sabato 2 agosto 2025

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Ne "La follia di Hölderlin. Cronaca di una vita abitante 1806-1843", Agamben ritorna alla letteratura, e propone uno studio sul "poeta pazzo". Il primo punto da sottolineare è che non si tratta di una riflessione che riguarda esclusivamente Hölderlin, anzi: il suo percorso viene contrapposto a quelli di Goethe e di Napoleone; il che offre una sorta di retroterra storico a quelli che sono i commenti di Agamben. Inoltre, vengono mobilitati (e messi in discussione nei loro limiti) i generi della "biografia" e della "cronaca", in quanto strumenti per un'apertura della storia e della successione temporale; e infine, vediamo come etichette classificatorie quali "follia" e "ispirazione" ricevano un trattamento di de-naturalizzazione, o di de-automazione, all'interno del quale il caso di Hölderlin viene usato come esempio di un incrocio radicale tra poesia e filosofia. A dare consistenza al progetto, è la dedizione verticale di Agamben ai testi di e su Hölderlin: poesie, biografie, referti medici e lettere, provenienti sia da lui che da altri. Il libro è diviso in quattro parti principali, che iniziano con una Soglia e un Prologo, si estendono poi attraverso una Cronaca (1806-1843) - la sezione più lunga - e si chiudono con un Epilogo. Ancora una volta, a guidarci è la figura di Walter Benjamin, riferimento costante in tutta la carriera intellettuale di Agamben: Benjamin appare proprio all'inizio della Follia di Hölderlin, e serve ad aiutare Agamben a riflettere sulla differenza tra "cronaca" e "storia critica". La dicotomia, però, viene ben presto sfatata, dal momento che Agamben sostiene che la scelta apparentemente "neutra" della cronaca (esporre fatti ed eventi all'interno di una struttura cronologica) presuppone già una posizione, uno scrutinio, un progetto. A partire da Benjamin, Agamben arriva a un'ambivalenza che guiderà il suo libro fino alla fine: "cronaca" e "storia" sono generi diversi, ma tuttavia complementari, che consistono in dei procedimenti che si rafforzano a vicenda attraverso il contrasto. «Il cronista non inventa nulla», scrive Agamben, eppure «non ha bisogno di verificare l'autenticità delle sue fonti», alle quali, tuttavia, lo storico non può, al contrario, «in ogni caso, rinunciare». L'«unico documento» che interessa al cronista «è la voce», la sua e quella a partire dalla quale gli è venuto in mente di ascoltare, a sua volta, «l'avventura, triste o gioiosa, a cui si riferisce». Ed è questa "voce" che, nel caso di Hölderlin, si cerca di recuperare, per quanto le "fonti" (lettere, biografie, atti notarili) siano pur sempre presenti.

   Nella sua cronaca su Hölderlin, le riflessioni di Agamben  possono essere collocate nel contesto più ampio di quella che è la sua preoccupazione filosofica per il linguaggio. In vari momenti della sua opera – come, ad esempio, in "Infanzia e storia" – Agamben mette in primo piano la preoccupazione per il linguaggio. Come può la lingua "esistere"? Come vi si può accedere, cosa significa dire «io parlo»? In "Che cos'è la filosofia?", il linguaggio è affrontato soprattutto a partire dalla prospettiva della "esperienza", dalla prospettiva di un'indagine circa l'"avere-luogo" del linguaggio, ed è per questo motivo che i due libri recenti di Agamben sono complementari: la cronaca della vita di Hölderlin esemplifica e rende più palpabile l'insieme astratto di proposizioni del libro di filosofia. Per Agamben, la filosofia è un evento ontologico reso possibile dal linguaggio: "l'evento" riguarda ciò che è collettivamente riconosciuto, mentre "l'ontologico" riguarda la possibilità dell'essere che si riconosce durante l'uso del linguaggio. Parlare, ascoltare, scrivere sono attività ambivalenti, che operano sulla linea sottile che separa l'unico dal molteplice, il soggetto dalla comunità. Nel primo saggio del libro "Che cos'è la filosofia?", intitolato "Experimentum vocis", seguiamo la descrizione della strategia di accoppiamento del linguaggio con la "metafisica occidentale", il discorso che regola ciò che può essere immaginato al di là della realtà. L'individuo può riconoscersi solo attraverso il linguaggio, ed è questo che articola il rapporto tra mondo e parola, ontologia e logica, "io" e "altro".

fonte: Um túnel no fim da luz

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