Terrore di crisi
Come si pretende di fare della Grecia un esempio
di Robert Kurz
Nel 21° secolo, le forze del capitale non perseguono più conquiste territoriali. Cosa se ne farebbero di zone economiche fatte di terra bruciata e di popolazioni superflue? Questo però non significa che l'imperialismo sia finito. Non si tratta più di imperi e di zone di influenza nazionali, bensì della possibilità di controllare la globalizzazione durante la crisi. I limiti della valorizzazione del capitale vanno ridefiniti come limiti di continuità per le masse di perdenti; il collasso delle economie nazionali, come giustapposizione controllata di città in espansione finanziate col debito e di regioni miserabili abbandonate.
La produzione di sicurezza per le imprese che rimangono in queste condizioni esige una legittimazione ideologica. Qui bisogna ammettere che i figli abbandonati e diseredati del capitale non sono le persone migliori, ma essi vivono alle spalle dei loro concittadini anziché reagire contro le loro condizioni di vita impossibili. Il paradigma del conflitto, nel mondo decadente degli Stati, non è la guerra esterna, bensì la guerra interna, sulla base delle divisioni etniche e religiose. Gli interventi di polizia globale da parte delle forze dell'ordine del centro capitalista contro i barbari della periferia hanno bisogno di una base di idealismo democratico.
Naturalmente, questa immagine è stata soltanto un'istantanea nel processo di dissoluzione della struttura di ordine globale. A partire almeno dalla crisi economica mondiale iniziata nel 2008, la situazione è cambiata di nuovo radicalmente. Ora i limiti della capacità di finanziamento sono stati raggiunti anche nei centri occidentali. Dappertutto si manifestano crisi del debito che prima apparivano solamente nelle frange del mercato globale. Con questo, è ora all'ordine del giorno un cambiamento qualitativo nella gestione della crisi nelle metropoli, che sposta l'importanza della crisi esterna verso la crisi interna. Oltre alle incalcolabili popolazioni dei cantieri che il capitale mondiale ha abbandonato uscendo dal retro, ora sono le stesse classi medie ad essere prese sempre più di mira. Il vuoto formalismo democratico, che perfino i fascisti religiosi di vario tipo hanno riconosciuto come principio che configura il loro delirio, fa valere ancora di più l'importanza della valorizzazione forzata del capitale come sua "base naturale" (Marx), proprio ora che i suoi limiti interni sono stati raggiunti. La linfa della vita capitalistica, il denaro, dev'essere sottratta, passo dopo passo, non solo ai nuovi poveri emarginati, ma anche alla maggioranza del "popolo sovrano" delle metropoli.
Insieme a questo, naturalmente, si rivela anche la crisi di legittimazione. Mentre la Nato, invocando i valori democratici, bombarda la Sharia nella vicina Libia, per le zone centrali occidentali della globalizzazione, le restrizioni materiali dovute al sistema finanziario traballante appaiono ormai svolgere il ruolo dei caccia-bombardieri. La messa in atto di un simile imperativo economico, in nome della democrazia, contro gli interessi vitali elementari della maggioranza del "sovrano" formale, sembra avvenire principalmente nell'Unione Europea, in quanto qui il costrutto monetario dell'euro ha oramai acutizzato le contraddizioni ed ora esiste un'istanza di intervento sovranazionale.
La Grecia, come caso di fallimento statale di fatto, è diventata un precedente nelle condizioni di crisi globale. Un processo fuori controllo manderebbe gambe all'aria il sistema finanziario europeo, con conseguenze superiori a quelle seguite al fallimento di Lehman Brothers, e non solo. Ma un processo controllato è possibile solamente se quasi tutta la popolazione greca viene spinta sotto la soglia del limite di povertà. Disoccupazione di massa in una dimensione mai vista prima, miseria profonda per la classe media, collasso dell'assistenza medica e delle infrastrutture pubbliche saranno una realtà. Le élite greche oramai non sono in grado di assumersi per proprio conto la responsabilità di attuare una simile logica del capitale. C'è la necessità di un intervento dell'imperialismo di crisi che venga da fuori, assunto da una troika formata dalla Commissione Europea, dalla BCE e dal FMI; ora non più contro un asilo per poveri del vecchio terzo mondo, ma per la prima volta contro un paese occidentale.
Il governo di Merkel si propone come capobanda della linea dura, che tira fuori le parole di bocca ai dirigenti, alla classe politica e mediatica e perfino allo strato più basso della razza superiore di questo paese. Con l'appoggio dell'aiuto-sceriffo Sarkozy, nega la crisi sistemica per poter svolgere il ruolo dell'autoproclamato ufficiale giudiziario del "soggetto automatico" (Marx). I Greci, squalificati in quanto irresponsabili dal punto di vista capitalistico, non devono più essere ammessi alla Disneyland di Berlino, ma bisogna tirare le loro redini finché non sputano sangue. Si è perfino discusso di un commissario tedesco, anche se la maggioranza dell'Unione Europea, con un sussulto di senso di vergogna, si era pronunciata contro. Il gesto di falsa superiorità deriva dalla posizione provvisoria della Germania come vincitrice della crisi, dal momento che il rullo compressore dell'esportazione tedesca ha beneficiato dei programmi pubblici che si sono diffusi in tutto il mondo, dalla svalutazione dell'euro a causa della crisi del debito e dall'imposizione interna di salari più bassi fino al programma Hartz IV. Quello che viene nascosto è che la favola dell'economia teutonica ha come presupposto non solo il proprio debito ma anche quello degli altri, dopo essere arrivata alla fine con l'evaporazione del potere d'acquisto a causa della recessione europea e mondiale. Tuttavia, almeno si sa che si vuol fare della Grecia un esempio, che dovrà essere applicato anche nel proprio paese, se necessario; sperando nello storico masochismo sociale del "sovrano" tedesco, che ha sempre avuto difficoltà per quanto riguarda il coraggio civico.
Anche la Grecia, per la nuova gestione democratica della crisi, si presenta come un terreno sperimentale in quanto vi si può trovare, come alleato nel combattimento, una rivolta giovanile tanto isolata quanto senza prospettive. Il fatto che il bilancio dello Stato greco sia socialmente ridotto a zero, in quanto il bilancio militare per il 2012 è quasi raddoppiato in rapporto all'anno precedente, si incastra perfettamente nel quadro europeo. I debiti relativi a questa situazione devono essere accettati favorevolmente dai commissari al prestito, dal momento che gli ordinativi di Atene nonostante tutto costituiscono il 15% delle vendite di armi della Germania. Inoltre, è stato dichiarato che la macchina dello stato di eccezione democratica deve mostrare i suoi muscoli militari, una macchina che solo così può essere tanto pseudo-indipendente in Grecia quanto lo dovrà essere in Afghanistan. Se le cose dovessero davvero scaldarsi, il terrore di crisi sotto guida tedesca potrà mostrare ciò di cui è capace.
Per ora la classe politica greca deve contrattare un po' i termini della resa e fingere una qualche resistenza per salvare la faccia. La volontà dell'elettorato ormai non sa che cosa volere e tutto il sistema dei partiti è stato smantellato in maniera esemplare. Il focolaio nazionalista fa comodo ai gestori post-nazionali della crisi e può servire come valvola di sfogo, tanto più in quanto può far digerire il fallimento in maniera, per così dire, adeguata al caso. La semplice rabbia anti-tedesca non tocca gli sciovinisti tedeschi dell'esportazione, dal momento che il pogrom che si avvicina è diretto in realtà contro i rifugiati albanesi ed africani o contro gli altri emigranti, come si è già visto in pratica in Grecia e non solo. Anche su questo punto la Germania, con i suoi serial killer neonazisti viziati dalla Stasi, ha le qualità perfette per offrire una leadership a tutta l'Europa.
- Robert Kurz - Pubblicato su "Konkret" del marzo 2012 -
fonte: EXIT!
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