L'anti -imperialismo e l'ideologia di crisi antisemitica
- di Robert Kurz -
Visto che i regimi petroliferi clericali, completamente anacronistici, così come i regimi petroliferi capitalisti finanziari, sono sempre stati un sostegno troppo precario, nella regione del petrolio centrale c'era bisogno di un'ulteriore potenza di sicurezza; e non era certo un segreto che lo Stato di Israele svolgesse in gran parte - per quanto non senza contraddizioni - questa funzione di stampella per "l'imperialismo collettivo ideale" occidentale, contro gli incerti "cantonisti" dei regimi arabi, minacciati nei loro paesi dal risentimento anti-occidentale, che devono pagare come prezzo amaro per la loro esistenza. È questa la sola ragione per cui Israele è stato protetto dagli Stati Uniti, e abbondantemente equipaggiato con gli ultimi sistemi di armi ad alta tecnologia, e massicciamente foraggiato dagli stati occidentali. Solo con i suoi propri mezzi, non sarebbe di certo economicamente sostenibili, quanto meno non al suo attuale livello di vita, che per i suoi standard Western High-Deploded si distingue nettamente dai paesi arabi circostanti (secondo quello che, a dire il vero, lo stesso scarto crescente tra ricchezza e povertà in Occidente). Questi fatti economici e politico-militari sono stati - e continuano sempre a essere - ripetutamente invocati contro Israele, con aggressività furiosa, da posizioni "anti-imperialiste" tradizionalmente di sinistra. Queta designazione del nemico trova la sua origine nel contesto di un paradigma della "liberazione nazionale" che viene da lungo tempo evocata come forma della modernizzazione ritardata per la periferia Sud del mercato globale. Fino a oggi, Israele è stata considerata, nel contesto del Terzo Mondo, come uno sbirro imperialista e come uno "stato poliziotto" che non dovrebbe nemmeno esistere. Il nazionalismo e l'espansionismo israeliano - svolto attraverso il movimento della colonizzazione e della conquista militare - sono percepiti esclusivamente come l'incarnazione stessa del nazionalismo, mentre l'autodefinizione etno-religiosa dello Stato israeliano (che comprende la discriminazione ufficiale e giuridica dei cittadini non ebrei) viene intrepretata come l'incarnazione stessa del razzismo. La contro-potenza sovietica dei ritardatari storici, alla periferia del mercato mondiale, con la sua ideologia di legittimazione “marxista”, aveva sempre cercato di stringere un'alleanza con i regimi laici arabi modernizzatori e, sotto la rappresentazione del concetto di "sionismo", aveva costruito un'immagine nemica anti-israeliana che rispecchiava l'alleanza di Israele con il capitalismo e con l'imperialismo occidentali - «Durante la Guerra Fredda, Israele era un prezioso alleato militare (degli Stati Uniti), il suo esercito testava sistemi d'armamento, i suoi servizi segreti erano disponibili per quelle operazioni che la CIA non poteva eseguire» (Birnbaum 2002). Durante la Guerra Fredda, la più parte della sinistra politica, in tutto il mondo, ha fatto propria questa immagine nemica sotto il titolo di “antisionismo”. Israele è stato così del tutto assorbito nella costellazione dei conflitti che era allora dominante nei movimenti “nazional-rivoluzionari” anti-imperialisti del Terzo Mondo contro l'impero occidentale della Pax Americana. Il prezzo che Israele doveva pagare all'imperialismo, per la sua esistenza, è stato così trasformato in un argomento “antimperialista” contro questa esistenza stessa. Ciò ha tuttavia comportato l'occultamento di un aspetto del tutto diverso - e di una dimensione molto più significativa dello sviluppo capitalistico mondiale - che l'antimperialismo tradizionale non poteva e non voleva percepire a partire dalla propria prospettiva riduttiva. Questa visione, infatti, trascurava il ruolo decisivo svolto dall'antisemitismo nella formazione dell'ideologia borghese, e pertanto anche quello che costituiva un livello centrale di contraddizione dell'imperialismo stesso. Sebbene la sinistra avesse sempre stigmatizzato Auschwitz e l'Olocausto, come un grande crimine dei nazisti, essa aveva comunque minimizzato il ruolo dell'antisemitismo e - in ogni caso - non aveva voluto considerarlo essenziale, o costitutivo del nazionalsocialismo in particolare, e del capitalismo in generale. In ultima analisi, questa specifica mancanza di concetti può essere spiegata a partire dal deficit generale che ha fatto sì che la sinistra marxista, operaia e antimperialista - sia al centro che alla periferia - rimanesse limitata alle categorie sociali del rapporto capitalistico (del moderno sistema di produzione di merci): vale a dire, proprio a quell'opzione di uguaglianza giuridico-politica dei cittadini, partecipazione e cogestione della “classe operaia” e delle sue istituzioni, da un lato; e all'opzione di una modernizzazione di recupero e di una partecipazione autonoma al mercato mondiale come soggetto economico nazionale e statale, dall'altro. Da questa prospettiva, in cui (sia per i socialdemocratici che per i leninisti), tanto un limite oggettivo quanto una crisi delle categorie sociali capitalistiche apparivano impensabili, ecco che allora l'attenzione doveva concentrarsi sul contenuto e sull'orizzonte degli interessi socio-economici e politici (apparentemente razionali) delle ideologie. In altre parole: l'ideologia veniva attribuita al contesto degli interessi dei soggetti del sistema di produzione delle merci: “classe operaia” contro “classe capitalista”, “liberazione nazionale” contro “imperialismo”. Pertanto, nella migliore delle ipotesi l'antisemitismo moderno poteva quindi essere inteso come una sorta di manovra ideologica secondaria da parte della “classe dominante”, oppure come una specifica ideologia della "piccola borghesia", dovuta a interessi concorrenti, con la quale si voleva distrarre la “classe operaia”, o i “popoli oppressi”, dai loro reali interessi (teoria della manipolazione). Ancora una volta, veniva completamente ignorata la dimensione ideologica di quello che è il comune contesto sociale, trasversale alle classi e alle nazioni, e storicamente oggettivato e costituito da lavoro astratto, dal valore, dalla forma merce, dal denaro, dalla produzione aziendale, dal mercato (mondiale) e dallo Stato. Questo contesto appariva invece, sia dal punto di vista pratico che da quello teorico, come il fondamento ontologico insuperabile della socialità in generale.
Quello che è rimasto così incompreso, è stato perciò il fatto che il moderno sistema di produzione di merci non solo riveste e maschera ideologicamente, all'interno di questa forma, degli “interessi” apparentemente e superficialmente divergenti; ma anche che dalle contraddizioni e dalle crisi della costituzione moderna che abbraccia tutte le categorie sociali nascono anche delle ideologie comuni e trasversali alle classi, le quali sono molto più significative e pericolose di quanto lo sia la legittimazione trasparente e superficiale degli “interessi” capitalistici nelle diverse classi, strati sociali e funzionari. In tal modo, tutti gli aspetti di quella che è la “visione del mondo”, così come i modelli esplicativi e le idee che guidano l'azione e che non sembravano derivabili dalla sociologia di classe, sono stati invece fraintesi in quella che è la loro portata, e sono stati liquidati in quanto semplici manovre diversive. La sinistra operaia e marxista, così come anche e soprattutto la sinistra radicale (e non da meno la sinistra anarchica), non si era nemmeno resa conto di aver accolto positivamente - in quanto “eredità” dell'ideologia protestante e illuminista, e della storia del pensiero che aveva portato alla formazione del sistema di produzione delle merci - degli elementi essenziali dell'ideologia borghese. Ciò includeva, in particolare, la santificazione del "lavoro" astratto, il quale, nel suo carattere di repressivo fine in sé stesso, si era direttamente trasferito, passando dalle idee del protestantesimo e del cosiddetto Illuminismo del XVIII secolo, nell'ideologia del movimento operaio. Proprio sostenendo il “lavoro” in quanto punto di riferimento centrale apparentemente opposto al capitale, la sinistra non stava facendo altro che contrapporre uno dei due stati del capitale all'altro. In tal modo, il “lavoro” non appariva per quello che è - ovvero la forma di attività specificamente capitalistica (“lavoro astratto” secondo Marx), vale a dire, un concetto che appartiene interamente al capitale, e che corrisponde a una relazione - ma come categoria ontologica dell'umanità. Da questa centralità ideologica condivisa con il capitale - a sua volta definito in modo puramente esteriore e sociologicamente riduttivo in quanto avversario - dovevano inevitabilmente derivare, da un lato, degli ulteriori punti in comune non ammessi, e, dall'altro, una totale sottovalutazione delle ideologie di crisi e di distruzione, trasversali alle classi sociali, rappresentate dal razzismo e dall'antisemitismo. Poiché il movimento operaio occidentale, i regimi orientali in fase di modernizzazione e i “movimenti di liberazione nazionale” del sud del mondo agivano solo ed esclusivamente nell’ambito delle forme sociali comuni al capitale, e affermavano per mezzo del “lavoro” la forma di attività capitalistica, essi potevano formulare solo una critica riduttiva della relazione capitalistica, la quale rimaneva ben al di sotto della concezione marxiana del capitale visto come rapporto feticistico irrazionale. Da un lato si lamentava solo ed esclusivamente la mancanza di capacità di regolamentazione statale del sistema di produzione delle merci, da parte della sua rappresentanza borghese, mentre dall'altro si criticava la subordinazione del “lavoro produttivo” al “capitale finanziario”, senza tuttavia riconoscere il nesso interno mediato (e, oltretutto, su una scala crescente di crisi) tra “lavoro produttivo” e “capitale finanziario” (capitale monetario fruttifero e speculativo). Questa critica al capitalismo, notoriamente riduttiva, ha sempre avuto dei punti di contatto con l'ideologia antisemita. L'antisemitismo, è riuscito ad affermarsi come potente ideologia di crisi della modernità, proprio perché ha esternalizzato e naturalizzato in termini socio-biologici quelle che erano le contraddizioni interne della società capitalistica, e di tutti i suoi soggetti: “Gli ebrei” vennero dichiarati essere rappresentanza negativa del capitalismo finanziario “improduttivo”, e vennero visti come l'incarnazione di tutti i fenomeni distruttivi della società moderna produttrice di merci, riprendendo delle attribuzioni pertinenti che erano già presenti fin dal Medioevo e dall'inizio dell'età moderna. Al contrario, il “lavoro onesto” e il “capitale produttivo” dovevano invece venire considerati come se fossero l'antitesi positiva; com'è noto, i nazisti contrapponevano ideologicamente il capitale “accumulatore” (“ebraico”) al capitale “creativo” (‘tedesco’ o “nazionale”). In tal modo, al posto di una critica delle forme reali, e trasversali alle classi, del sistema di produzione delle merci, subentrò l'attribuzione maligna, riferita a un gruppo particolare di soggetti definiti “razzialmente” e secondo la parola d'ordine: "Lavoro": Valore, Merce, Denaro e forma del Capitale sarebbero stati meravigliosi e benefici, se solo non ci fossero gli Ebrei! Era questa l'attribuzione che pretendeva di “spiegare” il contesto di per sé irrazionale del sistema, a partire da una dimensione aggiuntiva di irrazionalità secondaria, e che diventava la spiegazione ideologica per eccellenza dell'omicidio.
L'ideologia del movimento operaio e quella del “movimento di liberazione nazionale” anticolonialista, si sono sempre distinte dalle correnti apertamente antisemite, basandosi non sulla fantomatica “contrapposizione razziale”, ma sulla contrapposizione di classe sociale e sulla contrapposizione degli interessi nazionali, tra economie coloniali o postcoloniali, tra Stati nazionali e imperialismo occidentale. Ma, come prima cosa, anche questa “ideologia di liberazione” sociale, apparentemente più razionale, rimase però, analogamente all'antisemitismo, sul piano soggettivo dei rapporti di volontà e di potere, senza toccare il piano della costituzione di questi soggetti (cioè, la loro formazione attraverso le categorie del sistema di produzione delle merci). A essere oggetto di critica, non era la negatività del contesto formale comune, e quindi anche la propria forma soggettiva, ma soltanto il “potere” negativo dei “contro-soggetti”: allo stesso modo in cui - nel caso degli antisemiti - si trattava solamente del potere soggettivo e della malvagità che venivano attribuiti alla “contro-razza ebraica”; nel caso del movimento operaio, c'era il potere soggettivo e il presunto “potere di disposizione” della “contro-classe sociale”; infine, nel caso dei “movimenti di liberazione nazionale”, avevamo invece il potere soggettivo e il potere di intervento globale delle potenze imperiali centrali. Dal momento che, come per l'antisemitismo, rimanevano tutti sullo stesso piano logico della soggettività di una volontà che veniva semplicemente “imposta”, e non derivata dal contesto sociale, ma risultante piuttosto da una critica del capitalismo che era altrettanto (sebbene non identica) riduttiva; anche il movimento operaio, il “movimento di liberazione nazionale” e la sinistra radicale non potevano rendersi conto di quali fossero i loro impliciti punti di contatto con l'antisemitismo. La riduzione dell'orizzonte sociologico di classe, alla forma di interesse costituita dal capitalismo e all'ontologia sovrastorica del “lavoro”, hanno dato origine all'illusione secondo cui la “classe operaia” e i “popoli oppressi” fossero già “di per sé” delle forze trascendenti, indipendentemente dalla loro reale coscienza, il cui potere apparentemente “oggettivo” di superare il sistema doveva solamente essere richiamato attraverso le “lotte” sociali. La forma di concorrenza inerente alla loro forma soggettiva costituita, sembrava che fosse solo un comportamento meramente esteriore, imposto dal “contropotere” soggettivo, “non autentico” e fondamentalmente estraneo; quindi anche l'antisemitismo sarebbe stato perciò un'ideologia “estranea alla classe”, imposta solo per errore o per manipolazione. A questo modo di pensare, doveva sfuggire completamente il fatto che l'emancipazione sociale dal rapporto di capitale, è sì possibile in linea di principio, ma non lo è affatto “di per sé”, e già insita nella posizione “oggettiva” di determinate classi, o di altri soggetti moderni presenti nella struttura del sistema di produzione delle merci; un'illusione oggettivista, questa, così come quella formulata anche da Marx, in contrasto con la sua stessa teoria critica della modernità, vista invece come rapporto sociale feticistico. Piuttosto, bisogna dire che tutti i soggetti di questo sistema, senza eccezioni, e quindi anche la “classe operaia”, i “popoli oppressi” ecc., sono tutti ugualmente lontani dal transitare verso l'emancipazione da questa forma sociale negativa, solo in virtù di quella che è la loro forma (forma di riproduzione e forma soggettiva) costituita a partire dal sistema stesso. Contro questa forma, è possibile lo sviluppo di una coscienza critica radicale (una coscienza che la sinistra radicale non ha ancora raggiunto, per non parlare dei movimenti sociali); ma lo è solo attraverso l'elaborazione negativa delle esperienze di sofferenza e di soppressione che avvengono sotto questa forma, e non per una ragione ontologica positiva. Non esiste alcuna determinazione ontologica, che sia situata “al di fuori” o “al di sotto” del sistema (ad esempio nella forma del lavoro), e che possa pertanto essere utilizzata come se fosse una leva oggettiva per riuscire a rovesciare il rapporto sociale repressivo e distruttivo. Ragion per cui, le “lotte” sociali, e quelle di altro tipo, non sono di per sé emancipatorie, e non lo sono nemmeno le "lotte" della classe operaia, o quelle dei gruppi oppressi, e delle minoranze, ecc.
Piuttosto, la "lotta" che avviene sotto la forma della concorrenza, è la forma di movimento generale del sistema capitalistico stesso. Ciò vale anche per le varie forme di "prosecuzione della concorrenza con altri mezzi", in particolare la violenza diretta. Superare la forma della concorrenza, cioè anche la propria forma soggettiva, richiede, come disse una volta Marx, una “coscienza enorme”, la quale non viene affatto suggerita dalle circostanze stesse. Quella che invece si sviluppa spontaneamente, è la concorrenza all'ultimo sangue all'interno della forma soggettiva comune costituita. La concorrenza tra lavoratori salariati e rappresentanti del capitale (management, associazioni imprenditoriali, ecc.) costituisce solo un livello all'interno delle molteplici forme di concorrenza. Ciò include naturalmente la concorrenza tra i singoli capitali stessi, tra i diversi settori, tra le fazioni e i gruppi di lavoratori salariati, tra le economie nazionali/gli Stati nazionali, ecc.; ma anche la connotazione “etnica” e razzista dei rapporti di concorrenza e, infine (come reazione estrema), la loro apparente trascendenza antisemita. Ma è proprio questo intreccio di una complessa rete di molteplici linee di concorrenza, a non essere affatto soggettivo-manipolatorio, quanto piuttosto oggettivamente fondato sulla forma soggettiva generale del sistema di produzione delle merci attraverso il lavoro, il denaro e lo Stato, mentre invece la fuga emancipatoria dalla «gabbia di ferro» di questa forma, non può affatto essere oggettivamente fondata nel senso di una determinazione del comportamento. Presupponendo il sistema di produzione delle merci e la sua forma di attività astratta e irrazionale come una determinazione ontologica insuperabile, potrebbe benissimo essere nell'interesse “oggettivo” dei lavoratori salariati caratterizzare la loro concorrenza in maniera nazionalista, razzista, ecc., oppure cercare di sfuggirle in modo fantasmatico attraverso l'ideologia antisemita. Di certo, nella storia del movimento operaio c'è stato anche qualcosa di simile a un desiderio trascendente di liberarsi dal giogo della concorrenza, il desiderio di una società solidale, al di là del sistema moderno. Questi momenti di eccessiva esuberanza, sono però rimasti tutti insoddisfatti, proprio perché i movimenti sociali della modernità non sono riusciti a concepire una tale trascendenza, e pertanto non sono stati in grado di agire di conseguenza. La critica riduttiva del capitalismo, svolto all'interno delle forme stesse del capitale, è rimasta necessariamente bloccata, anche nelle sue forme di concorrenza. Pertanto, il reciproco massacro dei lavoratori salariati nelle guerre mondiali, non è stato un tradimento, né un comportamento contrario alla loro natura ontologica, quanto piuttosto la conseguenza della loro forma soggettiva, affermatasi anziché criticata. Né i partiti politici dei lavoratori, né i sindacati (già questa divisione in una rappresentanza politica e una sociale, rimanda alla costituzione borghese del movimento operaio) sono mai stati in grado di riuscire a sviluppare una forza solidale che andasse al di là dei rapporti di concorrenza. L'abolizione della concorrenza, rimase parziale e limitata al tema dell'uguaglianza borghese, mentre l'integrazione nei rapporti di concorrenza in quanto tali è rimasta universale. Come già nella lotta quotidiana per gli interessi, regolata istituzionalmente, i movimenti sociali erano permeati dalla logica della concorrenza, così come lo erano anche nell'esplosione di violenza delle guerre mondiali tra le potenze imperialistiche nazionali. In questo contesto, il rischio sociale della concorrenza universale si manifestò direttamente come rischio di morte, rendendo così visibile qual era l'ultima conseguenza della moderna forma soggettiva generale. Lo stesso possiamo dire del potere dell'antisemitismo, e della sconfitta del movimento operaio europeo di fronte al fascismo e al nazionalsocialismo. Anche questa catastrofe è stata una conseguenza dell'essersi coinvolti nel sistema della concorrenza universale. Esiste addirittura un nesso diretto tra il proseguimento della concorrenza attraverso le guerre mondiali e l'emergere dell'antisemitismo in tutte le classi e strati sociali.
I sindacati, i partiti marxisti e persino la sinistra radicale sono stati creati solo per risolvere il presunto conflitto “razionale” di quelli che sono degli interessi nella forma del sistema di produzione delle merci. Anche l'escalation militante della lotta, non ha mai abbandonato questo spazio di razionalità borghese. La sinistra ha ignorato il carattere intrinsecamente irrazionale del sistema, ed è avvenuto sempre per questo motivo, anche durante le crisi, che essa è stata regolarmente travolta dalla potente esplosione di questa irrazionalità. Mentre la sinistra, anche nelle crisi più gravi, voleva mantenere l'interesse “razionale” nella forma borghese, e nonostante il temporaneo crollo oggettivo di questa forma, l'antisemitismo faceva invece valere l'irrazionalità dell'interesse stesso, in quanto volontà di emarginazione e distruzione, e proprio per questo otteneva un potente effetto sociale. L'antisemitismo (a differenza del razzismo comune) non è una forma di concorrenza tra le altre, ma è l'ultima ratio della concorrenza, in una situazione nella quale lo svolgimento immanente e apparentemente razionale della concorrenza diventa senza alcuna via d'uscita. In una situazione del genere, la forma soggettiva borghese generale rischia di crollare. L'antisemitismo, promette una via d'uscita senza mettere in discussione quella forma soggettiva comune del sistema, e lo fa esternalizzando il problema in modo irrazionale e omicida. Così, nonostante, e anzi proprio a causa del suo primitivismo intellettuale, può esercitare un'attrazione, trasversale alle classi, su quella che è una grande massa di individui costituiti capitalisticamente; dai disoccupati ai manager, dai contadini senza terra del Terzo Mondo ai principi del petrolio, dai meccanici agli investitori bancari, dalle madri single alle modelle, dagli studenti speciali agli intellettuali con formazione accademica. In altre parole: la sindrome antisemita costituisce l'ultima ed estrema "riserva ideologica di crisi del moderno sistema di produzione di merci". L'antisemitismo, si annida nella forma soggettiva borghese generale stessa; esso viene regolarmente richiamato nei momenti di crisi, e tanto più massicciamente quanto più violenta è la crisi. Così, l'epoca delle guerre mondiali e della grande crisi economica globale è stata accompagnata da un'ondata senza precedenti di antisemitismo. La Germania, che, nella sua specifica storia di formazione della nazione capitalistica, aveva incubato una versione particolarmente aggressiva ed eliminatoria della sindrome antisemita, con un particolare profondo impatto sociale, questa ondata aveva travolto le stesse istituzioni statali: qui, nella sua situazione di crisi economica mondiale, l'antisemitismo non venne utilizzato solo come valvola di sfogo per l'aggressività sociale repressa dei rapporti di concorrenza, ma venne elevato a dottrina di Stato, e fu realizzato come crimine contro l'umanità, nell'Olocausto. Non è affatto un caso che il nazionalsocialismo tedesco abbia contemporaneamente costituito una formazione sociale, in cui la pulsione di morte si manifestò in misura senza precedenti a partire dalla forma vuota della soggettività capitalistica. La logica dell'antisemitismo, e l'intrinseca pulsione di morte e distruzione della soggettività capitalistica, sono infatti strettamente correlate; il latente impulso irrazionale alla distruzione del mondo, nel vuoto metafisico del valore e del suo movimento di valorizzazione fine a sé stesso, si esprime nella sua forma più estrema sotto forma di desiderio di sterminio degli ebrei e, allo stesso tempo, come desiderio di autodistruzione, come desiderio di distruzione dell'esistenza fisica in generale. Dal punto di vista puramente esteriore, militare e politico-militare, i nazisti hanno perso la seconda guerra mondiale; ma in quella che finora è stata la realizzazione più ampia del desiderio di distruzione del mondo, che si annida nel profondo del capitale, essi hanno avuto un enorme successo nell'essere identificati con lo sterminio industriale degli ebrei e con l'autodistruzione organizzata. La sinistra - imprigionata in una razionalità borghese superficiale, incapace di criticare le forme capitalistiche di base, e quindi anche di criticare e liberarsi dalla propria forma soggettiva costituita dal capitalismo - non poteva che trascurare il vuoto di questa forma, la potenza demoniaca della pura irrazionalità in essa insita, e le sue conseguenze distruttive, e quindi anche l'essenza dell'antisemitismo moderno. Il rovescio della medaglia di questo deficit catastrofico, dopo la seconda guerra mondiale, è stato l'altrettanto deficitario e spensierato antisionismo della sinistra, la quale non voleva riconoscere lo Stato ebraico - nella sua dimensione storica mondiale e capitalista mondiale, come conseguenza dell'antisemitismo moderno - ma ha sottomesso Israele al paradigma antimperialista dei movimenti rivoluzionari nazionali del Terzo Mondo, la cui critica al capitalismo era ancora più riduttiva di quella svolta dal movimento operaio occidentale.
- Robert Kurz - da «Der Antiimperialismus und die antisemitische Krisenideologie», in "WELTORDNUNGSKRIEG. Das Ende der Souveränität und die Wandlungen des Imperialismus im Zeitalter der Globalisierung" - © 2003 Horlemann -
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