Alla fine degli anni '30 del secolo scorso, gli ebrei che risiedevano in Palestina avevano due nemici giurati: le forze inglesi del "Mandato" e gli arabi del paese, contro i quali nel 1936 combattevano già apertamente. Abbandonare tale partita doppia per andare a combattere in Spagna equivaleva a tradire il "Yishuv" e disertare le fila del sionismo. E fu proprio questo, il prezzo pagato dai circa 200 volontari ebrei che lasciarono la Palestina per unirsi alle Brigate Internazionali. A tutto questo, per loro, si aggiungeva un'altra macchia: quasi tutti, questi 200 giovani, erano militanti del Partito Comunista Palestinese, e perciò avversari della maggioranza sionista. La guerra di Spagna e la lotta contro il fascismo avrebbero unito questi ragazzi ebrei a persone di altre etnie provenienti dalla stessa Palestina, arabi come Ali Abdel Halik, caduto sul fronte di Teruel, come il giornalista Mustafa Sa´adi, ed altri armeni. Tutti loro dovettero subire la critica ed il disprezzo del movimento sionista di sinistra (con a capo il sindacato Histadrut), e poi, a partire dal 1948, quello delle istituzioni dello stato di Israele.
"Haniya prima di Madrid", aveva sancito Yaakov Hazan, dirigente di spicco della sinistra sionista, stabilendo quali dovevano essere le priorità per gli ebrei palestinesi, e la frase ebbe una discreta fortuna fra i componenti della comunità ebraica. Non fu così per David Karon, membro del kibbutz Magdiel, dove lavorava, che decise di andare in Spagna, e per questo venne espulso dal kibbutz.
Karon, come altri di quei circa duecento volontari, era sionista, ma la maggioranza erano comunisti anti-sionisti, detestati dalla comunità e perseguitati dalla polizia britannica. E, dopo la fine della guerra civile spagnola, a molti dei sopravvissuti non fu permesso di ritornare in Palestina.
Trent'anni più tardi - siamo negli anni '70 del secolo scorso - la visuale politica dello stato di Israele, per necessità ideologica, comincia a guardare con occhio benigno i caduti sul fronte spagnolo ed i sopravvissuti ebreo-palestinesi delle Brigate Internazionali. In una sorta di variante del benjaminiano "angelo della storia", avviene che Israele - che ha dato inizio al suo processo di egemonia in Medio Oriente - sulla scia delle sue schiaccianti vittorie militari, del suo consolidamento economico, è diventato il centro magnetico della Diaspora ebraica. In questo quadro sionista, la connessione dei brigatisti palestinesi ad altri episodi eroici - come la rivolta del ghetto di Varsavia - servono a smentire la presunta passività con cui gli ebrei sarebbero andati verso i forni crematori. Si tratta di evidenziare, dentro una stessa catena, la resistenza ebrea contro il nazismo tedesco, in un continuum che riesca ad includere gli scontri armati con l'esercito britannico del Mandato e la vittoria del nuovo stato d'Israele sugli arabi e i loro alleati. In questo quadro, la partecipazione degli ebrei (in generale, e non solo quella dei volontari provenienti dalla Palestina) alla guerra civile spagnola entra senza problemi nella propaganda ufficiale del sionismo, come un importante fattore di identità nazionale. A tale schema ideologico, si adeguarono molti dei veterani della guerra civile spagnola, inclusi i comunisti del nuovo partito Maki. Il richiamo del "riconoscimento ufficiale", prima negato, e l'ingresso, nel pantheon degli eroi di Israele, dei vecchi brigatisti, furono una tentazione irresistibile. L'operazione raggiunse il suo apice nel 1986, quando, nel corso della commemorazione del cinquantenario della guerra di Spagna, l'allora presidente di Israele, Chaim Herzog, pronunciò un discorso ufficiale in cui metteva a tacere, 50 anni dopo, la scomunica dei gruppi sionisti nei confronti dei volontari brigatisti della comunità ebraica in Palestina. Anzi, al contrario, Herzog finì, con il suo discorso, di tessere la rete che univa in un solo destino gli ebrei di Israele e della Diaspora con i combattenti per la Repubblica spagnola: "un fronte comune ... contro la distruzione e l'olocausto che minacciavano il mondo", attualizzando quel vecchio episodio e proiettando l'ombra della Repubblica spagnola sulla situazione attuale israeliana, chiamando ad un dovere di sostegno internazionale alla democrazia israeliana, ispirato al modello esemplare dei brigatisti della Palestina.
In tutta questa sorta di finzione storica, il parallelismo più sorprendente era dato dalla musica popolare: la canzone "¡Ay, Carmela!" - inno ufficioso delle Brigate Internazionali - era stato tradotta in ebraico dal compositore Haim Hefer, ed aveva scalato la vetta della hit parade a Tel Aviv e a Gerusalemme proprio nel 1967, subito dopo l'occupazione di Gaza e della Cisgiordania da parte dell'esercito israeliano. Così, nella canzone, in questa equazione della lotta eroica dei repubblicani in Spagna con la conquista militare delle terre "bibliche", "Carmela" diventava il nome dell'amore di un capitano dell'esercito israeliano. E Madrid non era mai stata così vicina ad Hanita!!!
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