mercoledì 13 agosto 2025

«L’archeologia è un mezzo per conoscere sé stessi» !!!

La ricostruzione di un capolavoro investigativo senza pari nella recente archeologia europea.
Una sepoltura rituale. Una donna, un bambino. Le circostanze della morte inspiegate. Scoperta dai nazisti nel corso degli anni trenta e usata per i loro scopi di propaganda razziale, la tomba – rinvenuta nel cuore della Germania e risalente a 9000 anni fa – è poi caduta nell’oblio. Ora il caso irrisolto della sciamana di Bad Dürrenberg viene riaperto. E si tratta di uno dei ritrovamenti archeologici più interessanti d’Europa. I nazionalsocialisti avevano scambiato lo scheletro per quello di un vecchio dalla pelle chiara, un antenato degli ariani. In realtà, appartiene alla donna più importante della sua comunità: aveva la pelle scura, ed è stata una delle ultime “donne magiche” a vivere nell’Europa centrale ai tempi dei cacciatori-raccoglitori del Mesolitico, prima che Homo sapiens diventasse stanziale. Harald Meller e Kai Michel ricostruiscono, con l’aiuto di tecnologie all’avanguardia, l’avvincente destino di una donna avvolta dal mistero, si addentrano nelle radici della spiritualità di una comunità scomparsa nel pieno dei grandi stravolgimenti dell’evoluzione della nostra specie e ci mettono di fronte alle nostre origini di esseri umani. Ma mostrano anche come l’ideologia possa manipolare la ricostruzione della preistoria umana stravolgendo il passato. Conoscere la storia della sciamana ci aiuterà a capire chi siamo.

(dal risvolto di copertina di: HARALD MELLER e KAI MICHEL, "Il mistero della sciamana. Un viaggio archeologico alla scoperta delle nostre origini". FELTRINELLI, Pagine 366, € 24)

La maga di pelle nera era l’antenata dei nazisti
- di Fabio Genovesi -

   Un mattino di maggio nelle campagne di Bad Dürrenberg, Sassonia, un operaio scava per piazzare una conduttura dell’acqua nel nuovo parco termale. L’inaugurazione si avvicina, c’è poco tempo e deve sbrigarsi, ma ecco che un tempo diverso e lontanissimo arriva a fermare i lavori. Quando la terra sotto la vanga diventa rossa, e da quel colore magico spuntano delle ossa. L’operaio chiama l’istituto di preistoria di Halle, e in un attimo studiosi e soldati contornano la fossa, si affacciano a scoprirne il contenuto e si ritrovano a fissare, muti e increduli, uno specchio. In realtà hanno scoperto la sepoltura di un uomo che tiene in braccio un neonato, contornati da un corredo così vario e ricco per quantità e qualità che un romanzo fantasy non saprebbe aggiungerci altro. Eppure quegli uomini osservano uno specchio. Perché è il 1934, siamo nel Reich Millenario di Hitler. Che invece di Mille anni ne sarebbe durati una dozzina, ma quel mattino era nel pieno del suo delirante furore. Così l’istituto di preistoria ammira, chiara e inesorabile davanti a sé, la prova che gli occorreva, e annuncia al mondo che le vere origini degli Ariani non vanno cercate in India, in Tibet o uno di quei posti lontani, scomodi e diversi, bensì nel cuore della Heimat: gli Ariani devono la loro esistenza a «uno sviluppo completamente autoctono in Germania». Ecco cosa vedono nella tomba gli studiosi nazisti, esattamente quello in cui credono, quello che gli occorre, quello che sono. Insomma, osservano uno specchio. Non si curano del neonato che il loro Ariano regge in braccio, né del ricchissimo corredo di denti e ossa animali, utensili e misteriosi oggetti votivi. Vedono le ossa di un uomo, bianche come la pelle che un tempo certamente le copriva, fiero come il suo trionfo sulle difficoltà naturali quando diede inizio al disegno voluto dal Destino: il dominio del popolo germanico, antichissimo, autoctono, superiore.

   Ecco perché, dopo quella dozzina d’anni, sparito Hitler e sparite le svastiche, la tomba di Bad Dürrenberg è sparita con loro, dimenticata da una società che adesso la trovava poco interessante e addirittura scomoda. Fino agli anni Novanta del Novecento, quando è stata riscoperta, perché dopo mezzo secolo di oblio si sono posati su di lei occhi nuovi e diversi, che ci hanno visto qualcosa di nuovo e diverso, e tanto suggestivo: ancora una volta, insomma, osservavano uno specchio. Come i nazisti si emozionavano a vederci un originario combattente ariano, la moderna umanità resta incantata ad ammirare i resti di un antico sciamano. Gli sciamani, negli anni del consumismo e dell’economia al potere ci attraggono, ci ammaliano, ci seducono. Forse perché «la visione scientifico-meccanicistica del mondo ha reso muta la natura. Il silenzio del mondo, causato dalla perdita delle reti umane e animistiche, ha portato a un dolore fantasma che ci affligge senza che ne conosciamo veramente il motivo. Siamo tormentati da un desiderio appena cosciente e indefinibile, dietro al quale si cela un bisogno di risonanza sociale». Gli sciamani ci chiamano dal profondo di questo nostro desiderio mistico, e credere di averne trovato uno in questa tomba è una tentazione irresistibile, anche per studiosi severi come Michel Kai e Harald Meller autori de Il mistero della sciamana (Feltrinelli): oggetti misteriosi, maschere di corna di cervo, doni votivi che abbondano intorno alle sue ossa, già a una prima occhiata tutto accende in noi il fuoco dell’entusiasmo, e su questo fuoco i successivi test scientifici rovesciano altra benzina, illustrandoci uno scenario che non solo smentisce le certezze dei sogni nazisti, ma le ribalta nel loro incubo più nero. Nero come il colore dei capelli del loro ariano, nero come la sua pelle.

   A quei tempi infatti, nove millenni fa, gli abitanti della futura Europa avevano la pelle scura, e a sbiancarla — con un senso dell’ironia che solo la realtà possiede così acuto — sarebbero arrivati i popoli dal sud, i primi contadini provenienti dall’Anatolia, che portarono con sé l’agricoltura, il bestiame, la ceramica, e il colore chiaro dell’incarnato. La pelle bianca, invece di essere bandiera di purezza e identità, lo è del nostro passato migratorio. Ma la tomba risale a un tempo precedente, infatti vi è sepolto un uomo di colore. Anzi, la realtà è ancor più spiazzante, perché si tratta di una donna. La cui sepoltura sontuosa in un luogo speciale ci mostra quanto fosse ascoltata, rispettata, venerata dalla sua comunità. Testimonianza di un mondo lontano, prima che l’agricoltura imponesse i meccanismi soverchianti della proprietà, delle differenze sociali, del patriarcato. Questa donna ci guarda da un’epoca in cui l’uomo sopravviveva perché collaborava, perché una comunità aiutava quelle vicine nelle stagioni in cui la terra era più generosa con lei, per poi ricevere la stessa attenzione nelle opposte occasioni. Senza classi sociali a separare gli individui, e senza differenze di genere. Nessuno era destinato per nascita a badare alla casa — che nemmeno esisteva — e donne e uomini cacciavano, vagavano, esercitavano le arti curative. Insomma, nella tomba dove i nazisti vedevano il loro fiero ariano originario, oggi c’è una donna di colore che dispensa conforto e cure alla comunità, trovando comunque il tempo per essere una madre amorosa, che dopo millenni ancora stringe al petto il suo bambino.

   Niente potrebbe risultare più appetibile al palato della nostra epoca, eppure la tomba ci riesce. Abbiamo detto infatti che la signora di Bad Dürrenberg è una sciamana. Contornata di oggetti mistici e sacri, era un’anima speciale, in contatto con gli spiriti della Natura e dell’Aldilà, possedendo doti e conoscenze che forse risiedono in tutti noi, ma solo qualcuno è in grado di accedervi. Gli sciamani, anche la loro storia è molto cambiata nel tempo. Il nome deriva da figure specifiche dell’area siberiana, raccontateci con spregio dai colonizzatori e dai sovietici come la forma più antica di quei sacerdoti che sostenevano gli interessi delle élite, responsabili della cacciata dell’uomo dal paradiso del «comunismo primitivo». Poi il ribaltamento: dagli scritti degli anni Cinquanta ai movimenti hippy e New Age, da Mircea Eliade a Jim Morrison, gli sciamani diventano guide e spiriti superiori, tanto preziosi nel silenzio di un mondo che ha perso le sue reti umane e spirituali, in preda al dolore di una perdita così lontana che non riusciamo a ritrovarne il motivo, consumandoci in un desiderio che inutilmente proviamo a soddisfare con la ragione e il materialismo. Lo sciamanesimo ci promette una fuga dal soffocante grigiore dell’oggi, verso un passato ancestrale e un mondo ultraterreno, un richiamo così forte nel silenzio tecnologico della solitudine contemporanea.

  E allora, appassionati e incantati, percorriamo fino alla fine le pagine di questo libro, scritto con l’accuratezza degli scienziati ma insieme con la suspense di un’indagine da detective, su un cold case che da nove millenni attendeva di essere risolto. La soluzione, oggi, è che la tomba di Bad Dürrenberg ci mostra effettivamente un’antica sciamana, come negli anni Trenta ci ha mostrato un guerriero ariano, e chissà se diventerà qualcos’altro un giorno nel futuro. In ogni caso, sarà quel che ci occorre. Perché l’unica certezza è quella che i due autori scrivono solo di passaggio: «L’archeologia è un mezzo per conoscere sé stessi». Proprio in come guardiamo il mondo e gli altri, noi capiamo cosa cerchiamo, cosa vogliamo, cosa siamo. Intorno a noi, davanti ai nostri occhi, il mondo è un enorme castello degli specchi. Cerchiamo, ammiriamo, descriviamo, ma mentre pensiamo di riflettere, inevitabilmente noi ci riflettiamo.

- Fabio Genovesi - Pubblicato su La Lettura del 21/7/2024 -

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