Fine della favola per l'industria automobilistica
Senza offesa per gli appassionati dell'economia dei servizi, la creazione di valore in senso capitalistico è possibile solo attraverso la produzione industriale, di cui il settore automobilistico costituisce ancora oggi il nucleo: una vasta gamma di fornitori e sub-appaltatori ne sono totalmente dipendenti. Pertanto, durante la grave recessione del 2009, i produttori di automobili sono stati, insieme al sistema bancario, i beneficiari privilegiati degli aiuti pubblici, e questi aiuti hanno assunto la forma di investimenti diretti da parte del governo (General Motors), di piani di salvataggio e garanzie, oppure di sussidi per favorire l'acquisto di veicoli. Quest'ultima è stata la più tempestiva, nella misura in cui l'eccesso di capacità globale del settore automobilistico, a lungo sostenuto da un potere d'acquisto fittizio, alimentato da bolle finanziarie, rischia di sciogliersi come neve al sole.
In un batter d'occhio, e come per un colpo di bacchetta magica, tutte le case automobilistiche sono state dichiarate "salvate". Allo stesso tempo, le banche centrali stavano facendo del loro meglio per attenuare il rallentamento economico riversando un fiume di soldi, dal momento che, tra tutti i settori di consumo, la vendita di veicoli ha un vantaggio significativo, in quanto è vero che l'auto rimane un oggetto essenziale del desiderio. Chiunque sia appena scappato dalla fame non sogna che una cosa: potersi permettere una macchina. Le vendite di auto in Cina hanno registrato ultimamente un tasso di crescita enorme, e sono bastati pochi mesi perché questo paese divenisse il nuovo Eldorado per gli esportatori tedeschi. Il fatto che la maggior parte di questa esportazione miracolosa riguardi molte costose auto di lusso, e non veicoli di fascia bassa veicoli, ci deve mettere in guardia: non si tratta di un solido consumo di massa arrivato a maturità, ma solo dell desiderio di "bruciare" da parte di un certo numero di nuovi ricchi che hanno costruito la loro fortuna sulla fragile bolla immobiliare cinese, che (insieme ai programmi di stimolo del governo) ha preso il posto della bolla statunitense, come motore dell'economia mondiale.
Chiaramente, le finanze pubbliche si trovano col fiato corto in tutto il mondo di oggi. La crisi del debito in Europa e negli Stati Uniti ha avuto un impatto negativo sull'economia. In Cina, il rallentamento si traduce in un'inflazione galoppante, e nel fallimento delle misure adottate finora dalla banca centrale per contenerla. E proprio come l'industria automobilistica aveva fatto parte dei primi beneficiari dei piani di salvataggio, ora ci si aspetta che sia la prima ad essere toccata dalla risacca, sempre più probabile, della recessione mondiale. Il miglioramento è stato troppo veloce e troppo esuberante. Nel secondo trimestre 2011, le vendite di veicoli in tutto il mondo hanno cominciato a ristagnare. Per il 2012, la revisione al ribasso delle previsioni riguarda circa 60-65 milioni di vetture.
Almeno, con la fine della fiaba dell'industria automobilistica, potrà essere rimesso all'ordine del giorno il problema, ancora irrisolto, posto dalla sovrapproduzione globale dal punto di vista della sostanza del capitale, cioè a dire dal punto di vista del valore. I candidati alla bancarotta sono sempre gli stesso, a partire dalla General Motors. Questo gruppo, i cui affari, le sovvenzioni iniettate dallo stato ci fanno apparire come un floridi, si ritrova sull'orlo del crollo, e il destino della Opel, filiale tedesca della GM, si troverà di nuovo sotto i riflettori. Le Voci, da qualche mese, sono quelle di una possibile vendita della Opel, ma nel caso di un altro collasso economico, chi vorrebbe ancora una simile impresa? La ripresa sovvenzionata potrebbe rapidamente mutare in fallimento. In definitiva, la traiettoria del settore automobilistico esemplifica in modo esemplare i capricci dell'economia globale.
- Robert Kurz -
Originale su http://www.neues-deutschland.de/artikel/204941.ende-des-automaerchens.html
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