie tesi, senza riuscire a vedere il problema della negazione dell'antisemitismo reale radicato nella coscienza capitalista feticizzata. Un ripetere sterile, quasi patetico, qualora la stupidità meritasse di essere compatita.Gli ci vorrà ancora molto tempo per svuotare dall'acqua, con la sua eterna scodella di «detto ciò», la barca bucata del suo odio antisemita verso sé stesso, mentre imbarca, uno ad uno, gli antisemiti che lo circondano sulla sua zattera d'onore bucata. E affonderà, come sempre; e non malgrado i suoi sforzi, ma proprio a causa di essi.

- Clément Homs, 7 agosto 2025 - Pubblicato su  Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

NOTE:

[1] Il testo qui commentato da Lek Lafferrière: https://blogs.mediapart.fr/.../le-principal-facteur...

[2] Prendo Olivier Lek Lafferrière solo come esempio, non perché sarebbe il più originale, ma proprio perché non lo è. Egli incarna il sintomo perfetto, l'esemplare standard, il prodotto finito di un'intera galassia di quella che il teorico marxista Joseph Gabel chiamava la "falsa coscienza antisionista", dove il pensiero critico è collassato su sé stesso – specialmente nella galassia dei franchisee della ditta PIR-PDH, per la quale Lardon ha appena preso il proprio biglietto. Va anche notato che questo signore è, a quanto pare, aggregato; a quanto pare, ovviamente, aggrega solo ossessioni mal digerite. Per quanto riguarda l'Educazione Nazionale, lo lascia di fronte agli adolescenti, senza casco, senza istruzioni o antidoto.

[3] Carol Iancu, I miti fondatori dell'antisemitismo, dall'antichità ai giorni nostri, Toulouse, Privat, 2003.

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