mercoledì 23 novembre 2011

Il Valore della Critica

werkritik

Da una parte, il lavoro magistrale di Moishe Postone, il "Chicago Political Workshop" e il gruppo "Principia Dialectica", con base a Londra, dall'altra, gruppi tedeschi e austriaci, come Krisis, Exit, Streifzuge o il gruppo 180° con teorici come Roswitha Scholz, Norbert Trenkle, Robert Kurz, Anselm Jappe, Gerard Briche, Ernst Lohoff, ed altri. "Una reinterpretazione della teoria critica di Marx", così come la definisce Postone, è apparsa nel corso degli ultimi due decenni. Diversamente dalle letture tradizionali di Marx, con cui rompe, questo approccio - a volte etichettato come il movimento del valore critico (wertkritik) - ha diversi interessi principali. Questa critica si è fatta ampiamente notare per aver articolato un approccio teorico che pone particolare attenzione al carattere "feticista" della produzione di merci, alla dimensione astratta (lavoro astratto) di tutto il lavoro, alla distinzione tra valore e ricchezza materiale, e alla natura del capitale come "automa". Così, diversamente dai marxismi tradizionali, i soggetti principali del capitalismo non sono né il proletariato, né la borghesia, ma piuttosto il capitale stesso (il valore che si auto-valorizza). Il Valore non è limitato alla sola sfera economica, ma impone la sua struttura a tutta la società. Il Valore è una forma sociale di vita e di socializzazione. Un fatto sociale totale. Uno dei punti centrali di questo nuovo lavoro teorico è lo sviluppo di una critica che non si ferma al livello sociologico degli antagonismi di classe, alla questione dei rapporti di distribuzione e di proprietà privata dei mezzi di produzione. La classe capitalistica gestisce un processo di produzioni di merci a suo profitto, ma non ne è né l'autore né il padrone. Lavoratori e capitalisti non sono che le comparse di un processo che li oltrepassa, la lotta di classe se esiste non è in realtà altro che una lotta di interessi all'interno della forme di vita e di socializzazione capitaliste. Così, al contrario dell'anticapitalismo tronco, la critica del valore osa infine criticare il sistema nella sua totalità, e, in primo luogo, critica, per la prima volta, il suo principio di sintesi sociale, il lavoro in quanto tale, nella sua doppia dimensione concreta ed astratta, come attività socialmente mediatrice, e specifica storicamente al solo capitalismo, e non come semplice attività strumentale, naturale e trans-storica - come se il lavoro fosse l'essenza generica dell'uomo che verrebbe catturata esteriormente dal capitale!
E' il doppio carattere di questa forma di vita sociale e di sfera separata della vita che è il lavoro, e non il mercato e la proprietà privata dei mezzi di produzione, che forma il nocciolo del capitalismo. Nella società capitalistica solamente, il lavoro astratto si rappresenta nel valore, il valore è l'oggettivizzazione di un vincolo sociale alieno. Il valore di scambio di una merce non è altro che l'espressione, la forma visibile, del valore "invisibile".
Un movimento di emancipazione dal feticismo del valore non può più criticare questo mondo a partire dal punto di vista del lavoro. Non si tratta dunque più di liberare il lavoro dal capitale, ma di liberarsi dal lavoro in quanto tale, e non facendo lavorare le macchine al nostro posto dal momento che il modo industriale di produzione è intrinsecamente capitalista (la tecnologia non è neutra), ma abolendo un'attività che viene posta al centro della vita come mediazione sociale. D'altronde, la critica non deve certo fornire, in allegato, un manuale d'uso per un'organizzazione alternativa dell'utilizzo della vita. Essa, la critica, sviluppa una spiegazione possibile del mondo presente, delle sofferenze reali delle nostre proprie vite e delle esigenze sociali con cui vengono imposte, ma non è un manuale d'uso che spiega come si costruisce una "società ideale". L'unico criterio proposto dalla "Critica del Valore" è che nessun medium feticista (come è oggi il lavoro) si frapponga fra gli individui sociali, e fra gli individui sociali e il mondo. E dal momento che questo non è mai esistito, resta tutto da inventare. Ma non ci può essere nessun compromesso possibile con l'economia, cioè a dire con il lavoro come forma capitalista del metabolismo con la natura e come mediazione sociale fra gli esseri umani. Possono essere privilegiate, fuori dal lato economico, altre dimensioni (il dono, il mutuo appoggio, la cura) che possono esistere in parallelo dal momento che il Valore è una forma sociale che invade tutto: bisogna uscire totalmente dall'economia, inventando altre forme di mediazione sociale fra noi, diverse dal lavoro, dalla merce, dal denaro, dal capitale che collega la nostra "capacità lavorativa" ai suoi assetti sociali e alle sue macchine.
Un'altra caratteristica di questo nuovo lavoro teorico è stata quella di fornire una struttura che permettesse di comprendere il processo di crisi economica iniziata negli anni '70, e i cui considerevoli effetti attuali vengono spesso compresi come una semplice "crisi finanziaria". Ancora un altro apporto è stata l'elaborazione di una teoria socio-storica della conoscenza e della soggettività che rompesse con l'epistemologia contemporanea e che ci facesse comprendere diversamente l'anti-semitismo, il razzismo, la politica, lo stato, il diritto, la dominazione patriarcale, ecc.

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