sabato 4 luglio 2015

Più keynesiano del previsto

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La miseria della politica economica
La resurrezione del keynesismo è più che dubbia
di Robert Kurz

Quanto più chiara appare la caduta della situazione globale di deficit, tanto più forti diventano gli appelli a favore di un programma statale di congiuntura, a partire dal sapiente economista Bofinger, passando per il ministro dell'economia Glos e per i sindacati, fino a ben dentro lo spettro politico della sinistra. Proprio davanti al ritorno della stagflazione degli anni 1970, si riesumano varianti di ricette keynesiane, che allora fallirono e spinsero le élite capitalistiche alla fuga verso la "rivoluzione neoliberista". Ora tornano gli stessi problemi, ad un livello più elevato di globalizzazione. E' più che dubbio che l'evidente bancarotta della dottrina neoliberista possa portare alla risurrezione del keynesismo.

Tutti i programmi congiunturali sono limitati allo spazio dello Stato-Nazione. Tuttavia, ormai non esiste più congiuntura nazionale. Quello che viene ancora statisticamente riferito come tale, è da molto tempo parte integrante di una congiuntura mondiale integrata, orientata all'esportazione a senso unico, il cui punto di fuga è il "miracolo del consumo" degli Stati Uniti, sostenuto dal deficit. Quando questo scarico finisce, cosa che ora è imminente, c'è da aspettarsi un effetto domino negativo su tutto l'insieme collegato dell'economia mondiale. Il declino congiunturale in tutta l'Unione Europea, in Europa Orientale ed in parte anche dell'Asia, è solo l'inizio di questo sviluppo. In queste condizioni, i programmi nazionali di congiuntura potrebbero, nella migliore delle ipotesi, ottenere il famoso effetto della goccia d'acqua nell'oceano. Simultaneamente ritorna, come durante la stagflazione degli anni 70, il dilemma della politica monetaria, in quatto dilemma della politica congiunturale. Le banche emittenti devono alzare i tassi di interesse per eliminare l'inflazione; dall'altro lato devono abbassare i tassi, per stabilizzare la congiuntura che le sommerge. Le iniezioni statali, per mezzo del debito, come prevede la ricetta keynesiana, aggravano tale dilemma. Poiché una crescente domanda di credito da parte dello Stato spinge in alto il tasso di interesse sul mercato, aumentando il costo degli investimenti ed aggravando il potenziale inflazionistico.

Inoltre, le munizioni del keynesismo sono state ormai tutte sparate. Poiché il neoliberismo era più keynesiano di quanto si volesse far credere. Gli interventi statali sono solo andati in un senso differente, non più destinati ai programmi sociali, investimenti nell'istruzione e nelle infrastrutture. Da un lato c'era il keynesismo degli armamenti, a partire dal presidente Reagan, che ricondusse nel "porto sicuro" degli Stati Uniti il capitale monetario globale eccedente. Dall'altro lato, le orge di deregolamentazione e privatizzazione aprirono la strada alla "inflazione degli assets" dell'economia delle bolle finanziarie, con cui venne alimentata la congiuntura mondiale. Con la crisi finanziaria globale e con l'aumento dell'inflazione ugualmente globale arrivava alla fine questa crescita globale basata sul deficit. Per evitare la "fusione nucleare" del sistema finanziario, gli Stati hanno dovuto contribuire con ingenti somme per il risanamento dei bilanci delle banche; e questo processo non è ancora arrivato alla fine. Il keynesismo dell'armamento, delle bolle finanziarie e del risanamento ha già esaurito tutte le possibilità dello Stato, prima che potesse essere preso in considerazione qualsiasi programma di appoggio alla congiuntura.

Il mainstream sempre più neoliberista degli economisti esige, invece di un programma di congiuntura, più "riforme dell'economia di mercato", soprattutto la deregolamentazione del mercato del lavoro. Salta agli occhi la mancanza di logica di quest'argomento rispetto alla congiuntura. Già l'Agenda 2010, in vigore, ha fatto sì che i supposti "successi nell'occupazione" da parte dell'amministrazione coercitiva statale, attraverso bassi salari ed aumento del tempo di lavoro, andassero di pari passo con il prosciugamento del consumo interno. La fine della congiuntura dell'esportazione si ripercuoterà anche sui precari posti di lavoro fittizi sorti alla sua ombra. Sarebbe di grande attualità, esigere non la delega ai poteri miracolosi dello Stato, ma una resistenza sociale senza esitazioni per un drastico aumento dei salari e delle prestazioni sociali del programma Hartz-IV, indegni degli esseri umani, in nome degli interessi vitali. Questo criterio, però, sembra non svolgere più alcun ruolo, quando i sindacati e la sinistra ormai si limitano a funzionare come forza di manutenzione davanti al letto de capitalismo ammalato di mancanza di capacità funzionali, e come forza di trattamento dell'immaginazione circa il disordine vigente. Il dilemma strutturale del capitale mondiale nei limiti della globalizzazione "finanziariamente indotta" richiama ancora una volta l'attenzione verso la mancanza di un'alternativa sociale.

- Robert Kurz - Pubblicato su "Freitag" del 29/8/2008 -

fonte: EXIT!

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