venerdì 15 agosto 2025

4 Precauzioni !!

«Non possiamo scegliere tra combattere l'antisemitismo e condannare Israele per Gaza»
-  Eva Illouz, Haaretz, 8 agosto 2025 -

In genere, nelle società occidentali gli intellettuali non hanno una vita difficile. Di solito, osservano il normale caos delle vicende umane, ed emettono verdetti che ricordano alla comunità i valori fondamentali. Eppure la situazione che oggi si trovano ad affrontare gli intellettuali ebrei contemporanei appare molto più tesa: essa si confronta non solo con delle follie umane radicalmente contraddittorie, ma anche con quelle che sono delle lealtà contrapposte. Quando si gira la testa verso sinistra, non si può non notare lo spettacolare ritorno dell'antisemitismo anche all'interno delle società democratiche occidentali. Questo fenomeno è palpabile nell'aumento vertiginoso dei crimini d'odio contro gli ebrei, in tutta l'Europa occidentale e negli Stati Uniti: nella diffusa ossessione pubblica per Israele e per le sue azioni, nella demonizzazione del sionismo visto come ideologia particolarmente criminale, e nel boicottaggio degli israeliani e ci ricorda la stigmatizzazione e la ghettizzazione degli ebrei in passato. Tutto questo, con il pretesto di affermare che l'antisemitismo non esiste, che è un argomento manipolatorio usato dagli ebrei o, meglio ancora, è solo una reazione comprensibile a causa delle azioni di Israele. Dopo il 7 ottobre, l'intellettuale ebreo è stato costretto a tornare sobrio, e a riconoscere che l'antisemitismo - la forza irrazionale che governa gli affari umani - proviene dai ranghi di quelli che oggi sono i suoi attivisti apparentemente più democratici. Ma quando quello stesso intellettuale gira la testa a destra e guarda Israele, vede una società il cui governo crede che Dio sia personalmente coinvolto nelle sue decisioni antidemocratiche. E questo governo ha dichiarato lo stato di guerra senza fine contro i palestinesi, preferendo la forza alla diplomazia. A partire da un misto di negligenza e di incompetenza, insieme a un inestinguibile desiderio di vendetta, alimentato dall'eccezionale crudeltà con cui gli ebrei (e alcuni non ebrei) sono stati massacrati il 7 ottobre, questa società si rifiuta di vedere e registrare le morti e la fame che ha causato. (Le immagini degli ostaggi torturati, servono a far rivivere periodicamente l'agonia collettiva degli israeliani). Quello che vede, è pertanto un governo che ha di fatto seppellito l'idea di Israele in quanto stato ebraico e democratico. Di fronte a questa realtà a due facce, su quali valori si deve fare affidamento? Quale gruppo si dovrebbe rappresentare e difendere?
Come ha proposto il filosofo Raphaël Zagury-Orly *, non dobbiamo scegliere tra la lotta contro l'antisemitismo, e la condanna di Israele per i suoi misfatti. Dobbiamo mantenere comuni questi due fili. Sì, questo compito richiede che abbandoniamo le logiche binarie e facili rispetto a questo conflitto. Oggi, ci troviamo di fronte a una nuova sfida, e bisogna che la nostra critica debba impegnarsi su due fronti: rimanere costantemente vigili a proposito della storia univoca di questo conflitto, esaminandone attentamente la terminologia utilizzata, in modo da dargli un senso. Consiglio quindi di prendere le seguenti precauzioni.
La prima è storica: Israele non è nato nel peccato. La sua creazione, non è stata una vendetta per l'Olocausto. Né tantomeno è stata "colonialista", nel senso in cui i tedeschi o gli inglesi si erano appropriati della Namibia o dell'India. Gli ebrei hanno sempre avuto un legame storico con Israele, e ci sono sempre stati; il che rende inappropriato il concetto di colonialismo. Questo paese è stato creato legalmente, a partire da una vittoria militare contro gli eserciti arabi che avevano respinto la decisione dell'ONU di riconoscerlo, nel 1947. I suoi 7 milioni di cittadini ebrei non avevano alcuna altra patria a cui tornare. Se la parola giustizia ha un significato, permettere a uno dei popoli più perseguitati della storia di vivere in pace su un minuscolo fazzoletto di terra, dovrebbe sicuramente essere un imperativo morale per il mondo. Se i cristiani, gli indù e i musulmani godono di milioni di miglia quadrate, è responsabilità morale del mondo garantire agli ebrei un territorio grande quanto il New Jersey in modo da poter assicurare la loro esistenza nazionale. Qualsiasi messa in discussione delle origini legittime dello Stato di Israele va respinta e abbandonata.
Seconda precauzione: sin dalla sua creazione, Israele si trova in uno stato di guerra permanente; un fatto questo, intimamente legato all'odio singolare che gli ebrei e Israele sembrano suscitare. Dopo la seconda guerra mondiale, milioni di persone sono state sfollate,  e le loro sofferenze sono state in gran parte dimenticate. Rispetto a quella di altri gruppi di sfollati, la storia del popolo palestinese deve essere vista in questa luce. Dobbiamo chiederci perché sono stati apolidi per così tanto tempo, quale ruolo gioca Israele in tutto questo, ma anche quali responsabilità hanno in questo tragico destino il mondo arabo, i palestinesi e le organizzazioni internazionali.
Terza precauzione: bisogna prestare attenzione alla realtà sul campo. L'Europa vive in pace, ma non è così per gli israeliani, né ora e né in passato. Hanno dei veri e propri nemici, i quali rendono miserabile la loro vita quotidiana. L'attuale dibattito sul fatto che Israele stia commettendo un genocidio, dimentica che se Hamas avesse liberato gli ostaggi civili che deteneva, avrebbe di fatto posto fine alla guerra e, con essa, anche alla distruzione delle vite dei palestinesi. Sì, anche Israele ha una certa responsabilità per le sofferenze dei palestinesi a Gaza, e ha causato distruzioni sproporzionate, ma Hamas ha certamente una responsabilità politica. Il 7 ottobre, Hamas sapeva che la risposta israeliana sarebbe stata feroce. Tuttavia, non ha mai offerto i suoi tunnel alla propria popolazione in modo che potesse lì rifugiarsi. Si rifiuta di rilasciare gli ostaggi: cosa che alimenta la politica militare estremista del governo israeliano. Come riferisce Ahmed Fouad Alkhatib, un palestinese nato a Gaza e direttore di Realign Palestine, gli abitanti di Gaza sono furiosi con i combattenti di Hamas, i quali saccheggiano il cibo in spregio degli abitanti di Gaza. «La loro rabbia è diretta principalmente contro Hamas, che viene ritenuta responsabile di aver messo il popolo di Gaza in questa situazione, a causa del suo persistente rifiuto di porre fine alla guerra che ha scatenato.» Israele è impegnato in una guerra che non ha iniziato. Dobbiamo perciò riconoscere che i palestinesi sono degli attori politici con interessi, e che spesso ricorrono alla violenza per raggiungere i loro obiettivi. Riconoscere il loro diritto a uno Stato, come faccio io, non significa che siano vittime pure e innocenti. Anche 22 Stati membri della Lega Araba hanno riconosciuto questa realtà chiedendo ad Hamas di disarmare la scorsa settimana, in una dichiarazione che storicamente è decisiva e senza precedenti. Così facendo, la Lega Araba ha dimostrato di sapere ciò che molti progressisti occidentali sembrano incapaci di capire: Hamas è un attore politico pericoloso, determinato a destabilizzare l'intero Medio Oriente.
La quarta precauzione è quella per cui non dobbiamo fare a Israele delle richieste he non siano state rivolte a nessun altro paese. Il boicottaggio degli israeliani in quanto israeliani, è puramente e semplicemente razzista. Chi mai penserebbe di boicottare gli accademici iraniani a causa del loro regime canaglia? Chi si sognerebbe di boicottare gli americani a causa delle molte guerre di dominio politico ed economico condotte dal loro paese? Come mai gli oltre 85.000 bambini che sono morti di fame nello Yemen, a causa della guerra civile negli ultimi dieci anni - oppure i milioni di sfollati in Sudan - non hanno toccato la sensibilità degli artisti, degli intellettuali e degli studenti occidentali, curiosamente assenti da queste tragedie?  

  Il mio punto di vista è pertanto relativamente semplice: spesso la critica di Israele diventa pericolosamente vicina all'antisemitismo, e deve essere esaminata attentamente. Molti benefattori riciclano inconsapevolmente delle visioni del mondo antisemite. Coloro che hanno un minimo di conoscenza della storia del conflitto, dovrebbero smettere di incolpare Israele per la tragedia in corso. E in questo caso, la nostra compassione per i civili, palestinesi o israeliani, non può essere la nostra unica guida morale e intellettuale. L'Unione europea e gli Stati Uniti devono chiedere congiuntamente un cessate il fuoco da entrambe le parti. Incolpare solo una parte, qualunque essa sia, non ci porterà lontano. Le masse di israeliani che lottano per la loro democrazia, e contro le politiche del primo ministro Benjamin Netanyahu devono essere sostenute, e non boicottate. Allo stesso modo, i palestinesi che sostengono una riforma dell'Autorità Palestinese per sostituire Hamas, devono essere sostenuti da Israele e dal resto del mondo. Gaza deve essere ricostruita in modo che si possa creare uno Stato palestinese vitale che non minacci l'esistenza stessa di Israele. Nonostante le difficoltà, bisogna stabilire una forma di fiducia tra due popoli profondamente traumatizzati. Il mondo ha bisogno di linee rosse. Se il governo Netanyahu cerca l'occupazione permanente di Gaza minando, come sta cercando di fare, il suo sistema giudiziario – e quindi democratico – le garanzie e le sanzioni potrebbero allora essere una risposta adeguata. Nel frattempo, gli amici di Israele non devono chiudere un occhio sulla natura del governo di Gerusalemme, sulle sue priorità sbagliate, sulla sua incompetenza e sulla sua ormai ingiustificabile guerra a Gaza. Ma dobbiamo anche tenere a mente che l'estremismo interno di Israele è alimentato dall'antisemitismo esterno.

-  Eva Illouz, Haaretz, 8 agosto 2025 - fonte: https://www.lapaixmaintenant.org/

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