Questa storia comincia a Parigi, nel 1816. La monarchia francese era stata rimessa sul trono grazie agli inglesi. che un anno prima avevano sconfitto ed esiliato Napoleone. La monarchia in Francia aveva smesso di essere assoluta e aveva dovuto adattarsi a diverse modifiche. In questo contesto, e come gesto di buona volontà e di sostegno a Luigi XVIII, appena insediato, gli inglesi offrirono alla Francia il porto di St. Louis, in Senegal, nella costa occidentale dell'Africa.
St. Louis era un importante porto commerciale ed un centro di rifornimento quasi obbligatorio per chi navigava diretto al Capo di Buona Speranza, in Sud Africa. Per prendere possesso del porto, il nuovo re francese aveva preparato una flotta con la quale avrebbe viaggiato il nuovo governatore di St. Louis, il suo reggimento di soldati e le prime famiglie chiamate a colonizzare l'insediamento.
Il primo grande errore, fu quello di nominare capitano un tale Hugues Duroy de Chaumereys e metterlo a capo della flotta. Era stata una scelta politica e inadeguata, considerato che De Chaumereys era un aristocratico di 53 anni, ed erano 25 anni che non saliva su una nave. E nemmeno ai suoi tempi migliori aveva mai comandato una nave, figuriamoci una flotta!
Le navi partirono il 17 giugno del 1816. La flotta era composta da quattro navi, la Loira, l'Argus, l'Eco e la fregata Medusa. Su quest'ultima viaggiavano il capitano, i passeggeri civili, le più alte cariche e la maggior parte della truppa. Circa 400 uomini, tolte le donne ed i bambini. Il passeggero più importante era il colonnello Julian Désiré Schmaltz, governatore di Nuova Senegal; un uomo arrogante e presuntuoso che non tardò ad impressionare l'inesperto capitano.
Il Governatore Schmaltz voleva arrivare a St. Louis il più rapidamente possibile, facendo una rotta più diretta. Il "suggerimento" del governatore implicava di avvicinare pericolosamente la flotta alla costa e di navigare seguendo il suo profilo. Quella zona della costa africana era (ed è) ben nota per i suoi banchi di sabbia, per le scogliere e per i complicati problemi di navigazione, tra cui il famoso banco di Arguin, che con la bassa marea diventa quasi un isolotto. Era una rotta che perfino i pirati più esperti avevano cura di evitare. Si preferiva navigare in mare aperto, nell'Oceano Atlantico, e lasciare che fossero i venti prevalenti da ovest ad avvicinare le navi alla riva, sfruttando l'alta marea; cosa questa che, secondo Schmaltz, sarebbe stata solo una perdita di tempo.
Così, il capitano si lasciò influenzare dal governatore ed ordinò di cambiare rotta. I marinai e la truppa erano indignati. Sia perché venivano costretti ad obbedire agli ordini di due aristocratici monarchici ignoranti che non sapevano nulla di navigazione, sia perché conoscevano i rischi.
La Medusa, essendo la più veloce nave del convoglio, si era lasciata alle spalle la Loira e la Argus. L'Eco la seguiva dappresso, e riuscì a tenere il passo per diverse miglia, ma poi decise di rallentare, per precauzione, mentre la Medusa continuava per conto suo e abbandonava il gruppo.
Era il 28 giugno (dopo 11 giorni di navigazione) ed il capitano De Chaumereys s'era fatto un nuovo amico, un certo M. Richefort che si era presentato come un "esperto esploratore dell''Africa". Quest'uomo, che doveva essere il nuovo Comandante del Porto di St. Louis, aveva ancora meno esperienza navale di De Chaumereys. Ben presto il capitano si fece manipolare da questo ciarlatano e cominciò a prendere tutte le decisioni che Richefort gli consigliava.
Il capitano e il suo nuovo amico sembravano due gemelli. Passeggiavano per la nave, camminando elegantemente, impartendo, con sufficienza, ordini a destra e a manca.
L'alba del 2 luglio illuminò i volti angosciati dei passeggeri. All'improvviso, si accorsero che l'acqua del mare s'era fatta scura, e, sporgendosi, videro che la prua della nave era piena di fango. Di fronte alla preoccupazione evidente, e alle domande, Richefort sorrise con calma e gentilmente rispose:
"Mio caro signore, noi sappiamo quello che facciamo. Stia certo che potete stare tranquilli. Sono passato due volte per il Banco di Arguin, ho navigato il Mar Rosso e, come potete vedere, sono ancora vivo".
Il Governatore Schmaltz, che non aveva idea di cosa stesse succedendo, continuava a dettare la rotta e a dare ordini a tutti coloro che lo avvicinavano. Richefort si era installato accanto al Governatore, in qualità di suo assistente per la navigazione, mentre il capitano De Chaumereys cercava di rassicurare le persone che intanto avevano cominciato a protestare. Alla fine, non ce la fece più e chiese all'equipaggio di "fare quel che ritenevano più conveniente."
Quella mattina, prima di mezzogiorno, si concluse il viaggio della Medusa. Le cronache riferiscono che la nave stava navigando in acque profonde 80 braccia. Il braccio è una vecchia unità nautica di lunghezza, per calcolare la profondità dell'acqua, equivalente ad un paio di braccia tese, circa un metro e 70 centimetri.
"Non c'è motivo di allarmarsi", ripeteva De Chaumereys ai passeggeri, fino al punto che cominciò a gridarlo, dal momento che il panico cominciava a diffondersi. Erano le 15:00 e la Medusa navigava su poco più di sei braccia (10 metri) di acqua, che continua a diventare sempre meno profonda. Quasi tutto l'equipaggio aveva smesso di preoccuparsi del capitano, mentre lui ed il suo amico continuavano a mostrarsi allegri e sorridenti.
Cinque minuti più tardi, la nave si arenò su una secca e cominciò lentamente ad inclinarsi su un lato. Era il Banco di Arguin. Secondo i testimoni che in seguito riportarono i fatti, le facce del capitano e di Richefort subirono una strana trasformazione, "gli occhi fuori dalle orbite, cominciarono a sudare copiosamente, si vedeva che erano in preda al panico, però guardavano in silenzio ... poco dopo, le proteste adirate dell'equipaggio li riportarono alla realtà."
Quasi immediatamente, Richefort venne ricoperto dai peggiori insulti che un uomo avesse mai ricevuto in tutta la sua vita, da parte dei marinai, dei soldati e dei passeggeri, ma anche gli ufficiali non si risparmiarono. Il capitano era ammutolito, mentre il governatore Schmaltz e la sua famiglia contemplavano indifferenti lo spettacolo, supponendo che, data la loro importanza (ricchezza), qualcuno sarebbe venuto in loro aiuto.
Intanto, nel tentativo di aumentare la galleggiabilità sul fango, l'equipaggio hanno iniziato a lanciare oggetti pesanti in mare, perché, secondo loro, rimaneva un piccolo lasso di tempo per cercare di disincagliare la nave della sabbia, con la prima alta marea , dal momento che ciascuna delle seguenti (maree) sarebbe stata inferiore a quella precedente. Così, dovevano liberarsi di tutto il carico pesante come armi, cannoni, pistole, barili di polvere da sparo e munizioni. De Chaumereys ordinò loro di fermarsi, per paura che il re non gradisse che le loro armi venissero gettate in mare. La nave, naturalmente, continuava ad affondare sempre più nel fango.
Passata la crisi nervosa, e grattandosi la testa, il capitano chiamò alcuni dei suoi marinai di fiducia e gli ufficiali di maggior rango per vedere cosa si poteva fare, dal momento che c'erano solo sei scialuppe di salvataggio.
Ancora una volta, il governatore se ne uscì con un'altra delle sue "brillanti" idee. Suggerì di caricare "le cose più importanti" insieme ai "passeggeri importanti" sulle poche scialuppe di salvataggio e di costruire una zattera per i soldati e l'equipaggio. La zattera sarebbe stata trainata dalle sei scialuppe fino alla costa.
La zattera venne costruita a tempo di record con gli alberi e le assi della Medusa. Venne messa insieme in modo rudimentale, non aveva alcun sistema meccanico di navigazione dal momento che doveva essere rimorchiata e nessuno si preoccupò di dotarla di un qualche remo. Misurava circa venti metri per sette.
Quando i soldati ed i marinai di basso rango iniziarono a salire a bordo della zattera - c'è che dice fossero 147, altri dicono 150 - questa andò giù fino al punto che l'acqua salì loro alle ginocchia. Era così carica da non esserci nemmeno un metro quadro di spazio a persona.
Va riferito che ci furono otto alti ufficiali che, con grande dignità, scelsero di andare sulla zattera insieme ai loro soldati. Tanto era il sovraffollamento e il disordine, che 17 uomini decisero di non rischiare, preferendo rimanere sulla Medusa che stava lentamente affondando, inghiottita dal fango. Si nascosero per evitare l'imbarco forzato sulla zattera, che praticamente era un suicidio.
Anche se il dettaglio degli approvvigionamenti non potrà mai essere conosciuto con esattezza, si calcola qualche barile di vino e di acqua dolce, un paio di barili di rum, un po 'di farina (che era inutile), e circa 20 chili di gallette che, alla fine, vennero prelevate dalle scialuppe.
Grazie al geniale suggerimento del governatore Schmaltz, cinque delle sei scialuppe vennero caricate di cose ridicole. Nella sesta presero posto le "persone importanti", come il capitano De Chaumereys (che fu tra i primi a saltare sulla scialuppa), il Governatore e la sua famiglia, i passeggeri ricchi e gli alti ufficiali che avevano preferito andare sulla scialuppa, piuttosto che rimanere con le loro truppe. Ovviamente, questo gruppo aveva più probabilità di sopravvivere rispetto a quei poveri diavoli sulla zattera che, ancor prima della partenza, erano tremanti, bagnati e affamati.
Sulla zattera, ben presto si resero conto che appoggiare una simile idea era stato folle. Molti marinai erano talmente risentiti che cominciarono ad inveire, ad alta voce, contro quelli che si erano accomodati sulla scialuppa. Quando cominciarono a trainarla, molti caddero in mare, altri cominciarono a piangere dalla paura e dalla disperazione, altri rimanevano sulla zattera, però completamente sdraiati, immersi nell'acqua; credevano così di salvarsi la propria vita. Ad un certo punto si accorsero che una delle scialuppe di salvataggio stava per passargli accanto. Così, quando la zattera arrivò abbastanza vicino, a pochi passi da braccia tese, De Chaumereys in preda al panico diede l'ordine di staccare la zattera, di tagliare le corde e di lasciare occupanti in balìa del mare.
"Fino a quel momento non credevamo che potessimo essere così crudelmente abbandonati. Abbiamo pensato che avessero visto una nave nelle vicinanze e che cercassero di avvicinarla più velocemente, per chiedere aiuto. Alcuni ufficiali che erano con noi sulla zattera, visto che la scialuppa ci aveva lasciato, presero le loro armi, non so se per uccidere o per suicidarsi, ma poi vennero fermati dal tenente Espiau.".
C'erano più di un centinaio di uomini abbandonati in mare, alla deriva, che non potevano che aspettare un miracolo o la morte.
Nel frattempo, e per la disperazione, alcuni dei barili erano stati gettati in mare per fare spazio, almeno a sedere. Ma non importava, il vero pericolo non era né la fame né la sete, il vero pericolo sarebbe stato l'istinto di sopravvivenza umana in così poco spazio. Al calar della notte, cominciarono a rendersi conto di quanto cattivo e crudele possa essere l'uomo in condizioni estreme.
I primi scontri e insulti finirono in un tumulto di coltelli, di machete e di sangue. Le prime vittime. In mezzo ad un inferno di lamenti, imprecazioni, dentro un'oscurità senza luna, la zattera procedeva più leggera: morirono 21 uomini quella prima notte, 18 vennero uccisi e 3 si suicidarono.
La fame, la privazione del sonno e il disorientamento. Le risse erano comuni, soprattutto la sera. L'equipaggio, ubriaco, si ribellò contro gli ufficiali e li uccise. Scoppiò una guerra tra la truppa e gli ufficiali, tra i marinai e i soldati, tra africani e francesi. tra militari e civili. Ogni notte era un incubo, ogni notte impazzivano, e chi voleva restare vivo doveva lottare. All'alba, si contava il numero dei sopravvissuti e si distribuivano le scarse razioni di farina e vino tra coloro che si rifiutavano di morire. Naturalmente, i più deboli ed i moribondi venivano gettati nell'oceano, per avere più razioni.
Infine, la sete e la fame divennero insopportabili, e non ci furono più remore a tagliare la pelle e a strappare la carne da alcuni corpi per riempire il piatto. Erano i cadaveri dei compagni che erano restati intrappolati fra i pali della zattera, dopo una notte di tempesta.
Al tredicesimo giorno di deriva, la fregata Argus li avvistò. La zattera si trovava a quattro miglia dalla costa e contava solo 15 sopravvissuti. La nave non era stata mandata a cercare i naufraghi, li aveva trovati per caso. L'Argus stava seguendo l'ordine di recuperare un carico d'oro che era rimasto nello scafo della Medusa.
Dei quindici superstiti, cinque morirono poco dopo ...
Il chirurgo Henri Savigny, passeggero della Medusa e uno dei sopravvissuti della zattera, fece una denuncia presso le autorità, ma la giustizia non fece nessun corso. I funzionari cercarono di coprire tutta la storia, cercando di non farla venir fuori. Il senso di tutto questo era che i francesi, che credevano di essere i migliori velisti del mondo, sarebbero stati ridicolizzati dalla Marina britannica per questa loro evidente mancanza di solidarietà e di spirito di corpo, che sono le regole chiave della navigazione.
Che cosa ci si poteva aspettare da una Marina dove il capitano è il primo ad abbandonare la nave e il suo equipaggio? Sarebbe stata messa a nudo la realtà dell'esercito francese, diviso tra rivoluzionari e monarchici.
La stampa di quel tempo, unico mezzo di comunicazione dell'epoca ed alleata alla monarchia, nascose la tragedia, che che però emerse, e si diffuse, per merito di un periodico anti-monarchico. Ci fu un grande scandalo che scosse di nuovo la società francese. L'incompetente e codardo capitano De Chaumereys andò davanti alla corte marziale, ma incredibilmente venne dichiarato "non colpevole di diserzione", nonostante le testimonianze e le prove contro di lui. Venne condannato a soli 3 anni di carcere per non aver evacuato l'intero equipaggio. Un verdetto molto benevolo se si considera che si trattava della Francia in cui si ghigliottinava per niente, a destra e a sinistra.
Il quadro, però, ha la sua storia, ed un suo dramma. Il suo autore era Théodore Géricault, ammiratore dei grandi pittori italiani che cercava di imitare. Decise di dipingere il naufragio e l'equipaggio abbandonato perché, viste le proporzioni dello scandalo, sapeva che un'immagine memorabile della tragedia avrebbe immortalato il suo nome, o almeno lo avrebbe reso noto in Europa. Il fatto è che, a quel tempo, non c'erano foto, e qualsiasi evento memorabile doveva essere tracciato, dipinto, raccontato in un'immagine, e le migliori opere, o le più esplicite, giravano l'Europa, permettendo all'autore di essere riconosciuto e quotato. Il tragico evento aveva talmente affascinato il giovane artista che, prima di iniziare a lavorare sul dipinto finale, aveva condotto ampie ricerche sul tema e aveva fatto molti disegni preparatori. Aveva incontrato due dei sopravvissuti, e attraverso la loro testimonianza aveva costruito un modello in scala, dettagliato e autentico, della zattera. La sua ossessione per la perfezione lo aveva guidato per obitori ed ospedali, dove si potevano vedere, con i propri occhi, il colore e la consistenza della carne dei morenti e dei morti. Si sottomise ad una settimana di digiuno volontario per sentirsi in qualche modo partecipe dell'ansia e dare così forma grafica alla disperazione ed al dolore.
Come l'artista aveva previsto, il quadro fu piuttosto controverso fin dalla sua prima esposizione al Salone di Parigi nel 1819, approfondendo le differenze politiche, e la tela fu oggetto di lodi appassionate, come di una critica e una condanna spietata. E anche se si guadagnò una meritata fama internazionale, il giovane pittore morì due anni dopo aver finito il quadro, mentalmente esausto, senza mai essersi ripreso dallo sforzo monumentale.
Dopo la morte di Gericault, si confrontarono due possibili acquirenti per la gigantesca (7,16 x 4,91 m) pittura. Uno era un aristocratico inglese e l'altro un gruppo di nobili francesi che volevano tagliare la tela in tanti piccoli pezzi, per poi venderli all'asta uno per uno. Di fatto, succedeva che il dipinto veniva considerato come un'opera antimonarchica che rappresentava chiaramente il classismo in cui si viveva sotto la monarchia francese. Tuttavia, ironia della sorte, fu lo stesso Luigi XVIII ad intervenire per salvare la tela, non permettendo che finisse in un museo straniero o che venisse tagliata a pezzetti, come previsto.
Donò il dipinto al Museo del Louvre dove tuttora si trova.
FONTE: http://www.sentadofrentealmundo.com/2011/10/los-canibales-franceses.html
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