giovedì 9 luglio 2015

Una dura realtà economica

greece

Dalla crisi dell'euro alla crisi monetaria mondiale?
di Robert Kurz

E' più di un anno che lo Stato viene considerato come il salvatore dall'emergenza della crisi finanziaria ed economica globale. Nella sua qualità di "prestatore di ultima istanza", esso ha costruito dappertutto linee di ammortamento, facendo uso dell'abbondanza di denaro delle banche centrali, del mega-indebitamento quasi da economia di guerra, dei pacchetti di salvataggio e dei programmi di stimolo economico, senza che, tuttavia, sia in vista una nuova accumulazione autonoma del capitali mondiale in sé. Ma lo Stato ha solo il potere formale di creare denaro, il quale denaro continua ad essere sostanzialmente vincolato alla valorizzazione reale del capitale. Tutti sanno che, se i programmi statali sostituiscono la creazione reale di valore, si viene a costituire un enorme potenziale inflazionistico. Ora, come si concretizza economicamente tale potenziale?

La minaccia della bancarotta nazionale della Grecia, attualmente, è l'anello più debole. Sappiamo che casi simili sono in agguato, in secondo piano. Alcuni sostengono che gli Stati, al contrario delle imprese o delle banche, non possono fallire realmente. Ma cosa significa questo? Uno sguardo alla storia, mostra come si risolvono i fallimenti degli Stati: gli Stati o si sdebitano forzosamente, per mezzo dell'inflazione, o lo fanno in forma comparativa, per mezzo di una svalutazione monetaria. Ma poiché che la Grecia, tuttavia, come gli altri paesi dell'euro, non ha una moneta propria, il suo problema diventa allora un problema di tutta la zona monetaria. Per ora quello che sta cadendo, è il valore dell'euro, sul quale i grandi fondi stanno già speculando. Non si tratta di un qualche capriccio maligno da parte degli squali della finanza, bensì delle conseguenze immanenti a qualsiasi insolvenza statale.

Se altri casi seguiranno, la caduta del valore esterno si trasformerà in caduta del valore interno. Il motivo è ovvio: davanti all'imminenza di una svalutazione della moneta, come ultima "liberazione" possibile della banca emettitrice, le imprese si vedono forzate ad aumenti galoppanti dei prezzi, al fine di evitare la svalorizzazione delle loro merci di capitale. Questo è un processo che si auto-alimenta, in quanto così si alza la pressione che porta a svalutare la moneta. Esiste quindi il rischio di un crollo dell'euro. Nonostante tutte le garanzie in senso contrario, gli Stati principali dell'euro devono rispondere della Grecia e degli altri candidati al fallimento. Ma il sostegno alla Grecia ai fini di salvare l'euro li mette in una situazione simile, una volta che essi stessi hanno già raggiunto il limite della loro capacità di finanziamento regolare. La famosa "perdita di fiducia" nel sistema bancario si ripete nei confronti della moneta. Questa non è una mera questione "psicologica", ma è il risultato di una dura realtà economica.

Un crollo dell'euro avrebbe, però, un effetto devastante sull'economia globale e sulle altre zone monetarie. La svalorizzazione generale degli attivi e dei rendimenti a causa dell'inflazione o della svalutazione della moneta asfissierebbe l'economia interna dell'Unione Europea e non solo, in quanto la globalizzazione ha creato un'articolazione di tutte le economia in una misura assai più grande che in passato. In ogni caso, anche negli Stati Uniti, in Giappone ed in Cina, le finanze pubbliche e, con essem la moneta si trovano con l'acqua alla gola. La "inflazione controllata" fino ad un massimo del 6%, invocata dai paesi anglosassoni e dal sud dell'Europa come un freno al debito pubblico, minaccia di andare fuori controllo prima ancora di cominciare. Così come lo è la Grecia nella zona euro, anche la zona euro nel suo insieme è l'anello più debole del sistema monetario dei centri capitalistici, a causa della sua costruzione fragile. Il fatto per cui già tutte le monete si sono drasticamente svalutate in rapporto all'oro, è un indizio della crisi del sistema del denaro in generale.

- Robert Kurz - Pubblicato su "Neues Deutschland" del 5/3/2010 -

fonte: EXIT!

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